La saga dei Borgia. Un solo uomo al potere di Alex Connor

I Borgia sono al culmine del loro potere. Sono in molti a temere la loro ambizione, avidità e violenza. In pochi osano sfidarle: solo personalità come il vendicativo cardinale Della Rovere, il grande re Carlo VIII e il fanatico Savonarola. Circondato dai nemici, papa Borgia si affida al suo spietato e carismatico figlio Cesare, che tuttavia non intende farsi ingabbiare nel ruolo di cardinale. Mentre Lucrezia cerca di sottrarsi al matrimonio con un rampollo degli Sforza e Carlo VIII si prepara a invadere l’Italia per soggiogare Alessandro VI, i tumulti nelle strade di Roma arrivano a minacciare il Vaticano. E quando il papa decide di promuovere l’arrogante figlio Juan a capo dell’esercito pontificio, la rivalità tra i fratelli raggiunge picchi pericolosi. L’errore di giudizio di Alessandro VI sarà così grave da scatenare un vero bagno di sangue: un disastro che travolgerà ogni cosa, sia dentro che fuori le mura del Vaticano.

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori (10 marzo 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 320 pagine

A cura di Claudia Pellegrini

Alex Connor continua a raccontarci le vicende della famiglia Borgia nel secondo volume della saga a loro dedicata, Un Uomo Solo al Potere. Nel volume precedente abbiamo assistito all’ascesa al potere di Rodrigo, divenuto papa con il nome Alessandro VI dopo ben trentaquattro anni al servizio della Chiesa cattolica. Il novello pontefice sistema in Vaticano figli e amanti, le voci sulla sua corruzione e lussuria fanno gridare allo scandalo l’Italia e tutta l’Europa. Rodrigo non se ne cura e, intenzionato a concentrare potere e ricchezza esclusivamente nelle mani della sua famiglia, decide di destinare i suoi due figli maggiori a due strade diverse: Juan alla carriera militare, Cesare a quella ecclesiastica. Ma quest’ultimo ha ambizioni proprie completamente diverse dai piani paterni e non smetterà mai di ricordare all’augusto genitore che le sue qualità sono nettamente superiori a quelle del fratello che è un vanesio damerino. Sarà proprio lui, Cesare, a scongiurare il pericolo dell’entrata a Roma di Carlo VIII con le sue truppe, che sta marciando alla volta di Napoli per rivendicarne il trono. I Borgia nonostante tutto hanno dunque salvato Roma dalla devastazione delle truppe francesi, ma quanto durerà questa tregua apparente?

Il secondo volume si apre dunque con il trionfo della famiglia più spregiudicata dell’epoca, che si gode il meritato alloro, nonostante ormai abbia suscitato sdegno e avversione in molti a causa della sua condotta sui generis:

“Eppure il papa aveva salvato Roma. E Roma, come un cane bastonato, si inginocchiò ai suoi piedi calzati da pantofole chinando la schiena in segno di supplica e piegando la testa di fronte alla lama della spada dei Borgia”.

Cesare è l’unico che non ha nulla da rallegrarsi. Il merito di aver difeso Roma è suo, è innegabile, eppure è suo fratello Juan, lo sciocco damerino, che viene sempre cinto di alloro, un alloro che spetta a lui, e che potrebbe indossare solo se potesse liberarsi delle rosse vesti da cardinale che con il passare del tempo assomigliano a un sudario. Tuttavia è certo che un giorno riuscirà a liberarsene:

“…queste catene clericali sono state forgiate per essere spezzate. È soltanto questione di tempo”.

Intanto Carlo VIII che, come abbiamo già spiegato, ha lasciato Roma e si è stabilito a Napoli inizia a vedere la sua posizione nello stivale non più tanto solida a causa non solo delle malattie che stanno decimando il suo esercito (nonché l’inerme popolazione partenopea), ma anche per l’istituzione delle Lega Santa, fortemente caldeggiata dal papa stesso, che presto muoverà i primi passi contro di lui.

Il nostro papa Borgia infatti, dopo un primo momento in cui si è mostrato estremamente favorevole al giovane sovrano francese, scampato il pericolo di un’invasione in casa propria ha improvvisamente cambiato idea per tramare alle sue spalle con il duca di Milano, i sovrani di Castiglia e Aragona, la Repubblica di Venezia, l’imperatore del Sacro Romano Impero e il re d’Inghilterra (ricordiamoci che all’epoca l’Inghilterra era ancora una nazione cattolica), dando appunto vita alla Lega Santa. Carlo è dunque rimasto privo di ogni alleato.

