Progetto di sangue – Graeme Macrae Burnet

«Scrivo su richiesta del mio avvocato, il signor Andrew Sinclair, che fin dal giorno della mia incarcerazione qui a Inverness mi ha trattato con una cortesia che so di non meritare. La mia vita è stata breve e priva di importanza, e non voglio certo sfuggire alla responsabilità per le cose che ho commesso ultimamente». Inizia così il memoriale del giovane Roderick Macrae, reo confesso di un triplice omicidio che, nel 1869, sconvolge la piccola comunità scozzese di Culduie, una frazione di sole nove case. Orfano di madre e figlio di un fittavolo in miseria, con una sorella di poco più grande, Jetta, e due fratelli gemelli molto più piccoli, Roddy ha dovuto abbandonare gli studi per lavorare la terra e guadagnare il denaro che serve alla sua famiglia col sudore della fronte. Le tribolazioni della famiglia Macrae hanno un solo nome: Lachlan Mackenzie. Lachlan vive al capo opposto del villaggio, insieme al fratello Aeneas e al cugino Peter. Un terzetto famoso per le bevute e le baruffe in cui è spesso coinvolto giù alla taverna di Applecross. Non è mai corso buon sangue fra i Macrae e il clan dei Mackenzie, un rancore che perdura da decenni benché nessuno ne ricordi più la causa, ma da quando Lachlan è stato eletto conestabile del villaggio, la famiglia Macrae non ha più pace. Col fervore di una volpe in un pollaio, Lachlan si è messo a controllare con puntiglio lo stato dei terreni, le condizioni dei sentieri e i fossati dell’appezzamento coltivato da Roderick Macrae, finché non ha trovato il modo dapprima di togliergli un quinto del podere e poi di inviargli una notifica di sfratto. Il giorno dopo lo sfratto, Lachlan viene trovato brutalmente assassinato e Roderick, ricoperto di sangue, viene avvistato nei dintorni del podere dei Mackenzie. Il ragazzo non esita a dichiararsi responsabile dell’omicidio e viene rinchiuso nel carcere di Inverness in attesa del processo, in cui verrà giudicato dalle migliori menti legali e psichiatriche del paese. L’unico a dubitare della confessione di Roderick, tuttavia, sembra essere proprio il suo avvocato, Andrew Sinclair. Roderick ha raccontato la verità? La sua condanna è giusta o immeritata? Attraverso

un’affascinante ricostruzione storica, Graeme Macrae Burnet ha scritto un romanzo sulla giustizia, la criminalizzazione e il classismo nel tardo XIX secolo in Scozia.

  • Editore ‏ : ‎ Neri Pozza (29 giugno 2017)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 286 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

“Scrivo su richiesta del mio avvocato, il signor Andrew Sinclair, che fin dal giorno della mia incarcerazione qui a Inverness mi ha trattato con una cortesia che so di non meritare. La mia vita è stata breve e priva di importanza, e non voglio certo sfuggire alla responsabilità per le cose che ho commesso ultimamente. È solo per ripagare la gentilezza che l’avvocato mostra nei miei confronti che affido queste parole alla carta”.

Una vicenda criminale apparentemente accaduta realmente è la base di questo romanzo storico ambientato nelle Highlands scozzesi nel XIX secolo. L’autore si imbatte in alcune memorie datate 1869 mentre sta cercando notizie sul nonno paterno nell’ Highland Archive Centre di Inverness. Attraverso vecchi ritagli di giornale, deposizioni dei testimoni durante il processo, dichiarazioni rilasciate alla polizia, documentazioni delle autopsie eseguite sulle vittime e un resoconto, alquanto discutibile, dello psichiatra che ha esaminato il soggetto, riesce a ricostruire l’intera storia processuale e personale di Roderick Macrae, un diciassettenne accusato di tre omicidi avvenuti a Culduie.

La storia di questa vicenda ci viene narrata divisa in sezioni. E per quanto questo tipo di scelta potrebbe risultare un po’ insolita, scorrendo le pagine ci rendiamo conto che la scelta dell’autore è stata più che ottima in quanto abbiamo una visione dell’intera vicenda da ogni punto di vista, così da essere in grado di farci un’idea più chiara di ciò che è accaduto a Culduie e a Roderick Macrae.

