Le figlie di Sparta. di Claire Heywood 

Siamo sicuri di aver sempre saputo la verità sulla guerra di Troia? Elena e Clitemnestra, principesse della nobile Sparta, sono cresciute circondate dal lusso. La loro straordinaria bellezza, che ha in sé qualcosa di divino, le ha rese celebri in tutta la Grecia. Non esiste donna che non le invidi o eroe che non desideri conquistarle. Ma la bellezza è una rosa dalle spine appuntite. E, nel caso delle due principesse, si dimostra presto un fardello. Ancora molto giovani, le sorelle vengono separate e inviate presso gli sposi che sono stati scelti per loro: i potenti re stranieri Agamennone e Menelao, fratelli di nobile discendenza. Se ai loro mariti è concesso il privilegio di determinare il proprio destino, le due regine non devono far altro che dare alla luce eredi e limitarsi ad assistere, miti e silenziose, allo scorrere degli avvenimenti. Non sarà così. Quando la crudeltà e l’ambizione sfrenata degli uomini arriveranno a privare le due sorelle di ciò che hanno di più caro, Elena e Clitemnestra sentiranno il bisogno di sottrarsi alle rigide regole della società in cui vivono: il loro nome verrà per sempre associato agli eventi nefasti della guerra di Troia, per la sola colpa di essersi opposte a una storia già scritta. Nel corso dei millenni le loro scelte riecheggiano come atti di straordinaria ribellione. Elena e Clitemnestra: vittime o colpevoli? È arrivato il momento della verità sul mito…

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori (1 giugno 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 384 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

“Il fatto di rapire le donne è considerato un’azione da uomini disonesti, tuttavia il fatto di darsi pena di vendicare le donne rapite è un’azione da folli, mentre è da persone sagge non darsi pensiero delle rapite.” Erodoto, Storie

Siete certi di sapere cosa realmente ha scatenato realmente guerra di Troia? Facciamo un po’ di chiarezza in merito. Secondo la mitologia greca, la celebre e sanguinosa guerra fu combattuta presumibilmente attorno al 1250 a.C., o tra il 1194 a.C. e il 1184 a.C. circa, nell’Asia minore. Gli eventi di questo conflitto sono arrivati a noi principalmente grazie ai poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, composti intorno al IX secolo a.C. Secondo ciò che ci dice Omero la causa scatenante della guerra fu il rapimento di Elena, moglie di Menelao e cognata di Agamennone. Colei che era considerata la donna più bella dell’antichità venne infatti rapita da Paride, figlio del re di Troia, Priamo. La spedizione dei Greci, o Achei che dir si voglia, sarebbe stata organizzata proprio per vendicare questo affronto. Ovviamente questo episodio non è fondato storicamente e utilizza una leggenda presente in molte culture: il rapimento di una principessa con guerra annessa.

Riguardo alle cause reali del conflitto, una tra le più accreditate riguarda la posizione strategica di Troia, e la probabile imposizione di pedaggi a chi attraversava lo Stretto dei Dardanelli: gli Achei avrebbero quindi mosso una sorta di guerra commerciale? Un’altra causa, forse più semplicistica, ma anch’essa altamente probabile, è quella secondo cui la spedizione venne organizzata con il mero scopo di saccheggiare un centro molto noto per le sue ricchezze. 

Quel che è certo è che Troia cadde in mano nemica nel 1220 a.C. e non si riprese mai più. Ma da quel momento in poi, grazie all’epica classica entrò a far parte del mito, e con essa anche tutti coloro che nel bene o nel male ne furono protagonisti, come le due notissime principesse spartane Clitemnestra ed Elena. Quest’ultima fu additata come la causa di questo conflitto decennale, colei che aveva metaforicamente le mani sporche del sangue di molti innocenti, mentre l’altra divenne sinonimo di moglie fedifraga e assassina. Ma chi erano realmente Clitemnestra ed Elena? Claire Heywood ce lo racconta ne Le figlie di Sparta, con una prosa elegante, chiara e, trattando un argomento sì maestoso ma di una certa levatura come l’epica, per nulla noiosa. Anzi.

Le nostre protagoniste sono figlie di Tindaro, re di Sparta, e Leda. A dirla tutta Elena è figlia sì di Leda ma non del re spartano, sua madre infatti era stata sedotta a suo tempo nientemeno che da  Zeus in persona che, da celebre trasformista qual era, le si era palesato sotto le mentite spoglie di un cigno, e per questo motivo sua madre non ha un buon rapporto con la ragazza, e quest’ultima che non conosce le sue origini ma forse le intuisce, data la rara bellezza di cui è stata dotata, ne soffre molto, soprattutto perché nota il palese favoritismo del quale si pregia sua sorella Clitemnestra. 

