Le nozze di Cana – Veronese

A cura di Sara Valentino

Siamo nel monastero benedettino di San Giorgio Maggiore a Venezia. A metà del Cinquecento i monaci neri decisero di rinnovare il chiostro e il refettorio affidando l’opera di rifacimento a Andrea Palladio. Palladio iniziò i lavori di rinnovamento dal 1560 al 1562 e partendo dal refettorio ideò un grande vano rettangolare. In questo vano, molto importante per la vita dei monaci vennero inseriti degli scranni intagliati da Francesco Fiorentino. Di questi scranni oggi ne è sopravvissuto solo uno ed è conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra. L’arredo più importante e scenografico doveva però essere l’opera di 70 metri quadri che andava a occupare tutta la parete in fondo nella parte alta: una scena delle nozze di Cana.

Per la realizzazione i monaci di San Giorgio chiamarono il pittore Paolo Caliar, detto il Veronese. Era il 1562.

Veronese, nato a Verona, prese dal padre scalpellino la dimestichezza per la scultura e dai manieristi dell’epoca il gusto per la realizzazione di composizioni complesse. I veneziani (Mantegna, Bellini e Tiziano) gli resero per la vivacità della tradizione cromatica.

Ricevette dunque l’incarico il 6 giugno, si può leggere questo nel contratto conservato oggi presso l’Archivio di stato a Venezia. Il compenso viene stabilito in 324 ducati. La tela dovrà essere conclusa per Settembre 1563. La terminerà il 6 ottobre.

Il tema del quadro è tratto da un episodio del nuovo Testamento, dal vangelo di Giovanni, il racconto di Cana, il primo miracolo di Gesù.

Veronese mette in scena tutti i protagonisti come dalle parole del Vangelo a cominciare da Gesù, Maria e quattro discepoli: Pietro, Andrea, Filippo e Bartolomeo. Quest’ultimo si riconosce dal coltello che tiene per le mani a simboleggiare il suo martirio. (Fu scuoiato vivo). Vi sono i servi che travasano l’acqua come da ordini di Gesù e nel mentre questa si trasforma in vino.

Nell’osservare la scena si nota una generale frenesia, lo si capisce dagli innumerevoli gesti che l’arte di Veronese imprime nei personaggi. Gesticolano ma pochi parlano, il miracolo avviene in silenzio.

Anche gli inservienti intenti al servizio non sono casuali ma rimandano all’ultima cena, il sacrificio eucaristico, la carne di agnello.

Veronese mette in scena una festa in costumi cinquecenteschi ma più avanti nei dettagli si può analizzare meglio l’opera.

Il telar, olio su tela cm. 677×994, rimase immobile per secoli, fino al 1797 quando Napoleone la fece portare a Parigi con un viaggio marittimo e fluviale. L’8 novembre 1798 la tela venne esposta nel Grand Salon del Louvre al n. 142. Alla caduta di Napoleone, il governo austriaco fece richiesta per la restituzione del telero ma in virtù delle difficoltà di trasporto, per il timore che potesse essere pericoloso per l’opera stessa, il direttore del museo fu molto convincente e lo trattenne presso il Louvre. Da allora, fatti salvi gli spostamenti di mobilitazione bellica, Le nozze di Cana è sempre rimasto al Louvre.

Nel refettorio di Venezia è rimasto per oltre due secoli il grande vuoto lasciato dall’opera, nel 2007 venne apposta una copia in scala 1 a 1 realizzata con la scannerizzazione digitale sull’opera originale.

Nello specifico, andando ad analizzare anche solo sommariamente l’opera, al centro troviamo i due protagonisti delle nozze di Cana: Maria e Gesù. Veronese riesce a farci intendere che tra i due ci fu un breve colloquio prima del miracolo. Loro sono gli unici due personaggi del quadro a indossare vesti antiche. Anche i colori sono significativi, Gesù veste con i colori classici mentre Maria è a lutto perchè in questa occasione il figlio si è rivelato al mondo come Salvatore disposto a morire per l’umanità. Maria e Gesù sono al centro pur non essendo gli sposi ma simbolicamente a ricordare che Maria non è solo la Madre ma la Sposa Christi.

Da notare l’abbigliamento degli invitati, in particolare di questa donna che sfoggia la ricchezza nel suo abbigliamento. La Repubblica di Venezia combattè a lungo il lusso eccessivo, nel 1562 si stabilì, per esempio che le donne di Venezia, ad eccezione della moglie del Doge e delle sue figlie, non potessero portare perle, se non in occasione di inviti a nozze. Queste misure vennero eluse e lo stesso quadro pone l’attenzione sullo sfarzo ostentato in vesti, acconciature e gioielli.

Sul lato sinistro del tavolo c’è una donna che fa un gesto singolare, ai nostri occhi riprovevole oggi: si pulisce i denti. Ma come si può notare anche in altri dipinti del Cinquecento veneto, lo stuzzicadenti è un oggetto di pregio, spesso in oro o in argento decorato con pietre preziose veniva appeso al collo e ostentato come oggetto di lusso dalle donne di alto rango. Nello specifico però la donna sta utilizzando una forchetta.

Le forchette comparvero sulle tavole nel XIV secolo come oggetti curiosi più che di immediata utilità. (Ancora per secoli si continuerà a mangiare con le mani) In molti inventari di fine Quattrocento sono menzionate come rare, alla pari di gioielli.

Sono presenti molti animali, tra i quali uccelli esotici, gatti e soprattutto cani. La loro presenza decorativa è ricca di simbologia, il pappagallo davanti al maestro di tavola indica la virtù dell’eloquenza, il gatto aggrappato alle anfore dove è avvenuto il miracolo rappresenta la perspicacia del mondo animale nell’aver visto il miracolo di natura soprannaturale. I cani sono il simbolo della fedeltà ma anche i prediletti della Dea Diana. Anch’essi guardano al miracolo e ne comprendono la natura divina.

I musici dipinti dal Veronese, secondo Marco Boschini (1674), sono i più famosi pittori del Cinquecento veneziano: c’è lo stesso Veronese, autoritratto con una veste bianca damascata e suona una viola, è accompagnato da Jacopo Bassano al cornetto, Tintoretto vestito di blu che suona il violino, Tiziano Vecellio in veste rossa al contrabbasso. Sono solo ipotesi naturalmente.

Se osserviamo la balaustra a sinistra si possono notare piatti in oro e argento utilizzati per il banchetto. E’ proprio della nobiltà dell’epoca fare feste per sottolineare la magnificenza di chi ospitava.

Sulla terrazza sta avvenendo il taglio della carne, di cui parlavamo prima. Siamo sopra la testa di Gesù a evidenziare l’allegoria. Sappiamo che è carne di agnello grazie a un’altra scena dipinta. Poco più a destra, infatti, due servitori attraversano le colonne con una portantina su cui si vede un agnello morto e privato del vello, l’Agnus Dei.

Fonti: Veronese. Le nozze di Cana di Marco Carminati – 24ore cultura

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