INTERVISTA A MARINA MARAZZA

Buon pomeriggio amici di Septem, prima di parlarvi nella recensione che a pochi giorni pubblicherò, dopo la lettura de ” Io sono la strega”, parliamo e conosciamo meglio l’autrice: Marina Marazza.

Marina grazie mille per aver accettato di rispondere nel nostro salottino virtuale alle nostre curiosità.

Marina la prima domanda che ti rivolgo è quella di rito: la tua passione per la scrittura e per la storia quando nasce?

Grazie a voi per la splendida opportunità, mi accomodo su questo morbido divano letterario e vi racconto tutto quanto. Figlia unica nata sotto il segno del Cancro, ascendente Scorpione, ero una bambina timida e solitaria, molto portata per la lettura e la scrittura. La mia cara nonna mi ha insegnato quando ero davvero molto piccola, ed essendo lei classe 1898 mi ha messo in mano una cannuccia e un pennino. Ho cominciato a intingere il mio Mitchell a quattro anni, e dentro la grande cassa di legno piena di libri che la nonna teneva in cantina ho trovato i classici del romanzo storico, da Dumas a Hugo, da Scott a D’Azeglio, Grossi e Guerrazzi. Ho incontrato la Storia in chiave romantica, poi a scuola l’ho rivisitata facendo studi classici e avvicinandomi agli Annalisti di Bloch. E da lì è nata la voglia, il bisogno, direi, di trasformare i documenti in narrazioni che potessero essere apprezzate anche da chi non prenderebbe mai in mano un saggio. L’idea è quella di romanzare la verità documentale in quello che oggi viene chiamato il genere non fiction narrative in modo da portare alla luce storie intense e indimenticabili per un vasto pubblico di non addetti ai lavori.

Ho avuto modo di leggere e apprezzare i tuoi romanzi dedicati alla Monaca di Monza e alla presunta figlia. E’ un personaggio discutibile se vogliamo ma cosa ha colpito la tua attenzione tanto da volerne narrare e romanzare la storia?

Ci sono personaggi che sono poco conosciuti, come la madre di Leonardo da Vinci alla quale ho dedicato L’Ombra di Caterina nel 2019, o la strega di Milano, protagonista di Io sono la strega. Poi ci sono dei personaggi che tutti credono di conoscere, ma che sono stati oggetto di campagne denigratorie o di utilizzi infami, come Mariana de Leyva. Tutti dicono: Ma certo, la monaca di Monza, la so la sua storia! Sciocchezze. Nessuna sa la sua vera storia se non ha letto gli atti formidabili del suo processo. Mi viene in mente anche Lucrezia Borgia, oggetto di una diffamazione sistematica… è un destino crudele: molte donne o rimangono sconosciute o finiscono a fare le protagoniste di filmacci di serie B. Vogliamo rendere loro un po’ di giustizia?

Torna in questo ultimo romanzo, “Io sono la strega,” la Monaca di Monza per un breve cenno e il cardinale Borromeo, di cui si è parlato appunto nei tuoi primi romanzi. Pensi che ci sia la possibilità di dedicare a questa figura un prossimo lavoro?

Il cardinale Federigo è una mia vecchia conoscenza, dai tempi dei Promessi sposi, nella pubblicazione precedente alla versione più nota, dove alla storia di Virginia, che lui chiama Gertrude, erano dedicati interi capitoli, prima che in un raptus autocensorio finisse tutto in “la sventurata rispose”. Federigo è una figura tremendamente complessa e ambigua, grande uomo di cultura e tremendo misogino, costantemente ossessionato dall’ombra del cugino santo Carlo, sessuofobo e ambizioso, raffinato mecenate e cacciatore di streghe, morbosamente attratto dalle mistiche nonché grafomane come pochi. Ne ho studiato i ritratti, gli scritti, le biografie, in particolare quella del Rivola, il suo agiografo. Sarebbe un soggetto molto interessante, in effetti.

Lo scorso anno hai dedicato un romanzo a Caterina, la probabile madre di Leonardo. Il romanzo ha una particolarità, come anche l’ho riscontrata in questo ultimo, parlare della vita del popolo. Come mai preferisci, diversamente da altri, parlare della parte più povera della popolazione?

La vita quotidiana della gente comune è quella che conta. La vita dei ricchi e famosi la si conosce di più, fatti salvi tutti gli svarioni delle serie televisive. Di re, di principi e di battaglie si è sempre raccontato, allontanando gli studenti dall’amore per il passato e seppellendoli sotto una gragnuola di date, cronologie, eventi che hanno spesso solo un valore simbolico e che servono unicamente come pietre miliari lungo un percorso temporale.
La Storia vera si stempera nelle microstorie di contadini, operai, gente comune, ed è vedendo la loro quotidianità che si conosce il nostro passato e si ritrovano le nostre radici. Come vestivano, com’era fatta la loro casa, cosa si mettevano nel piatto, come nascevano, come morivano, cosa coltivavano e come mietevano, come e quanto vivevano. E le loro donne come facevano fronte a un’esistenza ancora più complicata e disgraziata, in quanto figlie di Eva, che fossero dame o serve.
Non mi interessa fermarmi ai fasti di una corte, al banchetto di un ricco mercante, al guardaroba di una aristocratica. Ci sono anche queste cose, nei miei libri, come nella vita. Ma rappresentano una piccola percentuale di quelli che sono vissuti prima di noi. I miei antenati non erano annoverati nelle famiglie patrizie di Milano: due che si chiamavano Migliavacca come me, padre e figlio, di professione foresari (cioè arrotini), sono stati spezzati sulla ruota alla Vetra con quelli della Colonna Infame descritta dal Manzoni, un supplizio di indescrivibile orrore. I notabili processati con loro se la sono cavata versando una cospicua somma di denaro. Fa una certa differenza, non è vero?
Tutti i pregiudizi, i problemi, le brutture che ancora oggi viviamo, compresa la violenza contro le donne, compresa l’intolleranza verso il diverso, partono da molto lontano, e come diceva Churchill, più indietro riesci a guardare, più avanti riuscirai a vedere.