Purtroppo la bellezza di Elena diventa il suo fardello già da bambina, quando si intrattiene per gioco lontano dal controllo della famiglia insieme ad un bambino, Teseo, venuto da Atene in viaggio diplomatico con suo padre, azione apparentemente innocente che però metterà in discussione la sua onorabilità di donna. Sì, proprio quel Teseo, colui che ucciderà Medusa. In realtà ci sarebbe da fare una precisazione. Secondo la mitologia questo episodio si sarebbe verificato quando Elena era già una fanciulla e si sarebbe trattato di un vero e proprio rapimento, ma questa è un’altra storia. 

Tornando alla nostra di storia, Elena cresce come una fanciulla privilegiata, consapevole peraltro della sua notevole bellezza, e con aspettative matrimoniali da principessa. Molto diversa da lei è invece Clitemnestra, colei che, di fatto, è l’erede al trono di Sparta:

“A volte, però, era frustrata dall’essere nata femmina. Lei desiderava la libertà. L’autorità. Voleva fare altro a parte filare lana per tutto il giorno. Cavalcare, cacciare, viaggiare, discutere, proprio come i suoi fratelli. Gareggiare e vincere dei premi, comporre canzoni e non solo danzarle, parlare con la consapevolezza di essere realmente ascoltata”.

La sua condizione di erede al trono potrebbe soddisfare molte delle sue aspettative, tuttavia, inaspettatamente, la sua mano viene concessa ad Agamennone, re di Micene, cosa che la mette in condizione di dover lasciare il suo regno, Sparta. Ma perché tutto questo? I suoi fratelli, Castore e Polluce, essendo gemelli non possono salire al trono, e sua sorella Elena non è certo adatta a ricoprire un ruolo così impegnativo:

“Elena è una sciocca. Solo una sciocca piena di bellezza. E lo sei anche tu se pensi che sarà una regina migliore di me”.

Ma suo padre è irremovibile. Elena ha una cattiva reputazione a causa di Teseo che, adesso adulto, gironzola per la Grecia raccontando di come avrebbe sedotto la bella principessa spartana, inoltre tutti la conoscono come una figlia bastarda, dunque senza un trono da offrire chi potrebbe mai sposarla? Resta però il fatto che per colpa di Elena la povera Clitemnestra è stata privata del suo diritto di nascita, e soprattutto è stata avviata verso un destino che le si rivelerà fatale. Ma purtroppo non ha scelta ed è costretta a lasciare per sempre Sparta in compagnia di Agamennone. Qualche anno dopo giunge il momento anche per Elena di pensare alle nozze:

“Allestiremo una sorta di torneo durante il quale i pretendenti più validi della Grecia si sfideranno per la tua mano”.

Il torneo ovviamente porta a Sparta il fior fiore degli uomini greci, tra i quali persino Agamennone in persona, che però gareggia in vece di suo fratello Menelao (onestamente non ho compreso il perché a quest’ultimo pesasse così tanto il didietro da non poterlo sollevare per andare a Sparta!), e durante tutta la durata dei giochi l’ambito premio, ovvero Elena, astutamente non viene mai mostrato, se non coperto da un velo:

“La bellezza di una dea è portentosa perché si forma in primo luogo nell’immaginazione degli uomini”.

Per non offendere il re Agamennone, e mantenere buoni rapporti con Micene, si pensa di decretarlo vincitore, ma come si può non essere sospettati di aver già concordato il tutto? Si farebbe una pessima figura con tutti gli altri re e principi. Sarà Odisseo, il celebre Ulisse, a consigliare qualcosa di profetico al re di Sparta:

“… Prima di annunciare il vincitore, dovranno giurare di fronte a Zeus, flagello dei traditori, che accetteranno di buongrado la tua decisione e che non useranno alcuna violenza contro di te, Elena o il prescelto. E non solo, dovranno promettere che se qualcuno prova a rapire tua figlia con la violenza, si alleeranno al vero marito e cercheranno di riprenderla”.

