Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo di Adriano Petta e Antonino Colavito

Astronoma, matematica, musicologa, medico, filosofa, erede della scuola alessandrina, fu fatta massacrare da Cirillo, vescovo di Alessandria. Con questo delitto la cultura occidentale ha definitivamente escluso la donne dalla sfera del sapere. La vita di Ipazia è una delle più antiche parabole su un conflitto secolare ma ancora attuale: fede e ragione, uomo e donna. Per secoli la scienza sperimentale moderna ha creduto di avere un solo padre, Galileo, quando in realtà possiede anche un madre, nata 1200 anni prima di Galileo: Ipazia. Il ritratto che ci è stato tramandato è quello di una donna di intelligenza e bellezza straordinarie. Fu l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, oltre che la principale esponente alessandrina della scuola neoplatonica. Aggredita per strada, fu scarnificata con conchiglie affilate, accecata, smembrata e bruciata. Un assassinio considerato dallo storico Edward Gibbon “una macchia indelebile” nella storia del cristianesimo. All’inizio del III millennio l’UNESCO, dietro richiesta di 190 stati membri, ha creato un progetto internazionale, il progetto Ipazia, appunto, che intende favorire piani scientifici al femminile nati dall’unione delle donne di tutte le nazionalità. Prefazione di Margherita Hack.

  • Editore ‏ : ‎ La Lepre Edizioni (28 marzo 2013)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

“Ipazia rappresenta il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatta grande la civiltà ellenica”. Margherita Hack

La storia romanzata di Ipazia non è di facile lettura. É divisa in due parti. La prima ripercorre la vita di Ipazia, astronoma, matematica, fisica, nata ad Alessandria d’Egitto nel 370 d.C. circa, fino al suo assassinio ad opera di un gretto fondamentalismo religioso che tenta di mettere a tacere la scienza e la conoscenza. La seconda parte invece è dedicata ai suoi studi, alle scoperte fatte e ai suoi sogni, con alcuni approfondimenti di fisica, matematica e astronomia che, per quanto siano introdotti con un linguaggio alla portata di tutti, risultano un pochino indigesti per una mente non abituata alle materie citate.

Le tristi vicende che hanno portato Ipazia alla morte ci vengono narrate da Shalim, un suo fedelissimo allievo che viene a contatto con lei nel 391 d.C. quando la scienziata, allora molto giovane, si reca nella sua bottega in cerca di papiri. La siccità ha distrutto tutte le piante e le poche scorte presenti in città sono state tutte acquistate dal vescovo e patriarca Teofilo. Shalim, che da sempre vorrebbe frequentare il Centro Studi del padre di Ipazia, Teone, ne approfitta per mostrarle alcuni calcoli astronomici che ha realizzato, e il progetto di un canalizzatore d’acqua che potrebbe fare la differenza in città visto che ad Alessandria presto scarseggerà l’acqua dolce. La scienziata ne rimane molto colpita e lo invita ad unirsi al Centro Studi che è sito nel Serapeo, un tempio sede anche della Biblioteca. Purtroppo quelli sono tempi difficili per chi ancora non si è convertito al cristianesimo:

“Ricordi il decreto imperiale Nemo se hostiis polluat del 24 febbraio scorso? Praticamente vieta il culto pagano ed ebraico. La caccia a noi non cristiani è cominciata”.

Nei sotterranei del tempio sono conservati i codici più antichi e di questi tempi non sono più al sicuro, andrebbero spostati. Shalim si offre di occuparsi del trasloco, nasconderà i codici al Faro, in un cunicolo che ha recentemente notato nel cimitero dei bambini. Tuttavia la situazione precipita in seguito ad una visita del vescovo Teofilo nella Biblioteca in cui si scontra non solo con Teone ma anche con Ipazia stessa, che viene accusata di essere una creatura gonfia di orgoglio e alterigia solamente perché ha osato esprimere un suo pensiero:

“Il ruolo della donna non è stato scritto da Dio, ma da uomini come te patriarca. La donna si è quasi sempre vista negare l’accesso al sapere e alle scienze, alle scuole, alle accademie, alle biblioteche, ai Centri Studi. Tu sai perfettamente che chi detiene la conoscenza detiene un potere. Tu hai paura della mia scienza, di quello che ho imparato e di quello che imparerò. Perché quello che io sto scoprendo può mettere in pericolo la tua posizione di vescovo e di patriarca”.

