La profezia perduta di Giordano Bruno di Roberto Ciai e Marco Lazzeri

Recensione di Claudia Renzi

Nato a Nola nel 1548 Filippo Bruni a 15 anni vestì il saio domenicano e diventò Giordano: tuttavia ben presto manifestò quelle particolarità che ne faranno la cifra e la rovina. Sebbene frate domenicano, infatti, Bruno assorbì varie correnti di pensiero e religione e le fece proprie: ebraismo e cabalismo, lullismo, neoplatonismo, ermetismo, per poi esprimere forti dubbi, se non vero e proprio scetticismo, nei confronti della Trinità e di altri punti cardine della sua stessa confessione. 

Fuggito una prima volta a Roma, dove fu perfino sospettato dell’omicidio di un altro frate e del possesso di libri proibiti, da lì iniziò il suo peregrinare per l’Europa: dapprima in Svizzera, poi Parigi, fino a giungere in Inghilterra nel 1583 dove, venuto a disputa con i dotti della già prestigiosa università di Oxford, lascerà l’Inghilterra per tornare poi ancora a Parigi e in Italia. 

Mentre è in Inghilterra, Bruno aveva attirato le simpatie nientemeno che della regina, l’inossidabile Elisabetta I Tudor: nel notevole romanzo di Ciai e Lazzeri è proprio lei ad affidare al suo uomo più fidato una missione apparentemente impossibile: tirare fuori Giordano Bruno dal carcere romano di Tor di Nona, dov’era finito per l’incomprensibile avocazione di un processo per eresia che era iniziato zoppicante a Venezia anni prima. 

Poco dopo la pubblicazione di alcuni suoi libri in quel di Parigi, infatti, il patrizio veneto Giovanni Mocenigo aveva invitato il nolano a Venezia caldeggiando sostegno e ammirazione: Bruno aveva fatalmente accettato ma, poco dopo, l’ospite si era rivelato un traditore. Ufficialmente Mocenigo aveva denunciato il chiacchierato frate per il suo rifiuto di iniziarlo ai segreti della sua prodigiosa mnemotecnica, ma in realtà il vero motivo rimane oscuro. Alla regina Elisabetta però tutto ciò non interessa: lei vuole che Bruno sia liberato per mettere in imbarazzo il papa, quel Clemente VIII Aldobrandini che nel 1599 aveva mandato a morte la giovane Beatrice Cenci e quel che restava della sua famiglia; un simile smacco avrebbe dato ancor più lustro al suo già leggendario potere. 

La Regina Vergine affida l’impresa all’unico che può compierla, John Corso, ex spia al soldo dello spregiudicato Walsingham. Dapprima recalcitrante, solo dietro ricatto Corso accetterà la disperata impresa, partendo alla volta di Roma. 

Allora era questa, Roma. […] Gli era sembrata la porta del paradiso.

Piena di rovine, era vero, ma anche d’oro e stucchi, santi, martiri che

nelle statue mantenevano l’aspetto sereno nonostante il dolore. Le

strade s’incurvavano fra i muri e rubavano il nome alle chiese, ai

ruderi, alle botteghe, ai banchi, alle famiglie, come se a Roma niente

potesse andar perduto. Nemmeno le teste dei briganti, dei ladroni e

degli scellerati che ornavano i ponti.

Ad aiutarlo, il cerusico Cesare Scacchi da Preci che anni prima, in Inghilterra, aveva curato Elisabetta. 

La Roma descritta, con grande perizia del periodo, dai due autori, è cupa e opprimente, come l’ostracismo di alcuni dei suoi governanti. In una serie incalzante di stratagemmi e colpi di scena il capitano Corso riuscirà a sottrarre l’incartamento relativo a Giordano Bruno e ritardare così la sua condanna a morte, che pare tuttavia già decisa. Di fondamentale aiuto saranno la giovane suor Caterina, da un lato, e la cortigiana Aprile, dall’altro: oltre che a salvare, forse, il futuro del frate, riusciranno a salvare Corso dal suo doloroso passato. 

«Dio fece a pezzi la vita di Giobbe, distrusse la sua casa e i suoi

figli. Allora Giobbe chiese a Dio, “perché?”. E Dio gli rispose “Io ho

creato le montagne e i miracoli. E tu metti in discussione me?”»  

Un primo colloquio in cella con Giordano Bruno fa capire all’inglese che l’uomo non è il solito eretico, ma qualcosa di diverso, a volte perfino contraddittorio: prima abiura, poi ci ripensa, e poi sosteneva fosse necessario tornare alla religiosità antica, alla sapienza che da Mosè in poi aveva indicato la via, qualcosa insomma di pericolosamente vicino alla concezione panteistica e alla magia naturale, e tuttavia la Natura di cui il nolano parla altro non è che Dio, nella sua immensità e imperscrutabilità, un Dio trascendente e immanente a un tempo, inconoscibile sempre. 

