Il fiore di Minerva di Carmine Mari

Nel XVI secolo le navi corsare barbaresche infestano il Mediterraneo. Enrico II, re di Francia, non ha mai rinunciato alle proprie ambizioni di dominio sull’Italia, facendo leva sul malcontento della nobiltà napoletana, insofferente alla politica spagnola del viceré di Napoli Don Pedro Alvarez de Toledo. A Salerno l’ex conquistador Héctor dell’Estremadura è al servizio del principe Ferrante Sanseverino. I cannoni del suo Nibbio mandano a picco un brigantino francese e a salvarsi è il solo comandante. L’uomo ha con sé una lettera cifrata e alcuni documenti che Héctor consegna allo stratigoto Marcantonio Villano. Una serie di omicidi e la sparizione della lettera cifrata metteranno in agitazione l’astuta Isabella Villamarina, moglie del principe Ferrante e devota suddita dell’imperatore Carlo V. I piani di alleanza del marito con il re di Francia sono tanto ambiziosi quanto pericolosi: un’accusa di tradimento sarebbe la rovina. Per Héctor sarà un’indagine complessa che s’intreccerà con un altro mistero: il ritrovamento dello scheletro di una bambina, rinvenuto nel giardino di Costanza Calenda, affascinante ed esperta erborista. Egli farà i conti con loschi individui e dovrà scavare su una vicenda le cui radici risalgono alla cacciata degli ebrei dalla Spagna, tra intrighi e affari di corte. Lottando contro i suoi fantasmi, Héctor proverà a svelare ogni enigma della vicenda, cercando nell’amore per Costanza una nuova speranza di salvezza.

  • Editore ‏ : ‎ Marlin (Cava de’ Tirreni) (3 marzo 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 432 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Il Golfo di Salerno e la rinomata corte del principe Ferrante di Sanseverino e di sua moglie Isabella fanno da sfondo ad una storia affascinante, le cui diverse tematiche si intrecciano tra di loro dando vita ad una tela intricatissima e piena di colpi di scena.

Prima di tutto inquadriamo il periodo storico in cui si svolge la nostra storia. Siamo nella Salerno del 1551 in piena dominazione spagnola. La politica del viceré di Napoli, Don Pedro Alvarez de Toledo, è ormai mal sopportata, e questo ha portato a rafforzare le speranze di Enrico II, re di Francia, che non ha mai rinunciato alle proprie ambizioni di dominio sull’Italia. In questa cornice di estrema instabilità una notte nella baia il Nibbio, la nave dell’ex conquistador Héctor dell’Estremadura, affonda un brigantino francese. L’unico superstite è il capitano, il quale viene imprigionato in attesa di essere interrogato poichè reca con sé una lettera cifrata e alcuni documenti che Héctor consegna prontamente allo stratigoto Marcantonio Villano. Il termine stratigoto si riferisce ad una designazione risalente alla burocrazia bizantina che indicava l’esponente della magistratura cittadina. 

Ma il francese non verrà mai interrogato poiché viene rinvenuto cadavere a seguito della misteriosa visita di un cerusico che nessuno sembra aver convocato. È ovvio che qualcuno ha voluto tappare la bocca al superstite in modo che non potesse divulgare segreti scomodi. Ma non si tratta dell’unico cadavere sospetto poiché anche Marcantonio Villano, che aveva ricevuto le carte misteriose, viene ritrovato assassinato nel suo studio, e ovviamente degli incartamenti non si trova più traccia.

“…questo è un delitto maturato tra le mura di casa. La porta chiusa a chiave, il vino passito e la morte data con il candelabro. Si è trattato di un gesto istintivo di qualcuno che ha agito con rabbia. È più facile tracciare la rotta nel mezzo di una tempesta che comprendere la natura umana”.

Ma il mistero che Héctor è chiamato a svelare si infittisce, poiché sulla scrivania del defunto viene rinvenuto un appunto:

“Di chi sono le ossa? Perché erano sepolte senza bara? Chi le ha rubate? Chi ha ucciso Miriam?”.

In un orto confinante con la spezieria “La Calendula” sono state di recente trovate delle ossa umane insieme ad una testa di bambola. Le suddette vengono trasportate nella chiesetta della Judaica, da dove però scompaiono misteriosamente.

“Don Fabrizio non si spiegava a chi facesse gola un mucchio di ossa e quattro cenci, se non a un eretico o a qualche fattucchiera”.

Héctor apprende che lo stratigoto era particolarmente turbato per la vicenda delle ossa, non a caso stava consultando il faldone riguardante la spartizione dell’orto interessato dal ritrovamento, dunque appare molto probabile che anche questo mistero debba collegarsi agli altri due. La vita dell’ex conquistador si viene presto a scontrare con quella della giovane speziale Costanza Calenda. La ragazza si occupa della spezieria di famiglia da quando il padre, affranto per la perdita della moglie, giace a letto. Ha in carico inoltre l’istruzione di alcune giovinette indigenti che ha sottratto alla miseria o agli abusi, le quali sono diventate a tutti gli effetti sue allieve, in attesa di poter realizzare il suo grande sogno:

“Fondare un’accademia tutta femminile, aperta alle ragazze più indigenti, era il desiderio della sua vita”.

