Il ponte dei delitti di Venezia – Matteo Strukul

La nuova indagine di Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto
Venezia, 1729.

All’alba di una torrida giornata d’estate, il cadavere di un uomo viene rinvenuto sul ponte delle Guglie. Sulla gola due fori sanguinolenti e sul petto, fissato con uno stiletto, un biglietto con su scritto “Canaletto”. Appresa la notizia, le autorità convocano subito Giovanni Antonio Canal, che si trova suo malgrado coinvolto, ancora una volta, in un’indagine dai contorni inquietanti.
Il primo macabro dettaglio che si impone alla sua attenzione sono le ferite sul collo della vittima: troppo irregolari per essere state provocate da una lama, farebbero invece pensare al morso di un animale. Ma quale bestia potrebbe mai lasciare segni simili?
Mentre Canaletto tenta di venire a capo di quel mistero, la città – e qualcuno molto vicino al pittore – vengono sconvolti da un tremendo incendio. Quel misfatto sembra portare una firma inconfondibile. Si tratta di qualcuno che Canaletto conosce bene. Qualcuno che pare tornato dal passato per spargere altro sangue su Venezia. Prima che nella laguna si diffonda il terrore e la situazione metta in pericolo la credibilità del doge e la stabilità della Serenissima, Canaletto deve assicurare alla giustizia un pericoloso assassino. Mentre si avvicina alla verità, un’antica e spaventosa leggenda proveniente dall’est Europa getta una luce sinistra sulle sue indagini…

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori (2 maggio 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 288 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

“Quattro anni fa […] un diabolico assassino cominciò a uccidere in modo orribile donne del patriziato veneziano “.

Nuova avvincente avventura per il celebre pittore Antonio Canal. Ebbene sì, il nostro Canaletto ancora una volta per conto della Serenissima è chiamato a una nuova investigazione. Lo avevamo lasciato nella sua splendida Venezia Settecentesca con un po’ di amaro in bocca visto che il cattivone di turno, Olaf Teufel, si era dato alla fuga. Ma niente paura, in questa nuova fatica letteraria di Matteo Strukul il nostro eroe sui generis poserà per un attimo i pennelli per indossare le vesti dell’investigatore.

Tutto ha inizio da un omicidio alquanto inquietante. Una sera il segretario della Cancelleria della Serenissima Repubblica di Venezia che si appresta a ritirarsi nella sua abitazione viene aggredito e rinvenuto cadavere nei pressi del Ponte delle Guglie. Lo stato del corpo è in condizioni a dir poco bizzarre, sembra sia stato aggredito da un qualche animale, ma di che tipo? Il nostro Canaletto viene convocato sul ruolo del rinvenimento, e questo per un motivo ben preciso:

“Fu a quel punto che Antonio vide: l’assassino aveva usato lo stiletto – piantato nel petto della vittima fino all’elsa – per inchiodare un biglietto. E la parola riportata in inchiostro scuro era proprio il nome Canaletto”.

Insomma, suo malgrado Antonio è stato coinvolto in questa faccenda, e da subito sia lui che il suo fidato amico e mecenate McSwiney non hanno dubbi: è stato sicuramente lui, Olaf Teufel, è tornato a Venezia per seminare nuovamente panico e morte. Bisogna a tutti i costi fermarlo. È questo che ordina Alvise Sebastiano Moncenigo, il doge.

“…Teufel lo aveva chiamato in causa. E, ancora una volta, lui non poteva sottrarsi dall’entrare in azione, malgrado fosse l’uomo sbagliato. Ma sapeva anche che i suoi amici lo avrebbero aiutato”.

Per poter meglio individuare il soggetto Antonio ha l’idea di farne realizzare un ritratto così da essere pubblicato sulla gazzetta, ma non essendo lui troppo esperto nella ritrattistica pensa di rivolgersi a un’esperta del settore, Rosalba Carriera, nome che immagino sia a tutti noto visto che si tratta di una magistrale rappresentate dell’arte veneziana del Settecento, passata alla storia per i suoi ritratti e i suoi pastelli. Non è questo il luogo adatto per approfondire la vita e le opere di questa straordinaria artista, mi limiterò solamente a lasciarne il ritratto che ne fa l’autore che ho trovato molto delicato ed estremamente appropriato:

“Non era più nel fiore degli anni, aveva superato da un po’ i cinquanta, e tuttavia il tempo non pareva aver scalfito il fascino magnetico del suo sguardo o la regolarità dei bei tratti. La pelle non era forse brillante come un tempo ma l’espressione dolce e decisa insieme e i capelli magnificamente raccolti in una nuvola chiara, la mostravano ancora per la donna bella che era. Elegante e altera, sembrava una regina d’Oriente”.

