L’ULTIMO SEGRETO DI DANTE DI GIULIO LEONI

Trama. Pisa, 1313. Mentre assiste alle esequie di Arrigo VII, Dante è consapevole che, insieme con l’imperatore, sono morte le sue speranze per il futuro dell’Italia e anche la possibilità di rientrare finalmente a Firenze, da trionfatore. Eppure, proprio nell’ora più buia, uno sconosciuto lo avvicina e gli dice che nelle Puglie un cavaliere si proclama diretto discendente del grande Federico II: l’uomo si nasconde nella zona di Lucera, dove resistono i superstiti dei mercenari islamici assoldati dall’imperatore. Senza più nulla da perdere, se non il manoscritto dell’ambizioso poema sull’Aldilà che sta componendo in quegli anni, Dante decide di affrontare il lungo e pericoloso viaggio fingendosi un pellegrino diretto in Terrasanta: un viaggio che gli farà incontrare una enigmatica giovane di origini germaniche e sfiorare i misteri della cultura musulmana; un viaggio che lo costringerà a riconsiderare sotto una nuova luce gli eventi fondamentali del suo passato; un viaggio che gli farà capire di essere a una svolta della sua vita… Lucera, 1936. Dirigere il restauro di una piccola chiesa medievale è un incarico modesto, ma per l’architetto Cesare Marni è pur sempre un lavoro, in un periodo di difficoltà e ristrettezze. Di certo Marni mai avrebbe pensato di ritrovarsi suo malgrado al centro di un intrigo internazionale imbastito da ambigui studiosi tedeschi e insospettabili doppiogiochisti. Ben presto a Lucera si scatena una lotta sorda, senza esclusione di colpi, perché in quel luogo sono sepolti troppi segreti. E uno in particolare, che riguarda il padre della letteratura italiana: Dante Alighieri…

Recensione a cura di Claudia Renzi

L’ultima avventura in ordine di tempo della saga di Giulio Leoni che vede Dante protagonista nelle vesti di improvvisato detective ante literam catapulta sin dalle prime righe il lettore in un’atmosfera sognante e tuttavia piena di insidie, nella quale sembra di udire il clangore delle armi e al contempo i versi della più sublime poesia. 

In grande spolvero, la penna di Leoni torna a emozionare in maniera rara nel panorama italiano. Non faccio mistero della mia ammirazione sia per la sua scrittura che per la felicità della sua intuizione nel proporre Dante in tali vesti: non è un caso se la saga dello scrittore romano è sulla cresta da oltre vent’anni. Si può azzeccare un esordio, ma un’intera serie no. Non si tratta più della fortuna del principiante, ma di talento, unito a studio e disciplina. La profonda conoscenza di Dante da parte del prof. Leoni è stata certamente la chiave del suo successo, che ha ampiamente ripagato chi ha creduto in lui e nel suo progetto. 

Anche il personaggio dell’architetto Cesare Marni non è nuovo ai suoi lettori, ma qui Leoni lo ripropone incrociando, in due tempi, le vicende del giovane con quelle del più celebre fiorentino di sempre. 

Con il poeta, siamo nel 1313, con Marni nel 1936. 

La morte di Arrigo VII, nel quale Dante aveva riposto tante aspettative, aveva gettato il poeta nel più cupo sconforto:

Meglio era forse lanciare nella sua opera un altro monito.

Non indicare chi dovesse essere il nuovo reggitore del mondo 

e salvatore dell’Italia, ma chiamarlo con un simbolo,

che potesse coprire l’inviato del destino.

Nei suoi versi aveva evocato un veltro, l’animale possente e veloce,

implacabile nella caccia, senza specificare oltre chi potesse intendere.

Ora doveva egualmente evitare di descrivere una figura reale, se non

voleva gettare un’ombra sulla sua opera.

Ma, proprio quando ogni speranza sembrava perduta, ecco profilarsi all’orizzonte una nuova speranza. Nell’andarvi incontro, per verificare coi propri occhi, Dante si metterà in viaggio. Non è più giovanissimo e il suo poema, che pure lo anima nei momenti di scoramento, è ancora lontano dall’esser finito. 