Le sue aspettative sono purtroppo contrastate dal fratello Ascanio che intende vendere l’esercizio per entrare in affari poco chiari con il suo amico Boccuccio Robertello, un individuo ripugnate che passa il tempo nei lupanari a molestare bambine indifese, e quando è in casa picchia sua moglie senza pietà. Ma Costanza non demorde neanche quando subisce un misterioso furto all’interno del suo esercizio e rinviene il distillatore con il quale confezionava le sue essenze distrutto, è una giovane donna piena di risorse, una fervente seguace di Trotula de Ruggero, la celebre maestra dell’XI secolo della Scuola Medica Salernitana specializzata nelle patologie femminili:

“Sono convinta che una donna possa tranquillamente fare meglio di un uomo, se ha fiducia in sé. Trotula lo ribadiva di continuo nelle sue opere; la fiducia è l’arma migliore che possa avere una donna”.

Anche Héctor però è un uomo che non demorde, e nonostante venga bruscamente sollevato dall’incarico di far luce sulla morte dello stratigoto, per il quale è stato confezionato un colpevole ad hoc, scoperchierà un vaso di pandora dal quale verranno fuori molti mali, troppi:

“…si era fatto trascinare in quella storia e impelagarsi nelle faccende di corte, scoperchiando un verminaio putrescente”.

Chi ha ucciso il francese e trafugato i preziosi documenti che portava con se? Chi ha assassinato a sangue freddo lo stratigoto? Chi è Miriam? Appartengono a lei le ossa trovate nell’orto e poi rubate nella chiesa? E se Miriam è stata uccisa, chi è stato, e perchè? Come si collegano tutti questi fatti tra loro? E poi, che significato nasconde il fiore di calendula che sembra essere direttamente legato non solo a Costanza, ma anche alla misteriosa Miriam? Non resta che affiancare Héctor nella sua indagine e raccogliere uno ad uno gli indizi che ci poteranno a svelare gli arcani. 

Il Fiore di Minerva è uno di quei libri che lascia il segno, e non solo per la trama ben costruita e i personaggi che la popolano. In questa storia, come accennato, si vengono ad intrecciare diverse tematiche di grande interesse storico e culturale che stuzzicano il palato di chi è affamato di storia. 

In primis la situazione politica del viceregno di Napoli di cui Salerno fa parte, la delicata situazione della corte di Ferrante Sanseverino che accarezza pericolosi piani di alleanza con il re di Francia rischiando un’accusa di tradimento che lo porterebbe alla rovina. Da qui l’esigenza di far sparire prove e persone che potrebbero incriminarlo.

Il desiderio di emancipazione femminile incarnato nella figura di Costanza che non ammette subordinazioni, conscia del valore di ogni individuo in quanto figura a se e non legata a stereotipi di genere, un pensiero questo molto pericoloso per l’epoca che, ricordiamo, fa da preambolo alla tristemente nota stagione dei roghi delle streghe.

Altra tematica rilevante è quella dell’abuso, a partire dalle bambine vendute, comprate e brutalizzate nelle locande per pochi spiccioli, fino ad arrivare a quello che si consuma con altrettanta ferocia e poca discrezione all’interno delle mura delle case. Una realtà vecchia come il mondo, le cui radici restano ancora oggi ben salde nel terreno della nostra quotidianità.

La spinosa questione degli ebrei cacciati dalla Spagna, accolti altrove ma costretti a convertirsi al cristianesimo, i quali non hanno mai abbandonato il loro credo e continuano a professarlo in segreto, tra il timore di essere scoperti e denunciati, e il desiderio di poter mantenere vive le tradizioni del loro popolo.

Il traffico dei testi messi all’Indice e, di conseguenza, lo spettro dell’eresia che aleggia proprio in quel periodo su tutta l’Europa cristiana, una piaga che ha scosso le fondamenta della religione a partire da qualche decennio prima, più precisamente dal 31 ottobre del 1517, quando Martin Lutero aveva affisso sulla porta della chiesa di Wittenberg le celebri 95 tesi, l’inizio de facto dello scisma dal cattolicesimo e del fiorire di molti movimenti similari.

Di notevole interesse, a mio parere, risulta essere anche il tormento interiore di Héctor, direttamente legato alla triste vicenda dell’eccidio perpetrato ai danni dei nativi oltreoceano dai conquistadores spagnoli. Il nostro protagonista non ha mai superato l’orrore di ciò che ha visto e, suo malgrado, ha fatto alle inermi popolazioni indigene, e questo lo porta a cercare disperatamente una redenzione aiutando i deboli, gli indifesi, i piccoli, così da esorcizzare il senso di colpa che grava sulle sue spalle:

“Dopo l’episodio sulle montagne del Perù, qualcosa si era rotto dentro di lui, ma aveva rifiutato di ammetterlo a se stesso. Sentiva le grida disperate, vedeva i propri uomini gettarsi come demoni sulle donne e ancora le fiamme dell’inferno generato dal suo odio; una creatura mostruosa insaziabile di dolore e onnipotenza”.

Ma non sarà così semplice scacciare i fantasmi del passato. Héctor necessita di una nuova avventura, un’altra possibilità che lo faccia uscire dal purgatorio nel quale è prigioniero, e che speriamo di leggere presto.

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