In tutta risposta il tempio di Serapide viene chiuso e vengono vietate tutte le cerimonie pagane. Teone e Ipazia non si arrendono e meditano di spostare il Centro Studi in casa loro, ma continuano l’opera di trasloco dei codici dividendoli tra il Faro e la nave di un vecchio mercante ormeggiata in porto. Un giorno il tempio viene oltraggiato, gli oggetti di culto al suo interno gettati alla rinfusa e sporcati di feci:

“È proprio questo lo scopo di Teofilo: calpestare i nostri sacri templi, esporre gli oggetti di culto che per generazioni noi sacerdoti abbiamo custodito, per esporli allo scherno di chiunque, per strada, sulle feci umane”.

Gli eventi dunque stanno precipitando velocemente. Lo sdegno per la profanazione del tempio dà origine a scontri e tafferugli per le strade della città. I cristiani però hanno le istituzioni dalla loro parte, infatti pare che l’imperatore abbia comandato di distruggere tutti i templi dei falsi dei, e la folla invasata decide di iniziare proprio da quello di Serapide. Nella folla troneggia anche il vescovo, il quale non muove un muscolo quando la folla armata di torce entra all’interno del tempio e dà fuoco alla biblioteca con Teone, il padre di Ipazia, all’interno.

In seguito a questo tragico evento il prefetto si reca da Ipazia per proporle un accordo: potrà continuare la sua opera di indottrinamento grazie al suo Centro Studi in modo da facilitare la conversione al cristianesimo. Ovviamente Ipazia non può accettare:

“Se ci facessimo comprare non saremo più liberi. E non potremmo più studiare. Capisci prefetto? È così che funziona una mente libera. Anch’essa ha le sue regole”.

Ma è stato emanato un altro editto che prevede la confisca di tutte le abitazioni nelle quali si svolgono riti non cristiani. Per chi verrà scoperto a effettuare sacrifici, riti divinatori e similaria ci sarà la pena di morte. Secondo Ipazia questa follia porterà presto alla fine dell’Impero Romano. 

Per spezzare la tensione del momento la scienziata intraprende un viaggio accompagnata dal fido Shalim che è diventato la sua ombra. Si recano prima ad Atene dove il fratello gareggia nelle Olimpiadi, poi a Roma dove incontrerà il vescovo Ambrogio con il quale avrà un’animata discussione circa la coesistenza di Ragione e Religione:

“Qualunque religione, qualunque dogma è un freno alla libera ricerca dell’uomo. Può rappresentare una gabbia che non gli permette di indagare liberamente sulle origini della vita e sul destino dell’uomo”.

Una volta rientrata ad Alessandria il Centro Studi diventa una scuola molto apprezzata, frequentata anche da allievi cristiani, e al tramonto veste i panni di un’accademia dove vengono portati avanti diversi progetti di ricerca scientifica. Ma ovviamente il vescovo Teofilo non approva affatto la situazione, accusa Ipazia di non accontentarsi più di stelle e natura:

“Adesso stai prendendo la brutta abitudine di agghindarti col mantello che indossava Socrate e i cinici, e di andare in giro per la città a predicare”.

Ipazia non predica, insegna, ma nessuno sembra capirlo:

“… finora i filosofi non hanno mai parlato alle masse, e la sapienza è sempre stata appannaggio dei discepoli più stretti. Adesso basta, è giunto il momento di liberare gli uomini dal buio, dal terrore verso un mondo ignoto …”.

L’atteggiamento di Ipazia ovviamente non viene compreso. Il nuovo prefetto, Oreste, vecchio frequentatore del Centro Studi la mette in guardia dal continuare a parlare nelle piazze, infatti, oltre a Teofilo, adesso dovrà guardarsi anche da suo nipote Cirillo, che è ancora più pericoloso di suo zio poiché si accompagna ad un esercito di monaci fanatici e sanguinari. Il grande entusiasmo di Ipazia per ciò che fa non la rende affatto cauta, infatti un giorno, mentre sta parlando in strada, giunge proprio Cirillo, il quale la accusa di essere colei che sta seminando il caos in città:

“Con la storia di voler liberare il tuo popolo tu, in realtà, vuoi liberare la donna dai suoi doveri e dal suo destino voluti da Dio! Tu brami il potere assoluto. Tu vuoi comandare vescovi, papi e imperatori”.

