Crescita selvaggia di Keyi Sheng

A prima vista, la famiglia Li assomiglia a tutte le altre: un nonno scontroso, due genitori oberati di lavoro, quattro fratelli e una casa piccola in cui vivere tutti insieme. Ma siamo nella remota campagna cinese, e lo sguardo affilato di Xiaohan, la figlia più giovane, destinata a diventare giornalista, rivela molto di più. Sullo sfondo della grande storia della Cina – dal 1911, anno della caduta del millenario impero, sino ai giorni nostri –, in una straordinaria commedia umana si snodano così le vicende di questa ramificata compagine. Come rivoli delle acque che attraversano la terra da cui provengono, le vite dei membri della famiglia, generazione dopo generazione, scorrono sospese fra la campagna d’origine, fatta di povertà e meraviglie, e la città foriera di fortuna. Qui, impegnati a rincorrere i propri sogni, i protagonisti si scontrano costantemente con l’arbitrio del potere, le imposizioni del patriarcato e la violenza di una società dove l’unico valore sembra essere rappresentato dal successo personale a scapito del prossimo.
Sheng Keyi, una delle autrici cinesi più popolari, rappresentante di una nuova generazione di scrittrici, firma un’appassionante saga familiare ambientata nella Cina di ieri e di oggi: un romanzo al tempo stesso ironico e drammatico, censurato in patria per via dei temi sensibili che affronta, i cui protagonisti oscillano fra le proprie speranze e i tragici interventi di un fato apparentemente inesorabile.

  • Editore ‏ : ‎ Fazi (17 marzo 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 350 pagine

Recensione a cura di Alice Ortega

Non è un romanzo facile da leggere, assolutamente. All’inizio ci scontriamo con la prosa dell’autrice, forse addirittura con la lingua cinese, visto che dalle note si evince che la traduzione vuole rispettare al massimo l’originale: le frasi sono brevi e intense, le metafore e i modi di dire sono per noi inediti anche se in genere è chiarissimo a cosa alludono (in caso contrario vengono spiegati), contribuendo ad immergerci nelle atmosfere in cui si svolge la narrazione. Ma la lettura risulta difficoltosa, spezzata anche dai capitoli brevi dedicati di volta in volta all’uno o all’altro dei membri della famiglia Li. Poi, poco a poco, ci si abitua e la lettura diventa trascinante.

Si tratta di una saga familiare che si dipana nell’arco di un secolo, dalla nascita del capostipite – il nonno Li Xinhai – nel 1911, giusto l’anno della Rivoluzione Xinhai o Rivoluzione Cinese, che vide la nascita della Repubblica Cinese, e si chiude proprio con la sua morte, il giorno del suo centesimo compleanno.

È una storia molto dura, quella di una famiglia di campagna che attraversa tutte le fasi della “crescita selvaggia” della Cina, avvenuta attraverso mille peripezie fino allo straordinario sviluppo economico di oggi, a cui però non è corrisposto un analogo sviluppo sociale e umano.

L’impossibilità di essere padroni della propria vita che affligge i cinesi di estrazione modesta, governati da un regime durissimo che castra le libertà individuali, l’autrice lo rappresenta con grande chiarezza attraverso le vicende della famiglia Li: gli uomini sono frustrati e arrabbiati, le donne – quelle che appaiono maggiormente ambiziose e disposte a mettersi in gioco – sono  schiacciate dal giudizio, dalla discriminazione, dal maschilismo codificato da leggi assurde. Malgrado ciò, le donne non si fermano e nemmeno vogliono rinunciare alla propria familia: con quegli uomini pieni di difetti e incapaci di prendersi cura di sè stessi, che spesso si aggrappano ai loro privilegi per ignoranza o disperazione; le speranze sono poche ma loro ci provano, tentando le due sole strade che appaiono percorribili: l’istruzione superiore e il trasferimento in città.

La strada della famiglia Li è davvero impervia, costellata di ingiustizie dalle conseguenze terribili, suicidi e malattie che non perdonano; il tutto, sullo  sfondo della storia della Cina: con i suoi episodi drammatici che non vengono mai nominati anche se la loro presenza – prima fra tutti la tragedia di Piazza Thienammen – incombe come un macigno nei racconti della voce narrante, Li Xiaohan, forse la più fortunata dei Li in quanto vede realizzarsi almeno in parte il suo sogno, ma a quale prezzo. 

Cos’altro dire: ho amato lo stile dell’autrice e del traduttore, che ha saputo farci entrare nella mentalità cinese anche grazie al linguaggio, alla scelta delle parole, alla cura e alla fedeltà (intuisco) con cui ha tradotto espressioni che mai avremmo usato in italiano, l’effetto full-immersion è davvero straordinario, ecco un esempio:

“Liu Zhima si ritrovò senza alleati e dovette rassegnarsi a slegare i buoi (dialetto per ‘lasciare perdere’), augurandole di crepare sul tavolo da gioco.”

Per il resto, la storia è agghiacciante, condita da un’ironia tagliente; ecco un altro esempio, in cui la miseria appare in tutta la sua spietatezza:

“La casa era ancora in costruzione quando mia sorella ebbe l’appendicite. In diversi momenti fu costretta a sdraiarsi per riprendere fiato, ma ciò scatenò le ire dei genitori di Asino Nero, il quale la trascinò di nuovo al lavoro. La cosa migliore, suggerì, era andare in ospedale appena terminati i lavori. Fatta eccezione per il lattante, non ancora in grado di esternare la propria opinione, questa proposta di razionalizzazione dei tempi incontrò il favore di tutti i membri della famiglia. Mia sorella accettava che la verità fosse appannaggio della maggioranza e non riteneva di avere alcun diritto di imporsi: qui si vedeva in azione l’indole mansueta forgiata nella casa da cui proveniva.

Quando Chuntian crollò a terra e non fu più in grado di rimettersi in piedi, la maggioranza detentrice della verità si decise a portarla all’ospedale. L’attenzione dei suoceri non indugiò nemmeno per un secondo sull’intestino di mia sorella, preoccupandosi invece dei costi che tagliare quell’inutile appendice avrebbe comportato. Che questa frattaglia marcia avesse quasi ammazzato Chuntian non li tangeva proprio per niente: interrompere i lavori sulla casa, quella sì che era una grave perdita.”

Concludendo, nessuno si salva e chi ci riesce anche se solo in parte è costretto alla solitudine, all’egoismo per necessità; i giovani sembrano portare una ventata di speranza, ma comunque fuggono o si isolano, con esiti incerti. L’impressione è che una società così frantumata e costretta a rinunciare agli affetti, guidata solo dalla lotta per la sopravvivenza e dal denaro, sia davvero una prospettiva terribile che deve servire da monito a tutti noi: che magari più lentamente, ma siamo tutti su una strada per molti versi analoga.

Una lettura davvero istruttiva, appassionante e piena di amore per un popolo straordinario, tenace e disperatamente deciso ad aprirsi alla vita

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