Dopo queste parole non si può fare a meno di avere la visione della città di Troia avvolta nelle fiamme… Dunque, Elena resta a Sparta in qualità di regina ma soprattutto moglie di Menelao, gli da anche una figlia, Ermione, ma a causa di un parto molto difficile la donna non si affezionerà mai alla bambina. Una sorte non certo migliore tocca a Clitemnestra, la quale è costretta a convivere con la concubina di Agamennone, una giovane sacerdotessa di Artemide che il re di Micene ha strappato al tempio della dea. Il fratello della giovane, Calcante, un noto indovino, si presenta al cospetto del re per reclamare la sorella:

“Sono qui per dirti che trattenere la fanciulla finirà per metterti in pericolo. Artemide è adirata che una delle sue devote sia stata presa e deflorata. L’unico modo per placare la sua rabbia è riconsegnarla al tempio. Ecco perché sono venuto qui, mio signore. Per metterti in guardia e salvarti. Lasciala venire via con me, e tu sarai al sicuro”.

Ma Agamennone è sordo da tutte e due le orecchie. Riacquisterà l’udito qualche tempo dopo, quando in seguito ad un grave incidente di caccia inizierà a temere per la sua vita, e così si convincerà che l’ira della dea va placata in qualche modo e restituirà la giovane a Calcante. Peccato però che la ragazza è incinta e partorirà tra atroci sofferenze un neonato morto per poi seguirlo subito dopo il parto.

Intanto a Sparta per Elena la vita diviene insostenibile. Suo marito, nonostante abbia sposato la donna più bella della Grecia, intrattiene una relazione con la bambinaia di sua figlia, dalla quale ha persino un figlio maschio, quello che sua moglie si rifiuta di dargli, e questo fa piombare la regina in uno stato di grande angoscia:

“La regina era ancora lei di nome, ma la sua importanza nel palazzo era diminuita sempre di più di anno in anno, e ora aveva la sensazione di camminare su un terreno cavo sul punto di franare da un momento all’altro. Sotto di lei un terribile abisso di irrilevanza e solitudine”.

Ma un bel giorno giunge in visita a Sparta una delegazione proveniente dalla potente città di Troia, capeggiata da uno dei numerosi figli di re Priamo, Paride. Questi la corteggia approfittando dell’assenza di Menelao che è in viaggio, la fa sentire importante, le restituisce dignità e autostima. Fino a farle prendere l’incauta decisione di seguirlo a Troia, abbandonando per sempre il marito, la figlia e il regno che le spetta per diritto di nascita:

“Un’ora prima era Elena di Sparta, l’unica luce che vedeva all’orizzonte era la prospettiva di un’altra serata insieme a Paride, il resto un buio confuso. Ma ora aveva di fronte la possibilità di una nuova vita, piena di speranza e libertà”.

Elena fugge nella notte, e al ritorno di Menelao a Sparta scoppia il caos! Il nostro marito abbandonato si reca dal fratello in cerca di aiuto. Paride non solo ha rapito sua moglie, ma ha pensato bene di portarsi via anche una notevole quantità di preziosi come “regalo di commiato”! Agamennone non ha dubbi sul da farsi:

“Forse dimentichi, caro fratello, che Elena non è solo la tua sposa ma la sposa della Grecia. Ogni regno da qui fino a Itaca ha inviato un principe a competere per la sua mano. E ognuno di quegli uomini ha giurato che se fosse stata sottratta al legittimo vincitore, si sarebbero uniti per riportarla indietro”.

Agamennone dunque, a capo degli Achei, guiderà il mastodontico esercito alla volta della città di Troia. Purtroppo venti avversi non permettono alla flotta di lasciare l’Aulide, luogo in cui si è radunata dunque, interpellato l’indovino, che guarda un po’ il caso, è sempre quel Calcante che di certo cova non poco rancore nei confronti del nostro Agamennone, si rende necessario un sacrificio agli dei, in particolare ad Artemide. Un sacrificio umano. Ifigenia, la figlia undicenne di Clitemnestra dovrà morire, e viene convocata in Aulide con la promessa di un matrimonio con il guerriero più celebre di tutta la Grecia, Achille. Clitemnestra accompagna sua figlia nonostante la sua presenza non sia stata richiesta, e proprio lì apprende da un vecchio servitore l’agghiacciante verità:

“Il veggente gli ha detto che Artemide è adirata con lui per aver ucciso una cerva a lei sacra. La morte della principessa è il sacrificio che gli dei esigono. Le navi non potranno salpare finchè …”.