In apertura abbiamo delle dichiarazioni rilasciate alla polizia dai residenti che sono accorsi per primi sul luogo del delitto. È molto curioso notare come le opinioni sull’omicida siano totalmente diverse a seconda di chi le rilascia. I vicini di casa del ragazzo, ad esempio, ci tengono a ribadire che nonostante l’accaduto è sempre stato un giovane cortese e ammodo, così come peraltro ribadisce il suo ex insegnante che afferma che, a dispetto delle sue capacità intellettuali nettamente superiori a quelle dei suoi compagni, Roderick Macrae avrebbe potuto continuare gli studi per potersi elevare socialmente se suo padre non glielo avesse impedito, e stenta a credere che possa aver compiuto un simile atto. 

Ma c’è chi lo accusa apertamente, e non mi riferisco solamente ai parenti di coloro che hanno perso la vita a causa sua, ma bensì al reverendo James Galbraith, il quale sembra condannare insieme a Roderick Macrae anche tutta la sua famiglia e la parrocchia intera.

“Temo che le atrocità commesse di recente in questa parrocchia indichino il riaffiorare dell’innata selvatichezza degli abitanti del luogo […] Qualcuno ha scritto che la storia di questa terra è macchiata da crimini turpi e cruenti e che la sua gente è affetta da una sregolatezza che rasenta la depravazione […] La malvagità del ragazzo era più che palese e, mi dispiace dirlo, non ho mai avuto alcun ascendente su di lui. Sua madre, Una Macrae, era una donna frivola e menzognera […]”.

Dopo aver letto le varie dichiarazioni è ovvio avere idee contrastanti, ma a questo punto l’autore inserisce il resoconto del protagonista assoluto della vicenda, il quale ci racconta una storia di povertà, ingiustizia, ignoranza e abbruttimento dell’essere umano che quasi si stenta a crederla accaduta in tempi relativamente recenti. Infatti nonostante siamo nel 1869 e il mondo si sta avviando verso la modernizzazione a passo svelto, a Culduie, un villaggio di sole nove abitazioni nella parrocchia di Applecross, proprio di fronte alla famosa Isola di Skye, il tempo si è praticamente fermato al medioevo. La famiglia di Roderick, dopo aver perso la madre, sprofonda sempre di più nella miseria, perché essere fittavoli e coltivare un pezzetto di terra, peraltro poco fruttifera, non da certo il sostentamento sufficiente per sfamare decentemente degli esseri umani. Per questo motivo, come già accennato, il giovane ha dovuto abbandonare gli studi:

“La mia famiglia aveva bisogno di me, e quelle cose non erano fatte per gente come noi. In ogni caso, nessuno dei miei coetanei della parrocchia andava a scuola e mi sarei sentito sciocco in mezzo ai bambini”.

Ma nonostante l’impegno a voler aiutare suo padre a tirare la carretta, Roderick non riesce a contribuire al benessere della famiglia, sia perché incappa in situazioni un po’ sfortunate, ma anche perché il conestabile del villaggio, tale Lachlan Mackenzie, non gli da pace: controlla lo stato del terreno con un puntiglio ingiustificato, le condizioni dei fossati e dei sentieri, poi toglie loro persino un pezzo di terra e successivamente notifica uno sfratto. Insomma, nel leggere le memorie di questo giovane ragazzo si assiste a tutta una serie di vessazioni crudeli e ingiustificate in seguito alle quali chiunque potrebbe perdere la pazienza, e magari reagire in maniera violenta.

Ma la parte più interessante, a mio parere, è la relazione fatta da James Bruce Thomson, un medico penitenziario che risulta essere una sorta di luminare dell’antropologia criminale, una scienza che, ricordiamolo, stava muovendo proprio allora i primi passi. Di questo incontro tra il sedicente criminologo e Roderick, avvenuto nella prigione di Inverness dove quest’ultimo era in attesa di processo, riporterò solo le conclusioni senza togliervi il piacere di leggere questo delirio di lombrosiana memoria nella sua interezza:

“In conclusione, R.M. condivideva un certo numero di tratti somatici con i detenuti del penitenziario di Perth (in particolare il cranio deforme, il volto sgraziato, il torace sporgente, le braccia e le orecchie allungate). Tuttavia, quanto al resto, era un esemplare umano in buona salute e ben sviluppato, e chi lo avesse osservato nel suo ambiente naturale non avrebbe di primo acchito ravvisato in lui un membro della razza criminale. Questo lo rendeva un soggetto interessante che meritava di essere studiato in modo più approfondito”.