Le consiglia di convertirsi e ritirarsi in un convento dove potrà studiare quanto vuole senza nuocere a nessuno. Una velata minaccia quella di Cirillo, che però non scalfisce affatto Ipazia che continua la sua opera di insegnamento. Tuttavia nell’aria si inizia ad avvertire che qualcosa sta per accadere:

“…il Nilo, gonfio di sangue, sta per straripare”.

Arriva infatti il giorno in cui Cirillo, accompagnato dagli inseparabili monaci, arringa la folla contro Ipazia:

“Questo lupo affamato sta penetrando ogni giorno nel nostro gregge per seminare zizzania nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nei vostri figli. Io sono il vostro pastore e ho il dovere di dire basta!”.

Il prefetto Oreste a questo punto è seriamente preoccupato per la sorte di Ipazia, le consiglia di lasciare Alessandria con la prima nave in partenza per poter avere salva la vita e continuare con i suoi studi altrove. Per Ipazia la fuga sarebbe una sconfitta, tuttavia in seguito alle insistenze di chi le è vicino, Shalim in primis, acconsente seppur con riluttanza. Purtroppo però non farà in tempo a mettersi in salvo, poiché viene aggredita per strada dal diacono-guardia del corpo di Cirillo, tale Pietro il Lettore, trascinata con Shalim all’interno della cattedrale, denudata e minacciata di morte se non rivela dove sono stati nascosti tutti quei pericolosi testi scientifici che custodiva la biblioteca. Basterebbe parlare per avere salva la vita, ma Ipazia decide di tacere e fa cenno anche a Shalim di non aprire bocca in merito.

“Devi essere cancellata dalla vita e dalla storia, Ipazia. Se tu fossi stata solo eretica e pagana, saresti stata solamente eliminata. Ma tu rappresenti la ribellione! La ribellione portata avanti da una femmina!”.

Le parole di Pietro il Lettore sono il preludio di quello che è a tutti gli effetti un martirio. Ipazia viene prima accecata, e poi il suo corpo squarciato e smembrato. Tutto sotto gli occhi di Shalim che invano tenta di spaccarsi la testa sul marmo in modo da non vedere ciò che sta accadendo. In seguito il suo corpo ormai fatto a pezzi viene fatto sfilare per le strade di Alessandria e portato al Cinerone, il luogo dove si brucia la spazzatura:

“La donna è immondizia! E anche tu, Ipazia d’Alessandria, sei solo immondizia! Immondizia! Immondizia!”.

Il massacro di Ipazia segnò l’inizio della fine della più importante comunità scientifica dell’umanità. Per i successivi 1200 anni la Chiesa di Roma manovrò principi, re e imperatori nel vano tentativo di tenere a freno quello che dagli albori era stato il suo acerrimo nemico: il sapere! 

Cirillo, il mandante del martirio di questa straordinaria scienziata è stato fatto santo, e questo la dice lunga su quanto la vicenda di Ipazia sia stata presa sottogamba. Non è stata solo considerata un’eretica e una pagana, ma il suo martirio, così come aveva detto Pietro il Lettore, doveva servire a far intendere che a una donna non poteva in nessun modo essere concesso di pensare, studiare e arringare una folla, dopotutto è immondizia! Misoginia? Fanatismo religioso? Certamente se il popolo sguazza nell’ignoranza è più facile controllarlo, ed è questo ciò che è accaduto a partire da quel momento in poi, dal giorno in cui è eroicamente caduta la prima martire della scienza. Non dimentichiamo che nel 1600 la Chiesa di Roma ha bruciato sul rogo Giordano Bruno. E 33 anni dopo ha costretto Galileo Galilei ad abiurare. Ma oggi è cambiato davvero qualcosa? Soprattutto riguardo al ruolo della donna accostata al sapere, possiamo davvero dire che non c’è più alcun pregiudizio?

Come ho accennato questo libro non è di facile lettura, al di là della storia della vita di Ipazia abbiamo citazioni e lunghe disquisizioni sull’origine dell’universo, sull’atomo, sulla materia e la sua trasformazione, sulle leggi della gravità e molte altre tematiche alle quali la giovane scienziata aveva dedicato tutta la sua vita.

Non c’è molto altro da dire riguardo l’importanza di questo scritto se non citare le parole della compianta Margherita Hack, una delle menti più brillanti della comunità scientifica italiana, che ne ha curato la prefazione:

“Questa storia romanzata ma vera di Ipazia ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l’odio per la ragione, il disprezzo per la scienza. È una lezione da non dimenticare, è un libro che tutti dovrebbero leggere”.

Margherita Hack

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