Clitemnestra è fuori di sé. Disperata, tenta di convincere l’indovino a rimangiarsi il vaticinio, ma Calcante è sufficientemente sazio e non può più fare nulla ormai per fermare Agamennone che è in  preda alla bramosia di guerra, potere e ricchezze proibite senza eguali:

“Non vede altro che Troia e le sue mani che la espugnano. Non si fermerà davanti a niente”.

Clitemnestra tenta addirittura di convincere suo marito a risparmiare la vita dell’ignara Ifigenia che al momento non ha ancora compreso cosa l’aspetta, ma è tutto vano, Agamennone è completamente sordo e porterà a compimento il suo proposito. La povera madre allora gioca l’ultima carta che le è rimasta a disposizione, quella degli dei:

“Potente Era, giuro sulla mia vita, su tutto ciò che mi è più caro, che se mio marito porterà a termine un compito tanto ignobile – se Agamennone ucciderà davvero nostra figlia – giuro che io ucciderò lui”.

Ifigenia muore con indosso il velo nuziale che le impedisce di vedere che un sacerdote si appresta a tagliarle la gola. Il vento si alza, le navi salpano alla volta di Troia e Clitemnestra giura vendetta contro Agamennone, coltivando la speranza che venga ucciso in battaglia così da non tornare mai più a Micene.

A Troia dunque giunge la guerra. Elena che ormai vive nel palazzo insieme alla numerosa famiglia di Paride non è molto ben accetta. Le si attribuisce ovviamente la colpa di aver seguito il principe pur essendo maritata e di aver dato inizio ad un conflitto che diversamente non avrebbe mai avuto luogo. L’unica persona che le dimostra amicizia è Cassandra, una delle sorelle di Paride, e quasi quasi inizia a mettere in dubbio la sua sciagurata scelta di lasciare Sparta e Menelao.

Chi invece sembra trascorrere un’esistenza serena è Clitemnestra, che si occupa dei suoi figli e della gestione del regno, pur non dimenticando mai la triste sorte toccata a sua figlia e il giuramento fatto ad Era. In questo frangente giunge un visitatore, tale Egisto, il quale le racconta la storia di come realmente suo marito è divenuto re di Micene. Agamennone è figlio di Atreo, e secondo la leggenda quest’ultimo e il suo gemello Tieste erano diventati acerrimi nemici poiché si contendevano il trono di Micene. Atreo un giorno aveva attirato Tieste con l’inganno proponendogli la spartizione del regno così da cessare le annose ostilità durante un banchetto. Atreo però servì al fratello, ovviamente ignaro, la carne dei suoi stessi figli. Tieste, fuori di sé, cercò i figli di Atreo così da potersi vendicare, ma i due ragazzi, Agamennone e Menelao, erano riusciti a fuggire con l’aiuto di un servo, e si erano rifugiati a Sparta. Successivamente, Agamennone riconquistò il trono di Micene, uccise Tieste ma non riuscì mai a trovare suo figlio, Egisto. Sì, proprio lui.

Clitemnestra teme che abbia cattive intenzioni approfittando dell’assenza di suo marito, ma l’uomo la rassicura che non ha alcuna intenzione di fare del male, né a lei né ai suoi figli, anzi, le propone un’offerta, o meglio un accordo vantaggioso per entrambi:

“Mia signora, se io reclamassi il trono di Micene, sarebbero in pochi a opporsi […] Tuo marito si è guadagnato parecchio risentimento con questa guerra inutile e dispendiosa ma tu, mia signora, sei benvoluta tra la gente. Unendoci potremmo regnare con forza e giustizia. E ti prometto che tratterò i tuoi figli come fossero i miei”.

Clitemnestra accetterà. Intanto sono passati ormai molti anni dall’inizio della guerra. Gli scontri sono quasi giunti sotto le impraticabili mura della cittadella fortificata, ogni giorno muoiono uomini innocenti, ed Elena inizia a sentirsi in colpa, vede le sue mani lorde del sangue di troppe persone, e si rende conto di aver riposto troppe aspettative in Paride:

“Con il passare del tempo aveva scoperto che suo marito era come un’anfora di vino: raffinata e invitante ma, una volta bevuto tutto il suo contenuto, restava un mero vaso vuoto”.