Si accorse che l’altro non afferrava.

«La materia cambia pelle nel modo di un immenso serpente, ma

resta immutata. Anime a migliaia nascono e muoiono, e a essa

fanno poi ritorno. Dio è tutte loro, eterno, eternamente uno, simile e

medesmo».

Gli autori somministrano al lettore, con uno stile incalzante, a volte rude, caratterizzato da fine ironia e grande erudizione, pillole della filosofia del controverso frate: Dio è la Natura, della quale l’uomo e tutto ciò che esiste sono componenti collegate le une alle altre: solo in questo senso l’uomo, può arrivare a tentare di comprendere Dio; tuttavia, non a tutti è possibile essere filosofi a tal punto, e dunque i “rozzi popoli” devono essere guidati dai pastori della varie confessioni religiose. Cosa davvero buona nell’uomo è l’inclinazione a creare, imitare in questo, per quanto possibile, Dio. 

La posizione di Bruno, vicina alle teorie eliocentriche, contribuì ad aggiungere carne al fuoco:

Mi chiedevo,

quelle stelle che gli antichi immaginavano fissate coi chiodi all’ultima

parete del mondo, non possono essere soli circondati dai pianeti? E

se l’Universo reggesse un numero incalcolabile di astri sparsi nel

firmamento? Se fossero addirittura interminabili? Se, se, se…

Se Dio è infinito, anche l’Universo che Lui ha creato lo è; dunque Bruno arrivò a ipotizzare che esistessero altri universi, con altri soli e pianeti intorno ad essi, e che questi altri mondi fossero popolati, come anche Nicolò Cusano aveva fatto, ma più prudentemente, prima di lui. 

Per tutto ciò nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, sede dell’Inquisizione, due eminenze spiccano nella lotta che vede contesa la vita di Bruno, tratteggiate sapientemente da Ciai e Lazzeri: il cardinale Giulio Santorio, prefetto della Congregazione del Sant’Uffizio, e il cardinale Roberto Bellarmino, futuro santo che avrebbe presieduto anche al processo di Galileo Galilei. 

Bellarmino abbassò la voce. 

«Volete veramente saperlo? Ebbene sì, maledetto idiota, io credo

che abbiate ragione».

«Allora avete appena bestemmiato», disse Bruno, nascondendo un

sorriso. «E comunque è già qualcosa»

Bellarmino l’intransigente è deciso a salvare Giordano Bruno dal rogo stabilito per il fatidico 17 febbraio 1600… Giordano Bruno permettendo: 

E che cosa sarei vissuto a fare, se ritrattassi? Tutto ciò che ho

detto e scritto scomparirebbe. Verrebbe dimenticato per sempre.

Ogni sforzo, ogni sacrificio, tutto il senso della mia vita finirebbe

nell’oblio. È questa la fine che mi spaventa».

Fra complotti e stratagemmi, l’eredità di Giordano Bruno, quella sì, arriverà ai posteri, realizzandosi come una profezia. 

Il segreto dell’uomo che sfidò la Chiesa riaffiorerà dalle ceneri
Londra, fine del XVI secolo. 

Il capitano John Corso, ex guardia personale di Sua Maestà Elisabetta I d’Inghilterra, è un uomo amareggiato dalla vita e incline alla violenza, desideroso di trascorrere i suoi ultimi anni in pace. 
Ma una lettera del cerusico italiano Cesare Scacchi, diretta alla regina, è destinata a cambiare ogni cosa. Il cerusico assiste i reclusi nelle prigioni del Sant’Uffizio a Roma e uno di loro gli è particolarmente caro: frate Giordano Bruno da Nola («huomo di grande scientia», come lo definisce, «patrone di una visione del mondo fatale e hardita, ribelle eppur coherente»). La preghiera di salvarlo dal rogo è accolta dalla sovrana, che incarica Corso di occuparsene. Con la minaccia di radere al suolo il suo villaggio in caso di rifiuto. 
Tra i dubbi e il veleno di ricordi terribili, il capitano parte per Roma. In un inverno straziato da freddo e piogge torrenziali, raggiunge il Sant’Uffizio e nelle carceri incontra frate Bruno, a cinquanta giorni dalla data dell’esecuzione. 
Giordano Bruno sa che la morte nel fuoco gli corre incontro ora dopo ora, tuttavia rifiuta di fuggire. Per quale motivo non vuole il suo aiuto? Chi sono i potentissimi nemici che lo vogliono morto? E, soprattutto, chi sta tramando alle spalle del capitano Corso?

  • Editore : Newton Compton Editori (25 febbraio 2021)
  • Lingua : Italiano
  • Copertina flessibile : 416 pagine
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2 Risposte a “La profezia perduta di Giordano Bruno di Roberto Ciai e Marco Lazzeri”

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