In Vaticano fremono i preparativi per la prossima campagna militare. Francesco Gonzaga, il più abile condottiero dell’epoca, guiderà l’armata, ma purtroppo ad affiancarlo non ci sarà l’abile mente di Cesare Borgia, ma quella più limitata del solito Juan, che di strategie militari e di guerra non comprende nulla, e questo è un problema che diventa evidente già dalle prime manovre, creando una situazione di grande imbarazzo tra i grandi condottieri costretti a dover avere a che fare con l’arroganza di chi non capisce nulla ma si ostina a convincere il prossimo del contrario.

“Era una fiera distruzione, una giostra di cavalli e guerrieri che giravano in tondo senza avanzare. E Juan Borgia, già nella sua armatura d’oro con scanalature bianche e l’elmo ornato di belle piume splendeva come un sole al tramonto mentre Cesare restava ad osservare>>.

Nonostante le rimostranze dei generali che giungono fino in Vaticano, il papa è sordo a qualunque critica mossa al figlio prediletto, ma Cesare invece ci sente benissimo, e se ne sta lì, acquattato nell’ombra in attesa che giunga il suo momento, e si consola tra le braccia della sua amante, Taddea di Becco, la sorellastra di Pinturicchio, che bada bene a tenere nascosta a tutti, persino a sua sorella Lucrezia con la quale apparentemente non ha segreti.

Quando i francesi abbandonano Napoli, nonostante le numerose vittorie in campo di battaglia sulla Lega Santa, e il legittimo sovrano di Napoli, Ferdinando, si ristabilisce sul trono e cattura persino il traditore Virginio Orsini imprigionandolo al Castel dell’Ovo, Juan viene ferito ed è subito riportato a Roma per la convalescenza. La ferita non è grave, Cesare avrebbe preferito il contrario, e la sua rabbia per il modo in cui viene vezzeggiato e accudito il malato immaginario da suo padre cresce sempre di più fino a roderlo dall’interno quando viene a sapere tramite il fidato Michelotto, che tutto vede e tutto sa, che il papa ha convocato al capezzale dell’inutile Juan proprio la sua amante, Taddea, che in qualità di figlia del famoso erborista Pietro di Becco, viene ritenuta in possesso di particolari qualità curative. Questo è davvero troppo per lui: Juan si prende la sua vita e persino la sua donna! 

Intanto in Vaticano si inizia a vociferare che presto il matrimonio tra Lucrezia Borgia e Giovanni Sforza potrebbe essere annullato. La motivazione è da ricercarsi nel tradimento del signore di Pesaro durante la guerra, quando ha intrapreso un carteggio sospetto che i traditori Orsini. L’alleanza con gli Sforza non ha più implicazioni politiche, dunque non serve più a nulla, e Lucrezia può essere utilizzata per altre future alleanze più redditizie, perché questo è il destino di una donna, trasformarsi in una pedina sulla scacchiera politica e muoversi all’occorrenza. Ma come si può annullare un matrimonio sancito di fronte a Dio? Semplice, dichiarando che non è mai stato consumato e che dunque la donna è ancora virgo intacta. Giovanni Sforza dovrà dichiarare pubblicamente la sua impotenza, cosa che l’uomo si rifiuta di fare, anche perché è noto a tutti che il matrimonio è stato consumato, e che sua moglie, la spregiudicata Lucrezia, ha persino un amante, un paggio papale che porta sempre con se, tale Pedro Calderon, detto Perotto. Il cardinale Ascanio Sforza, zio di Giovanni, tenta inutilmente di convincere il nipote ad ammettere pubblicamente l’impotenza, un male minore rispetto all’inimicizia dei Borgia, e di Cesare in particolare che, come tutti sanno, non si fa alcuno scrupolo ad eliminare per mano del suo scagnozzo Michelotto chiunque intralci i piani della famiglia.

Ma la questione dell’annullamento passa in secondo piano quando arriva il momento di dare il via alla campagna militare contro gli Orsini, l’occasione in cui Juan viene nominato capitano generale della Santa Chiesa di Roma, la goccia che fa traboccare il vaso ormai più che ricolmo della pazienza di Cesare che al cospetto del fido Michelotto si lascia andare e tira fuori un fiume di risentimento nei confronti di suo padre, di suo fratello, e del suo ingrato destino:

“Sono nato con una macchia, un marchio come quello di Caino. Ma è il marchio di mio padre, il marchio dei Borgia, e come tale sono stato allevato per non mostrare debolezza”.