Inoltre la nostra anfora vuota è anche imbarazzante. Sì, perché Paride è un vigliacco: chiamato a duellare con Menelao fugge nel bel mezzo del combattimento quando vede di non avere scampo. Ma la guerra continua implacabile, e per i troiani le cose iniziano ad andare molto male quando due tra i figli più giovani di Priamo vengono uccisi dal feroce Achille. Per vendicarli Ettore, che non ha bisogno di presentazioni, lo sfida a duello. Finisce male, malissimo:

“Nel bel mezzo della pianura, visibile da tutte le mura, un carro correva avanti e indietro. E sul retro si trascinava un corpo, legato per le caviglie. La pelle era squarciata, il sangue si mescolava alla terra e la testa rimbalzava inerme sul suolo roccioso. Era Ettore, Elena lo riconobbe subito”.

A partire dalla morte di Ettore la situazione a Troia precipita. I Greci penetrano nelle mura con il noto stratagemma del cavallo (“timeo Danaos et dona ferentes”, e sì che Laocoonte aveva provato a mettere in guardia i troiani), uccidono tutti tranne le donne che riporteranno indietro con loro in qualità di schiave, e bruceranno Troia che, come accennato, non si riprenderà mai più.

E di Elena cosa ne sarà? La bella tra le belle, dopo aver causato tragedie su tragedie, tornerà tranquillamente a Sparta con suo marito, come nulla fosse!

Clitemnestra invece, appresa la notizia che Troia è ormai caduta si appresta ad accogliere il marito, o meglio, a farlo fuori con l’ausilio di Egisto con il quale ormai ha una relazione stabile da anni. Agamennone, che rientra a Micene con la sua nuova schiava-concubina, Cassandra, troverà la morte mentre fa il bagno per mano di sua moglie. Ma la triste vicenda di Clitemnestra non si conclude con l’omicidio del marito, poiché anch’ella troverà la morte per mano di una persona a lei molto vicina, suo figlio Oreste.

Ci troviamo dunque al cospetto di due donne fortemente odiate alle quali, di fatto e per tradizione, non sono mai stati perdonati certi “errori”. L’errore di Clitemnestra, ovvero la sua colpa, possiamo individuarlo in quel pensare un po’come un uomo: lei voleva inizialmente governare Sparta, poter avere una certa autorità e, soprattutto autonomia, e questo rappresentava una mostruosità per l’epoca, forse più grave dell’omicidio di Agamennone e della principessa Cassandra. Clitemnestra risulta essere, e non solo in questa sede, una donna forte e dalla volontà di ferro che continua a regnare su Micene insieme ad Egisto, anche a dispetto dei figli che, dopo sette anni, vendicheranno la morte padre: Oreste infatti, sobillato soprattutto dalla sorella Elettra, ucciderà sia Clitemnestra che Egisto. Di lei dirà Agamennone nell’Ade:

“Più rea peste, più crudel non dessi

di donna, che sì atroci opre commetta…

…costei, che tutta del peccar sa l’arte,

si ricoprì d’infamia, e quante al mondo 

verranno, e le più oneste anco, ne asperse”.

Omero – Odissea

Ed Elena invece? È stata davvero lei la causa di tante tragedie? La distruzione della potentissima città di Troia, la morte del prode Ettore con il conseguente scempio del suo cadavere, la morte dell’innocente Ifigenia, ma anche quella di Agamennone, se vogliamo, e la conseguente fine per mano di suo figlio di sua sorella Clitemnestra. È davvero lei la causa di tutto questo? Forse si, ma possiamo biasimarla per aver desiderato qualcosa di più che una vita da bella statuina a Sparta dove non contava nulla e non era neanche apprezzata dal marito? Eppure, nonostante tutto, le è stato da sempre appioppato il marchio di meretrice, lussuriosa, tant’è vero che occupa anche lei, come tanti altri personaggi del mito classico, un posticino all’Inferno nella Divina Commedia, più precisamente nel Canto V, dove il nostro Dante colloca per l’appunto le anime dei lussuriosi. Queste anime dannate sono lasciate al buio e vengono battute in eterno da una bufera infernale che cambia direzione in ogni momento, sbattendoli da una parte all’altra:

“Elena vedi, per cui tanto reo

tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille,

che con amore al fine combatteo”.

Dante Alighieri, Divina Commedia, Canto V

Agli uomini è da sempre stato concesso il privilegio di determinare il proprio destino, queste due donne hanno rotto gli schemi, hanno provato a svincolarsi dalle rigide regole della società dell’epoca, seppur a caro prezzo e, grazie al loro coraggio, sono entrate nel mito arrivando fino ai giorni nostri. Abbiamo davvero il coraggio di biasimarle?

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