Beninanza di Salvo Salerno 

E così, nell’abile e immaginifico racconto del menestrello, prendono forma quasi vivente cinque affascinanti dame, molto diverse tra loro, per altrettante novelle, ciascuna con uno svolgimento e un epilogo per nulla convenzionale. Nel racconto entra, ad un certo punto, in modo imprevisto per lo stesso Aquilante, anche la regina Bianca, col carico simbolico della sua energica e seducente personalità e della sua fama per le gesta ormai leggendarie. Tessendo un filo narrativo dalle tonalità tragicomiche, intorno a cinque animose gentildonne, dieci gloriose città e un’indomita regina, disseminando talora nel racconto sorprendenti favolismi allegorici e occasionali incursioni di elegante ironia, Salvo Salerno compone il suo arazzo politico e socio-culturale di quella suggestiva Sicilia tardomedievale, immortalandola nella fase cruciale della sua storia, quando il mitico Regnum indipendente mostrava i suoi ultimi fasti e sussulti di vita..

  • Editore ‏ : ‎ Le Fate Editore (1 ottobre 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 260 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Beninanza, dal provenzale “benenanza” ovvero benignità, bontà. Un carosello di cinque novelle ambientate in una terra affascinante, la Sicilia, che insolitamente ci viene presentata in uno dei suoi periodi più tumultuosi, ovvero il Medioevo, periodo che spesso la letteratura tende a dimenticare, prediligendo i fasti e le miserie del periodo ottocentesco. 

Siamo quindi nella Sicilia del Quattrocento, una terra ormai martoriata dalle interminabili guerre baronali, che nonostante tutto conserva la sua struggente bellezza, una terra battuta in lungo e in largo da un misterioso cantastorie girovago, tale Aquilante Odogrillo, che si sposta da una città all’altra con un misero carretto trainato da lui stesso, ricolmo di teloni scenici che dipinge personalmente così da rendere ancora più vivide le storie che racconta.

“Ti aprirò i segreti e le venture di alcune dame siciliane, sconosciute ai più, donne tutte diverse tra loro, ma che si fregiarono di una dote in comune: esse piacquero ai Re. E per tal motivo fecero, a modo loro, belle imprese, che pure giovarono a questo nostro glorioso Regno di Sicilia”.

Ebbene sì, Aquilante racconta a tutti coloro che si radunano nelle piazze per ascoltare le sue storie le vicende tragicomiche e mirabolanti di alcune dame vissute tempo prima. Vicende che sembrano quasi avventure fiabesche, surreali, ma che assumono il ruolo di allegoria della Sicilia dell’epoca. Cinque donne vissute un secolo prima le cui vite si sono fuse con la situazione politica del tempo, mutandone a volte addirittura gli esiti, oppure lasciando comunque traccia del loro passaggio.

Angiolina di Lauria, nobile fanciulla che per la sua bellezza e la grazia dei modi simili a quelli di una principessa desta l’attenzione del Delfino di Francia durante l’occupazione Angioina, a tal punto da spingerlo a rapirla nel cuore della notte per portarla con se in Francia:

“Si voi truvari tò figghia Angiulina,

Vattinni ‘n Francia e la trovi Riggina”.

In questo contesto l’autore ci rende noto il fatto che il nome della città di Francavilla probabilmente potrebbe discendere dall’espressione “Franca vigghia”, ovvero dalla fantesca di Angiolina che durante la notte della fuga della sua padrona aveva vegliato e fatto da complice agli amanti.

Racconto degno, a mio parere, del Decameron è la vicenda di Lisciandra de’ Baccarati, che si svolge durante la guerra contro i Francesi, e che spicca non solo per la padronanza di chi scrive della giurisprudenza locale dell’epoca, ma anche per l’inaspettata piega umoristica che prende la storia. Anche in questo caso siamo al cospetto di una giovane donna dal fascino indiscutibile, promessa al figlio di un ricco mercante che ovviamente non è di suo gusto, la quale viene notata dal Duca Roberto, vicario generale della Corona d’Angiò in Sicilia, durante un torneo. Saputo che la giovane di cui si è invaghito è già stata promessa, e che il di lei padre si è persino affrettato a far celebrare le nozze poiché aveva notato il suo interesse per la figlia, si affida ad un noto giurista, tale Andrea d’Isernia, per poter annullare questa unione mediante la legge. Ma sarà la stessa Lisciandra a risolvere la faccenda giocando con grande arguzia la carta del divino:

“Là, proprio là, mi è apparso Sant’Agostino e mi puntava il dito, si, il dito indice contro di me, proprio mentre voi mi toccavate lascivamente […]. Noi siamo stati scomunicati da Sant’Agostino, siamo dannati, perché stiamo peccando! […]. Allontanatevi da me e datevi un contegno, vi prego, anzi, uscite subito dal letto”.