Cesare sa che è solo questione di tempo e Juan combinerà un disastro. Infatti quando l’esercito papale giunge a Bracciano, nonostante le numerose vittorie precedenti, la musica inizia a cambiare. La rocca da espugnare è particolarmente ostica, è necessario ponderare bene ogni probabile mossa, ma Juan non ascolta i consigli degli strateghi, Juan è il capitano generale della Santa Chiesa di Roma e non ammette che qualcun altro decida al suo posto. E quando rimane solo a dare ordini perché Guidobaldo da Montefeltro viene ferito gravemente non sa più che pesci pigliare, tutti se ne accorgono, persino i nemici che gli inviano al campo un asino con una pergamena infilata nel sedere che recita una scritta: “Sono l’ambasciatore del duca di Gandìa”.

Il duca di Gandìa è Juan Borgia, gli Orsini si prendono gioco di lui, e non è raro sentire gli uomini sugli spalti invocare a gran voce l’asino giorno e notte.

“Il soldatino idiota, il preferito del papa, ridicolo e ridicolizzato nella sua corazza dorata con lo stemma del toro”.

La notizia dell’asino di Bracciano arriva fino a Roma. Cesare tenta inutilmente di convincere suo padre a mandarlo sul campo di battaglia per dare man forte al fratello, ma nonostante Rodrigo abbia leggermente riacquistato l’udito, tanto da ammettere di non aver avuto una gran bell’idea ad inviare Juan in guerra, non acconsente a lasciarlo partire, dopotutto c’è già chi lo consiglia e lo guida. Peccato però che il nostro asino abbia la stessa malattia di suo padre, non sente alcun consiglio!

E la tragedia si consuma quando, a seguito della morte in prigionia di Virginio Orsini, le milizie papali sono costrette a ritirarsi a causa del sopraggiungere del di lui figlio illegittimo, Carlo Sforza, che ha allestito un esercito di tutto rispetto. L’acme dell’inutilità di Juan si raggiunge a Soriano, quando nel corso di una sanguinosa battaglia fugge spaventato dalla furia della carneficina:

“Si era tolto l’elmo e aveva gettato via la corazza dorata che lo avrebbe tradito, e così, con indosso una semplice tunica e un paio di calzoni, il favorito e inetto rampollo della famiglia Borgia si diede a un’ignobile fuga”.

La codardia di Juan ha compromesso tutto, tanto che il papa che ora è diventato anche cieco perché quella codardia proprio non riesce a vederla, risolve la questione acconsentendo alla richiesta di pace caldeggiata in primis dai veneziani. In Vaticano dunque, nonostante gli imponenti festeggiamenti per la Santa Pasqua imminente, i giovani Borgia saltellano sui carboni ardenti: Cesare si sente ancora più oppresso dalla porpora, Lucrezia attende che Giovanni perda ogni ostinazione così che il suo matrimonio possa essere annullato, e al piccolo Jofrè iniziano a pesare un po’troppo le corna che è costretto ad esibire perché sua moglie, Sancia, non solo accoglie nel suo letto l’asino di Bracciano, ma persino il Santo Padre, dunque la situazione è così gravosa per la sua giovane testolina che non esita a chiedere a Cesare di sbarazzarsi di Juan una volta per tutte!

Giovanni Sforza come già detto, non molla, non ha alcuna intenzione di diventare lo zimbello d’Italia, e trova l’appoggio di Ludovico il Moro, il quale trova un affronto alla sua famiglia doversi sobbarcare di un’onta così grande, e ribatte all’accusa di impotenza con quella di incesto. Sì, incesto tra Rodrigo e Lucrezia, ma anche tra quest’ultima e Cesare!

“Per questo grave e osceno insulto a me, a mio padre e al nome dei Borgia, cuocerò la sua lingua e costringerò vostro nipote a mangiarla”.

Cesare non scherza, Ascanio Sforza lo sa, per questo motivo convince il nipote a firmare quello che deve per salvarsi la vita. La questione dunque è risolta, ma la virgo intacta è incinta. I Borgia tuttavia non sono una famiglia di sprovveduti e la faccenda viene presto risolta con un salutare soggiorno in un convento lontano da occhi indiscreti, ufficialmente per riposarsi dalle fatiche dell’annullamento.