E tanto per confermare certe convinzioni circa la “razza criminale” il buon dottore pensa di recarsi sul luogo del delitto per studiare anche la famiglia di questo curioso soggetto:

“[…] solo dopo aver conosciuto la famiglia da cui discende potrò stabilire se tali elementi distintivi sono di natura ereditaria o meno. L’acqua nel bicchiere è sicuramente sporca, ma dobbiamo accertare se lo è anche la fonte. Qualora la fonte risultasse contaminata, la responsabilità del vostro cliente riguardo agli atti che ha commesso andrebbe valutata diversamente”.

E quando giunge a Culduie queste sono le sue considerazioni finali, ciò che in pratica dichiarerà durante il processo:

“Gli abitanti sono per lo più di ceppo scadente, bassi di statura e dall’aspetto poco gradevole, questo probabilmente a causa dell’accoppiamento fra consanguinei, come è attestato anche dall’alta incidenza degli stessi cognomi in tutta l’area. Le condizioni di vita dell’imputato e della sua famiglia mi sono parse poco consone a degli esseri umani, in quanto il loro tugurio, esito a chiamarlo alloggio, era sudicio e mal ventilato e veniva condiviso con il bestiame. Il padre, con cui ho conversato per qualche minuto, si è rivelato ottuso fin quasi a rasentare l’idiozia. La madre dell’imputato è morta di parto, il che denota, quasi sempre, una gracilità congenita da parte della partoriente. La sorella dell’imputato si è tolta la vita e anche questo fa pensare alla presenza di una tara psichica nella famiglia. Non ho avuto l’opportunità di visitare i fratelli minori dell’imputato perché sono stati portati altrove. In conclusione, si può affermare senza alcun dubbio che l’imputato deriva da un ceppo familiare subnormale”

Il processo a Roderick Macrae si apre il 6 settembre del 1869, e dura tre giorni. Oggi potremmo definirlo come mediatico data la grande affluenza di curiosi e i numerosi giornalisti che si prendono a gomitate per accaparrarsi il posto migliore.

“Il caso aveva suscitato tanto scalpore che centinaia di persone si erano radunate fuori dal tribunale, e solerti venditori ambulanti avevano montato le loro bancarelle per provvedere alle necessità della folla”.

In questi tre giorni vengono interrogate tantissime persone che direttamente o indirettamente sono entrate a contatto con l’imputato, e dalle loro dichiarazioni giurate emergono sia le condizioni di vita miserrime della famiglia Macrae, vessata ingiustamente non solo dalla vita ma anche da Lachlan Mackenzie, sia la natura particolare dell’imputato, che è sempre stato sì un giovane ammodo, ma che è solito avere delle abitudini che a noi lettori non sembrano troppo preoccupanti, ma che per gli scozzesi del XIX secolo sono un po’ bizzarre. Ma al di là di questo il giovane ha ucciso tre persone, e un’assoluzione è praticamente impensabile, quindi la giuria lo dichiara colpevole di tutti i capi di imputazione, e la sentenza è ovviamente la pena capitale.

L’avvocato del giovane tenta di mettere in discussione la validità della condanna facendo pubblicare il resoconto scritto dal suo cliente, così da poter convincere i giuristi sulla non sanità mentale del ragazzo, ma non essendoci alcun vizio di forma nello svolgimento del processo la sentenza viene eseguita regolarmente.

Questa lettura mi ha colpito davvero molto. L’autore fonde diversi generi facendo convivere il romanzo storico con quello che oggi siamo abituati a chiamare legal thriller, trascinandoci nelle campagne scozzesi nel secolo XIX, dove la disparità tra le classi sociali, la povertà e il degrado generavano da una parte soprusi di ogni genere e dall’altra un odio cieco e feroce. Inoltre grazie ad una puntigliosa ricerca storica su quelle che erano le teorie criminologiche di derivazione lombrosiana, abbiamo la possibilità di comprendere meglio il pensiero dell’epoca in materia, che è decisamente bizzarro.

Non dimentichiamo poi che il protagonista di questo romanzo si chiama come l’autore, Macrae, e questo intriga da subito il lettore poiché è portato a credere che si tratti di una ricostruzione storica di fatti realmente accaduti.

Inoltre ricordo che Progetto di Sangue è stato finalista del prestigioso premio letterario inglese Man Booker Prize nel 2016.

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