Ora veniamo a Caterina, ma Caterina da Broni, una donna che ha subito tanto, troppo, cosa ci racconti di lei? Chi è stata per te nei momenti di scrittura?

Ho incontrato Caterina e la sua storia due volte. La prima volta l’ho conosciuta in un romanzone nel 1831 di Achille Mauri, un intellettuale, scrittore e politico milanese che senza leggere gli atti del suo processo l’ha resa protagonista di un polpettone strappalacrime pieno di sciocchezze, ma molto in buona fede, dove lei è una innocente fanciulla sventurata. La seconda volta l’ho finalmente conosciuta attraverso gli atti del processo dove ho trovato tutta la sua vera storia raccontata direttamente da lei nelle sue vivaci e drammatiche testimonianze in una lingua che pur venendo dal Seicento era la mia, quella delle mie parti, comprensibilissima, e dove ho capito che lei pensava davvero di essere una strega e utilizzava piccoli incantesimi di sopravvivenza, era una donna vera di carne e sangue, aveva avuto una vita che avrebbe assai scandalizzato il povero Mauri e si era trovata in frangenti modernissimi, costretta alla prostituzione, vittima di violenza sulle donne e di un marito stalker, alle prese con una pestilenza polmonare del Monferrato simile al Coronavirus, vittima di padroni bizzarri e crudeli, ma sempre pronta a risorgere dai suoi fallimenti e dalle sue disgrazie come la fenice che risorge dalle sue ceneri ed è il simbolo della stampatrice Clara Giolito da cui lei va a servizio a Trino nel corso del suo picaresco peregrinare. Ho cercato di restituirla al massimo nei momenti di scrittura, conservando il suo spirito e la sua parlata nella scelta della prima persona, prendendo dalle filze dei notai i suoi veri modi di dire, il suo periodare a volte perfino un po’ sgrammaticato, ma così autentico.

Il romanzo è un amalgama perfetto tra storia e finzione, i personaggi immaginari sono ispirati a qualcuno che conosci?

I personaggi immaginari sono tutti modellati su soggetti d’epoca, o sono un mix di più personaggi, per criterio di verosimiglianza. Il Masabiss, cioè il serparo di Occimiano, o Goffredo il cavaoro che cerca pagliuzze preziose nei fiumi, o la Codazza, prostituta milanese, o il Cechin bracconiere o la Rosona lavandaia o il capitano del naviglio che risale il Po sono dei paradigmi personificati di grande umanità, fanno rivivere i mestieri di una volta, il territorio come era una volta, e cooperano alla coralità di fondo della narrazione.

Il tema della stregoneria è un argomento di cui si parla molto, trovo giusto dare voce a donne che poca ne hanno avuta. Che ne pensi? Cosa ti ha stimolato a parlare di questa donna e come ti sei documentata per riportarla in “vita”?

Questo è proprio il tema che mi sta a cuore, quello della giustizia postuma, del dar voce in prima persona a chi non ha potuto difendersi, spiegarsi. Oltre agli atti del processo che hanno costituito la cronologia e la scaletta della narrazione ci sono voluti mémoir ed epistolari, gridari spagnoli, verbali del senato di Milano e cronache d’epoca, ritratti e incisioni, per una ricostruzione minuziosa dei dettagli che vengono poi naturalmente inseriti nelle descrizioni, in modo che nulla venga lasciato al caso ma tutto sembri naturale e lieve, in modo da condurre il lettore dentro una macchina del tempo, con nonchalance ma con la sicurezza di assicurargli un viaggio nel passato costruito su pilastri più solidi di quelli di un noioso saggio.

Una domanda che non ti ho fatto a cui vorresti rispondere?

Sì, grazie, vorrei rubare ancora un minuto sull’attualità di certe situazioni.
C’è un forte personaggio maschile nel mio libro Io sono la strega, il mastro di giustizia Salem, il cui destino si intreccia drammaticamente con quello di Caterina da Broni. Ho deciso di raccontare la vita di un boia, un uomo colto, bello come un arcangelo e convinto del suo buon diritto a dare sofferenza e morte in nome della giustizia. E’ un personaggio pieno di fascino e fondamentalmente in buona fede, orgoglioso della sua professione che svolge con grande dedizione e spirito di sacrificio, vivendola come una missione sacerdotale per il bene della comunità. Ecco, vorrei ricordare che molte storture del Seicento ce le siamo trascinate fino in epoche molto recenti: se Caterina da Broni ritiene che le donne abbiano diritto al piacere sessuale e per questo viene ritenuta una poco di buono, ancora le nostre nonne portavano ricamata sulla camicia da notte “Non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio”; se i mariti ritenevano che le mogli fossero di loro proprietà, ancora adesso ci sono uomini che uccidono quando temono di perdere il controllo sulla compagna; se Salem riteneva che il carnefice compisse un dovere al servizio della società, ancora adesso in paesi ritenuti democratici, civili e avanzati come gli Stati Uniti c’è qualcuno che pratica la sua nobile professione di esecutore di giustizia, con strumenti senz’altro più moderni: non appicca fuoco a delle fascine, ma toglie la vita ad altri esseri umani in nome della legge esattamente come faceva lui.

Grazie mille a presto

Grazie a te, onorati di averti avuto con noi, a presto!

 

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