Una sera però accade qualcosa di inaspettato, ma forse neanche così tanto. Dopo aver partecipato ad una cena in casa della madre, Vannozza Cattanei, Cesare e Juan si salutano sulla strada verso casa poiché quest’ultimo sembra avere un misterioso appuntamento con qualcuno, probabilmente una donna ipotizza Cesare. Ebbene, il giorno dopo di Juan non c’è traccia. Viene cercato ovunque ma nessuno sembra averlo visto. Poi, a seguito di una testimonianza di un uomo che la notte in questione avrebbe visto degli uomini misteriosi gettare nel Tevere un cadavere, si inizia a temere il peggio. E infatti il cadavere di Juan viene ben presto ripescato dal fiume.

“Non era stato ucciso da un ladro che voleva derubarlo: il suo aggressore lo aveva pugnalato nove volte, otto fra testa, gambe e corpo e una alla gola”.

Ed è Cesare a riportarlo a casa, in Vaticano, da un papa a dir poco sconvolto per aver perduto quello che era il suo figlio prediletto.

“Incuteva paura mentre portava Juan, con il volto bianco come quello di suo fratello. L’acqua del Tevere si aggrappava ai loro vestiti e i giunchi intessevano nodi mortali tra i capelli di Juan Borgia”.

Chi ha ucciso Juan Borgia? Il secondo volume della saga dedicata ad una delle famiglie più famose della storia si conclude con questo interrogativo che ancora non ha una risposta chiara. È ovvio ipotizzare che l’unico che aveva una motivazione più valida per fare fuori l’asino di Bracciano era suo fratello Cesare, e non soltanto perché la storia di Caino e Abele tende a ripetersi di tanto in tanto. Juan Borgia occupava il posto che Cesare bramava da sempre, non solo nella società ma anche nel cuore del pontefice che non aveva mai nascosto la sua predilezione per il figlio più inetto. Certo, anche Jofrè, come Alex Connor ci fa notare durante la narrazione, aveva i suoi buoni motivi per odiare il fratello maggiore, ma sarebbe davvero stato capace di assoldare dei sicari per uccidere Juan? 

Forse è stato qualche marito geloso stufo di esibire le corna? Dopotutto era noto a tutti che il Borgia insidiava qualsiasi donna gli capitasse a tiro. E che dire di coloro che avevano partecipato alle campagne militari al suo seguito? Anche loro avevano motivi di risentimento nei confronti di un giovane inesperto che invece di farsi guidare da chi era più esperto con la sua arroganza li aveva condotti allo sfacelo. O forse sono stati gli Orsini per vendetta nei confronti dei Borgia? Ma anche Giovanni Sforza, ormai ex marito di Lucrezia, aveva un buon motivo per vendicarsi di una famiglia che lo aveva reso lo zimbello dell’Italia, è forse stato lui che ha ingaggiato dei sicari?

Le ipotesi sono molte, ma a mio parere quella più plausibile resta la prima, quella che porta il nome di Cesare, quella sostenuta peraltro dalla maggior parte degli storici, l’uomo che adesso, con la morte del fratello, potrà raggiungere i suoi obiettivi. E questa ipotesi è accarezzata anche dall’autrice, la quale mette in bocca a Rodrigo parole rivolte a Cesare che non hanno bisogno di alcuna interpretazione:

“Come hai potuto farlo?”, gridò. “Come hai potuto commettere un atto così terribile?”.

Non sapremo mai la verità su questo omicidio che a tutt’oggi rimane un affascinante cold case da oltre cinquecento anni. Quel che è certo è lo scompiglio che ha portato all’interno della famiglia Borgia che, dopo aver perso un membro, non solo non è stata più la stessa, ma ha anche iniziato ad evidenziare i primi segni di cedimento. L’accusa che Rodrigo rivolge a suo figlio cambia tutto e tutti, e di questo cambiamento avremo maggiori dettagli nel prossimo volume:

“E con quelle parole venne seminato il marciume. Fratello contro fratello, sorella contro fratello, padre contro figlio. Nell’uccisione di Juan, i fantasmi dei vecchi omicidi e di quelli che sarebbero seguiti li condannarono. Quando venne reciso uno dei rami, l’albero divenne instabile, e negli anni seguenti le radici lottarono per germogliare tra i morenti e i morti. La caduta dei Borgia era iniziata”.

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