Le esiliate di Christina Baker Kline

Londra, 1840. Evangeline è un’ingenua ragazza che fa la governante presso una ricca famiglia di città. Sedotta dal rampollo di casa, rimane incinta. Per liberarsi del problema, la padrona la taccia di furto e la fa arrestare. Dopo mesi nella fetida, sovraffollata prigione di Newgate, Evangeline viene condannata a imbarcarsi per la Terra di Van Diemen, una colonia penale in Australia. Benché incerta di quello che la aspetta Evangeline sa una cosa: il bambino che sta aspettando nascerà prima del suo arrivo in quella terra lontana. Durante il viaggio su una nave di schiavi, la Medea, Evangeline stringe amicizia con Hazel, una ragazzina che è stata condannata a sette anni di esilio per aver rubato un cucchiaio d’argento. Hazel è molto più astuta di lei, ed essendo un’esperta ostetrica ed erborista, offre aiuto e rimedi casalinghi alle prigioniere e ai marinai in cambio di favori. Benché l’Australia sia stata la patria del popolo aborigeno per più di 50.000 anni, il Governo inglese considera la colonia un luogo non civilizzato e i nativi come un fastidioso inconveniente. Quando la Medea attracca, la loro terra è stata occupata dai bianchi e molti dei nativi sono stati forzatamente spostati altrove. Fra questi c’è Mathinna, la figlia orfana del capo della tribù Lowreenne, che è stata adottata dal nuovo governatore della Terra di Van Diemen.

  • Editore ‏ : ‎ HarperCollins Italia (8 novembre 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 384 pagine

Recensione a cura di Cinzia Cogni

Ci sono romanzi che  vorresti non finissero mai e al tempo stesso, sono quelli che si leggono tutto d’un fiato…sono quelle storie che non importa se siano vere o inventate, perché sappiano che certe ingiustizie nei confronti delle donne, non si sono mai fermate.
Il romanzo “Le esiliate” di Christina Baker Kline è tutto questo e anche qualcosa di più…

Ogni persona a cui hai voluto bene, e ogni luogo che hai amato, è una di queste conchiglie. Tu sei il filo che le lega insieme” … ” Porta con te le persone e i luoghi che ami. Ricordalo e non ti sentirai mai sola, bambina.”
Mathinna avrebbe voluto crederci, ma non era sicura che fosse vero.

È un viaggio tra Londra e l’Australia in una data ben precisa: il 1840, in piena età Vittoriana, è il periodo in cui si svuotano le carceri inviando oltremare chi commette reati imbarazzanti per la società inglese.
Una società talmente moralista e bigotta da allontanare, in modo definitivo, qualsiasi donna  accusata di essere una “peccatrice” secondo i loro valori. 
Non è un viaggio di speranza, ma di dolore, di umiliazione e di fatica; su quella nave le prigioniere imparano cos’è la nostalgia e la solitudine, cosa significa perdere le proprie radici e  le sicurezze, sentimenti che le accompagneranno anche una volta giunte a destinazione.
Le protagoniste di questo romanzo sono tutte donne, diverse tra loro per le loro origini e le loro storie, eppure così simili nell’affrontare le avversità della vita, con  forza e determinazione, con coraggio e perseveranza…

“Come si chiama questa?” Aveva chiesto Lady Franklin…
“Mary” – ” E come si chiamava in origine?”
“In origine? Il suo nome aborigeno era Mathinna”…
“Mi piacerebbe tenerla”…
“Penso che sarà piacevole” – “E se non lo è, possiamo sempre rimandarla indietro”.

C’è Evengeline rimasta incinta del figlio del padrone di casa , Cecil Whitstone, dove lavorava come istitutrice, accusata poi ingiustamente dalla famiglia Whitstone, di furto. Dopo un breve ma traumatico soggiorno nel carcere di New Gate a Londra,
sarà tra le prigioniere scelte a scontare quattordici anni di detenzione in Australia.
Cè Mathinna una bambina indigena strappata alla sua gente e alla sua terra per diventare dama di compagnia di una ricca famiglia.
C’è Hazel una piccola ladra, ma dal cuore grande e con un dono speciale: conoscere le proprietà delle erbe ed essere una brava levatrice, nonostante la sua sua giovane età. E infine c’è Olive ,una donna forte, rozza, ignorante che senza vergogna vende il proprio corpo, eppure è una persona corretta, un’amica sincera, di cui ci si può fidare.

“Siete stata costretta con la forza?”
Evangeline non capì:”Prego?”
“Un uomo vi ha violentata?”
“Oh. No. No”
“Era amore allora, vero?”

Sospirando, la direttrice scrollò la testa “State imparando a vostre spese, Miss Stokes, che non ci sono uomini su cui si possa contare. E nemmeno donne. Prima lo capirete, e meglio sarà per voi.”

Pochi uomini rubano la scena a queste donne, il dottor Dunne, il medico della nave, forse l’unico di tutto il romanzo ad avere un minimo di empatia verso queste sfortunate; e Dunny Buck, l’essenza del maschilismo, uomo malvagio e misogino.
Non mancano nemmeno le donne egoiste, frivole, invidiose, cattive… perché il mondo femminile è anche questo e l’autrice sapeva che non sarebbe stato credibile parlare solo dei pregi.
Credo sia proprio questa la forza di questa storia, esaltare i pregi e i difetti di ognuna di noi, raccontandoli in modo semplice, ma con un’umanità rara. Difficile non emozionarsi,
perché è un libro che parla di donne con il cuore in mano, ne spoglia l’anima e diventa uno specchio in cui tutte, anche se diverse, possiamo riconoscerci.
Al tempo stesso, ricorda un pezzo di storia poco noto, che non fa certo onore agli inglesi, uomini e donne spesso accusati di reati minori, strappati alle loro radici e ai loro affetti e costretti a reinventarsi una vita, tra privazioni e patimenti.

Il giudice alzò il martelletto. “Condannata.” Lo abbassò di colpo. “Quattordici anni di deportazione nella terra aldilà dei mari.”…” È tutto qui. L’Australia. Sarete una pioniera.”
… “ma…potrò tornare quando avrò scontato la pena?”…
“È dall’altra parte del mondo, signorina. Tanto vale che navighiate fino al sole.”

” Le esiliate” è un romanzo che cattura il lettore trascinandolo in un mondo ingiusto, tra poche gioie e molti dolori, eppure così intenso, vero e umano, che lo rende, almeno per me, uno dei più belli che ho letto quest’anno… è un romanzo che consiglio a chi ha un cuore e non ha paura di usarlo.

“Aveva scoperto di essere in grado di sopportare il disprezzo e l’umiliazione e di poter trovare momenti di grazia nel bel mezzo del caos. Aveva scoperto di essere forte. E ora era là, dall’altra parte del mondo…
Si riconosceva a malapena.  Si sentiva dura come la punta di una freccia. Forte come la pietra.”

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