Lapvona – Ottessa Moshfegh

Il racconto si svolge nel corso di un anno nel villaggio medievale di Lapvona, un luogo povero e timorato di Dio che viene perennemente prosciugato dei suoi averi dal signore feudale che vive in cima alla collina. Marek, il figlio storpio, bistrattato e delirante di un pecoraio, non ha mai conosciuto sua madre; suo padre gli ha detto che è morta durante il parto. Una delle poche consolazioni per Marek è il suo legame duraturo con l’ostetrica cieca Ina, che lo ha allattato quando era un bambino, come ha fatto con tanti bambini del villaggio. Ma i doni di Ina vanno oltre all’accudimento dei neonati: possiede una capacità unica di comunicare con il mondo naturale. Il suo dono la trasforma in veicolo di conoscenze sacre. Per alcune persone, la casa di Ina nei boschi fuori dal villaggio è un posto da temere e da evitare, un luogo senza Dio. Tra di loro c’è padre Barnaba, il prete della città e lacchè del depravato signore e governatore Villiam. Il disperato bisogno del popolo di credere che ci sia qualcuno che ha a cuore i suoi interessi è messo a dura prova da Villiam e dal sacerdote, specialmente in questo anno di siccità e carestia eccezionali. Ma quando il destino porta Marek vicino alla famiglia del signore, nuove forze occulte sconvolgono il vecchio ordine. Entro la fine dell’anno, il velo tra cecità e vista, vita e morte, mondo naturale e mondo degli spiriti si rivelerà molto sottile.

  • Editore ‏ : ‎ Feltrinelli (14 marzo 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 272 pagine

Recensione a cura di Sara Valentino

“Lapvona” è un romanzo sorprendente e spiazzante. La copertina è già il primo biglietto da visita che un po’ fa tenerezza e un po’ ha come effetto repulsivo. Da un lato mi chiamava mentre dall’altro mi dava l’impressione di un libro sulla rassegnazione. In realtà, ora che l’ho terminato, non so ancora nè inquadrarlo nè dire se mi è piaciuto totalmente. Di certo ha una trama innovativa, lo stile narrativo della Moshfegh è impeccabile e curato oltre che conturbante.

“Era vero, aveva visto la morte. e non la temeva. A spaventarla erano le altre persone e il loro ostinato egoismo”

Il consiglio per gli impressionabili forse è di prepararsi psicologicamente a qualcosa che a tratti diviene scioccante. Le scene, alcune ovviamente, sono davvero macabre. I personaggi sono praticamente tutti negativi, curioso vero? Già, ve l’ho detto che è un romanzo differente. Non per questo significa che non abbiano nulla da dirci, tutt’altro. Il male è parte dell’essere umano da sempre. Credo che il significato profondo possa essere proprio questo, quasi rendere le figure estreme da risultare grottesche e tutto per mettere in luce il buio.

Ci troviamo a Lapvona, un paesino piccolo dove si conoscono tutti e dove c’è il classico signorotto a governare i poveri. Con lui l’immancabile uomo di chiesa. Vedete tutti gli elementi da clichè che l’autrice ripropone in uno schema che ci è famigliare.

Le vicende si sviluppano tutte nell’arco di poco più di un anno, vediamo le stagioni avvicendarsi e con esse anche le difficoltà che i contadini o gli allevatori incontrano in periodi di carestia. Una carestia estrema quella che si abbatte su Lapvona e che, come possiamo immaginare, pone gli uomini dinanzi a loro stessi e alle loro paure.

“Jude non capiva il perdono. Non era capace di perdonare perchè era troppo annebbiato dal suo dolore e dai suoi rancori”

Il protagonista l’ho visto in Marek, un ragazzino nato da un incesto e probabilmente proprio per questo nato deforme. La sua mamma non c’è più ma un uomo gli fa da padre, pare doloroso e allo steso tempo affettivo il legame tra i due. Marek ha un legame particolare con una vecchia che potrebbe essere, sempre per i clichè, la strega, colei che conosce il significato del verso degli uccelli, colei che sa usare le erbe per il bene e per il male. Il loro è un attaccamento davvero bizzarro e sicuramente innaturale.

Ci saranno eventi clamorosi che causeranno improvvisi cambi nella routine di Lapvona, non ultimo il passato che verrà a bussare con violenza alla porta per scoprire sino a che punto l’essere umano può spingersi.

Sull’ultima scena mi sono a lungo interrogata prima di scrivere questo mio commento, ad oggi non sono ancora certa del senso che abbia. Potrebbe nascondere un gesto di profonda misericordia come anche semplicemente il seme della follia.

“Comportati bene e non ti lascerai nulla alle spalle”

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