Ottenuto il ritratto viene pubblicato su una delle gazzette più importati di Venezia, il “Corsaro”, di proprietà dello stampatore Marco Zorzi. L’idea di rendere pubblico il volto di Teufel si rivela valida dato che lo stampatore si impegna a dipingerlo come un mostro così che la gente ne abbia terrore e stia in campana. Babau, così viene appellato. Mai nome potrebbe essere più calzante per un soggetto del genere, soprattutto per ciò che Antonio e i suoi vengono a sapere sul suo conto di lì a poco da una donna, che già quattro anni prima sembrava sapere parecchio sul loro uomo, la baronessa Orsolya Esterhazy. E qui devo fare un appunto. Nell’attimo in cui ho letto questo nome non so per quale motivo ma ho iniziato ad associarlo a una mia vecchia conoscenza storica, e subito mi si è palesato un certo odore di sangue. E non sono stata la sola a giudicare da ciò che ho letto poco più sotto:

“Nell’udire quel nome, Canaletto sentì qualcosa mescolarsi nel sangue. Quel nome esotico, per certi versi bizzarro, pareva intriso di ferro e sangue. Non avrebbe saputo spiegarne la ragione, era semplice suggestione forse, ciononostante non potè evitare di provare un brivido, quasi fosse sul punto di conoscere una storia della quale avrebbe volentieri fatto a meno”.

Ed effettivamente ciò che questa donna ha da dire ai suoi ospiti è qualcosa che Antonio proprio non si aspettava (ma io si!):

“…Nel mio paese egli è Farkaskoldoi, un uomo dai poteri magici, in grado di mutare forma, assetato di sangue e animato da un’inestinguibile brama sessuale. È grazie a questa sua natura che Olaf Teufel ha potuto sedurre, manipolare le menti, soggiogare e prendere il controllo di così tante persone, e ancora continuerà a farlo. E non v’è altro modo per fermarlo che ucciderlo”.

La baronessa spiega che è al corrente di questa natura deviata dell’uomo poiché nella sua famiglia, un tempo, c’era stato un soggetto simile: Erzsébeth Bathory. Ebbene sì, proprio lei, proprio la figura storica così controversa ma estremamente affascinante alla quale avevo pensato in precedenza! A detta della baronessa lei discende da questa donna spietata per parte di madre, e a proposito di Olaf Teufel dice anche qualcos’altro:

“Egli è Strigoi in Valacchia, Upyr in Russia, Vrykolaka in Grecia, Mullo presso i gitani. Il suo potere è quello delle creature della notte. Ed egli si nutre di sangue!”.

A differenza di Antonio Canal, che non crede a una parola di tutte queste farneticazioni e le accoglie con un certo sdegno, la sottoscritta ha esultato perché in questa storia ha trovato troppe componenti di suo interesse: il settecento, riferimenti a Erzsébeth Bathory e persino i vampiri. Peccato che, come sopra accennato, Canaletto e il suo accompagnatore non ne vogliono proprio sapere di vampiri e stupide superstizioni, così lasciano il palazzo della baronessa e tornano a Venezia anche piuttosto urtati. Ma bene presto dovranno ricredersi poiché queste storie assurde finiranno per essere loro raccontate nuovamente da un’altra fonte, una di quelle alle quali non si può non credere, ovvero dei rapporti ufficiali stilati da medici autorevoli. Si arriva a tutto questo in seguito ad un secondo omicidio, la cui vittima, uno stimato membro del Consiglio dei Dieci, viene rinvenuta con gli stessi segni di denti animali, e al momento in cui le ricerche di Olaf Teufel si spostano in un territorio particolare della Serenissima, la nutrita comunità degli Schiavoni.

Chi sono gli Schiavoni? Facciamo chiarezza. Con questo appellativo venivano indicavano quei popoli slavi che abitavano le coste e l’entroterra dell’Adriatico orientale poiché un tempo quell’ area era nota come Schiavonia. A Venezia invece con questo termine si intendevano quegli abitanti non latini dei domini veneti dell’Adriatico orientale. Essendo persone appartenenti ai domini oltremarini, gli Schiavoni servivano nella flotta veneziana con l’obbligo di fornire un dato numero di galee allo Stato, e contingenti di truppe che prendevano proprio il nome di Schiavoni, che per la loro fedeltà e dedizione erano considerati i “fedelissimi di San Marco”. 

Antonio Canal una volta al cospetto del loro capitano, dopo avergli spiegato la situazione, viene investito nuovamente da storie di un certo tipo, storie che hanno per protagonisti morti che si rialzano dalla tomba per bere il sangue dei vivi, e ne può persino leggere, come suddetto, dei rapporti autorevoli provenienti dalle zone in cui negli ultimi tempi si stanno verificando sempre con più frequenza certe situazioni: Serbia, Slovenia, Ungheria, Polonia e Albania.

“…il male, qualunque esso fosse, pareva allignare nelle regioni dell’impero e in particolare nel territorio degli Schiavoni e più in generale nell’Europa orientale, quasi quell’ampia area, della quale si sapeva così poco, fosse il centro nevralgico di un immaginario nutrito di paura, inquietudine, terrore che da lì si allargava, divorando un po’ alla volta anche i territori confinanti per poi procedere oltre”.