Ma quando gli Angioini inaspettatamente vengono respinti dalla cavalleria siciliana e il duca Roberto è costretto a fuggire insieme ai suoi uomini di fiducia, cosa farà la scaltra Lisciandra?

La storia di Gerolda di Campagna invece è una vicenda che riguarda una tematica molto comune tra i regnanti, ovvero quella della prole illegittima. Gerolda infatti, divenuta vedova in giovane età durante le guerre tra siciliani e francesi, dopo aver girovagato in tutto lo stato, si stabilisce ad Agosta. Quando gli Angioini prendono la città, il re Giacomo interviene per liberarla, ed è proprio in questo frangente che, mentre si trova a passare casualmente per le strade di Agosta, vede Gerolda, ne rimane affascinato e la fa convocare al suo cospetto. La conseguenza di questo incontro sarà un giovane uomo che lotterà per i suoi diritti.

La quarta novella può essere riassunta con le parole stesse di Re Federico III:

“Certo, che una donna attraversi da sola il bosco a cavallo, in abiti mascolini e giri il contado liberamente, senza dar conto a nessuno, è cosa non comune, posso convenire con voi, ma ciò costituisce forse un crimine?”.

No, non costituisce alcun crimine, ma permette a Marviglia di Rachalsem, di divenire l’oggetto del desiderio di Federico III che, vedendola galoppare per i campi per poi giungere ad un’abitazione per ristorarsi e cambiarsi d’abito, non può resisterle, e sotto mentite spoglie si reca nella sua abitazione con la scusa di poter utilizzare il bagno.

L’assedio di Messina ad opera dei Francesi fa da sfondo alla vicenda di Macalda Scaletta di Ficarra, nobildonna in età matura che partecipa attivamente alla difesa della città bardata con tanto di cotta e piastre come un vero e proprio soldato. Nonostante le umili origini la scaltra Macalda è riuscita a salire in alto sulla scala sociale fino a sposare il capitano della città. Dotata di rara intelligenza si rivela fondamentale per l’organizzazione di una spedizione per chiedere aiuto affinchè la città venga liberata. E nonostante in seguito la sorte le sarà avversa, la furba Macalda riuscirà comunque a restare a galla a differenza di quanti le erano stati vicini.

In ultimo abbiamo una figura di donna che il nostro menestrello incontra di persona, ma che pur accarezzandone l’idea decide di non inserire, almeno per il momento, nella sua galleria narrativa. Si tratta della regina Bianca di Évreux, la sposa del re defunto Martino, la quale avendo sentito molto parlare di Aquilante e delle sue storie decide di convocarlo presso di lei per uno spettacolo privato che peraltro apprezzerà molto:

“Sapete messer Aquilante, a parte la piacevolezza appassionante, i vostri racconti posseggono un’altra dote non meno importante, a nostro giudizio, perché ci aiutano a capire meglio questo nostro popolo, e penetrare i misteri di taluni suoi costumi e comportamenti”.

E noi non possiamo che essere pienamente d’accordo con la regina, poiché le novelle che l’autore ci racconta tramite la figura suggestiva e caratteristica del menestrello girovago Aquilante sono il tramite che ci conduce a intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo in una terra dal fascino unico. La rievocazione della Sicilia che fu non si manifesta solamente attraverso le vicende di queste donne fuori dal comune, ma anche grazie alle vivide descrizioni dei luoghi che le accompagnano, le magnifiche città di Messina, Catania, Caltagirone, e molte altre, che entrano nel nostro immaginario non come sono oggi, ma come furono un tempo, assediate, martoriate, sofferenti, ma comunque bellissime.  

Beninanza sembra davvero una raccolta di fiabe, un insieme di racconti di un altro tempo, narrati con uno stile unico, che sa di antico, eppure così moderni nei loro contenuti, storie di donne di carattere, che sono uscite fuori dagli schemi, che hanno vissuto in maniera avventurosa, libere, coerenti con se stesse e noncuranti dell’arido giudizio altrui, donne che possono fare da esempio a chi ascolta le loro vicende narrate da Aquilante, ma anche a noi che le leggiamo, e che non possiamo fare a meno di restarne rapiti, e di ammirare anche quanto impegno l’autore abbia impiegato nella ricerca storica che c’è dietro queste novelle, che all’apparenza possono sembrare delle fiabe, ma che in realtà sono la descrizione fedele, seppur romanzata, della Sicilia di un tempo.

“…questo groviglio primordiale era la Sicilia, selvatica, esotica e arcana, paese delle favole, dunque perfetta per un cantastorie, la Sicilia che appare eternamente incomprensibile e contraddittoria, eppure adesca e cattura con la sua tela fatta degli stessi enigmi”.

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.