La situazione è davvero molto inquietante. E lo diventa anche di più quando grazie al medico ebreo Isaac Liebermann si giunge alla conclusione che qualcuno, Olaf Teufel ovviamente, sta diffondendo in città un temibile morbo, uno di quelli che all’epoca non era ancora ben conosciuto e di conseguenza aveva ancora una cura: l’idrofobia, o meglio la rabbia. Riuscirà anche questa volta il nostro Antonio Canal a stanare Olaf Teufel? Riusciremo a capire le motivazioni di questo assassino che ancora una volta vuole seminare il terrore a Venezia? A queste domande non posso che rispondere con l’invito alla lettura di questo thriller storico davvero emozionante, il cui finale riserva non solo la promessa di una prossima avventura di Canaletto, ma anche uno scacco matto ad Olaf Teufel:

“Olaf Teufel capì di essere stato la pedina di un gioco più grande. E a quel punto smarrì le parole. Proprio lui che sapeva parlare tante lingue, manipolare le menti e sedurre le donne, d’improvviso non aveva più niente da dire”.

La Venezia del 700 ancora nel pieno del suo splendore è lo sfondo ideale per un thriller storico, con i suoi ponti a guardia delle acque placide e le sue calli buie che nascondono insidie. La narrazione è incalzante, non si perde in inutili chiacchiere e va subito al dunque della situazione, questo rende la lettura veloce e avvincente, rendendo Il Ponte dei Delitti di Venezia uno di quei libri che si leggono in un paio di giorni. Il personaggio di Antonio Canal, che già conosciamo, catapultato in un ruolo che non gli appartiene, lontano da tele e pennelli ma anche dalle tipiche prodezze di un eroe canonico, ci appare molto affine a noi poiché profondamente veritiero nella sua umanità, vicino alla realtà dell’uomo comune.

Come già accennato apprezzatissimo il riferimento a Erzsébeth Bathory, ma geniale l’accenno a un probabile vampirismo dell’antagonista. In questo modo l’autore ha creato quell’atmosfera gotica che si sposa perfettamente con la città lagunare, dopotutto quale luogo potrebbe meglio dare asilo a una creatura della notte meglio di Venezia? E a proposito di vampirismo, per chi non fosse troppo ferrato in materia, quando l’autore accenna a quei rapporti ufficiali di medici riguardo a fenomeni di questo genere verificatisi in territorio imperiale (stiamo ovviamente parlando dell’impero austro-ungarico), si riferisce a testi realmente redatti sull’argomento. È noto infatti che nella città di Medgwegya, in Serbia, si sviluppò agli inizi del Settecento un’epidemia di vampirismo che attirò l’attenzione della casa imperiale, come testimoniano appunto i rapporti inviati a Vienna, e fece scatenare la “moda” dei vampiri in tutta Europa. Ma molti altri casi iniziarono a verificarsi in tutto l’impero, e riguardavano soprattutto zone rurali delle province periferiche, che resero necessario l’intervento di esperti, se non altro per tenere a bada la superstizione e il panico che ne conseguiva. 

Oggi queste manifestazioni vengono giustificate con epidemie di rabbia, una malattia che rendeva gli infetti intrattabili, violenti e nelle ultime fasi simili a “mostri” (l’ultimo stadio della rabbia provoca lacrimazione permanente, priapismo, aggressività, paralisi delle corde vocali). Queste zone erano ricche di animali selvaggi di solito soggetti a questa malattia, volpi, lupi, cani e pipistrelli, quindi è probabile che fu proprio un’epidemia di rabbia a far circolare la voce di “attacchi vampireschi”. Inoltre la storia di Peter Plogojowitz che Antonio Canal legge, non è frutto della fantasia dell’autore ma si tratta di una vicenda realmente accaduta in Serbia il cui resoconto è uno dei primi documenti che testimoniano tali credenze. Non dimentichiamo poi che uno dei primi libri sui vampiri è lo scritto di Giuseppe Davanzati “Dissertazione sopra i vampiri” che uscì nel 1744, dunque è ovvio che anche in Italia questo tipo di superstizione stava mettendo radici.

Dicevo che queste manifestazioni vengono giustificate con il verificarsi di epidemie di rabbia, malattia della quale ci parla anche l’autore nel corso di questa storia, citando uno studio fatto in merito da Girolamo Fracastoro (che conosco in seguito a un’altra lettura), umanista italiano (si occupò di medicina, filosofia, astronomia, letteratura, geografia e botanica) considerato il fondatore della moderna patologia, il quale si occupò di malattie come la sifilide e proprio la rabbia. 

Piacevolmente sorpresa dalle tematiche affrontate da Matteo Strukul in questa nuova avventura di Antonio Canal, attendo il prossimo volume per tornare di nuovo a Venezia per scoprire quali nuove insidie si nascondono tra calli e ponti, e soprattutto quale sarà la nuova mossa di Olaf Teufel.

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