Sapeva che qualcosa mancava alla sua completezza di essere umano.

Mancava la parola che si fa azione, l’agire per il bene

della città e del popolo, quello che aveva solo cominciato a

fare in Firenze, prima che il triste bando fosse venuto a

spezzarla. E ancora aveva sfiorato il raggiungimento del

suo scopo, quando Arrigo disceso in Italia lo aveva eretto

tra i suoi consiglieri, e se il tempo gli fosse stato concesso

egli sarebbe divenuto per il giovane imperatore quello che

il grande Pier delle Vigne era stato per Federico II.

E per la seconda volta aveva mancato. E ora la sorte o

forse il volere di un Dio misericordioso gli offriva una terza

possibilità.

Marni si muove invece nell’Italia del pre-Patto d’Acciaio (che ne segnerà la rovina): è un’Italia ancora avvolta nel sogno dell’Impero Fascista, il cui progresso ha fatto gridare al miracolo le più prestigiose testate giornalistiche del mondo, suscitando ammirazione e, fatalmente, invidia. Un periodo nel quale la ricerca, anche archeologica, era motivo d’orgoglio e motore alla scoperta di tutto ciò che poteva accrescere la gloria dell’Italia. Per motivi diversi anche il simpatizzante tedesco pareva investire molto sulla ricerca, soprattutto attraverso l’Ahnenerbe, l’Istituto per le ricerche sull’eredità ancestrale del Reich, che si muoveva in contesti (ancor oggi) non completamente chiari, al di fuori delle regole, che rispondeva solo a sé stessa e pareva perseguire scopi paralleli a quelli del suo stesso Governo. 

All’architetto Marni viene affidato il restauro di una chiesetta nei pressi di Lucera, in Puglia. Ben presto, del tutto inaspettatamente, la sua permanenza si incrocerà con le vicende di Dante e di un misterioso cavaliere appartenente all’ordine Teutonico morto forse da quelle parti in odore di eresia. Secondo gli studiosi tedeschi, il poeta potrebbe aver affidato al cavaliere un manoscritto, che riveste per loro incomprensibile ma somma importanza: morto in quel di Lucera e sepolto forse in una delle chiesette del posto, trovare la sua tomba, e ciò che forse contiene, diventa per loro di primaria importanza, tanto da inviare una delegazione sul posto, col beneplacito del governo italiano. 

Ecco così comparire nella piccola località un esimio professore, Schwarz-Meier, spocchioso e spietato, e la sua bella e misteriosa assistente Andrea von Schill. 

«Un manoscritto di Dante? Sarebbe certamente una

scoperta clamorosa», replicò guardingo Marni.

«Non è la prima volta che qualche bell’ingegno straniero 

cerca di farsi un nome grazie al nostro massimo poeta, 

scoprendo qualcosa di nuovo su di lui o sulla sua opera, 

come in questo caso. Qualche tempo fa fece un certo rumore 

lo scritto di uno spagnolo, che credeva bontà sua che 

la Commedia fosse stata tratta da un libraccio musulmano, 

il Sogno di Maometto. Non ragioniam di lor, ma guarda e passa,

direbbe Dante.»

Andrea von Schill è bella, intelligente, colta e sembra nascondere qualcosa: ha tutte le caratteristiche per intrigare l’architetto italiano e, di fatto, manipolarlo per giungere alla scoperta del sepolcro del cavaliere. Ma cosa nasconde in realtà, quali sono i suoi reali obiettivi?

Parallelamente Dante, nel suo presunto viaggio verso il Meridione, è accompagnato da una ragazza ribelle, straordinariamente acuta e istruita, di nome Isolde che, abbandonato il monastero dove era stata rinchiusa, ha ben altri piani per il suo futuro. La compagnia della giovane, a volte impertinente, più spesso provvidenziale, metterà il poeta di fronte ad alcuni fantasmi del suo passato. 

«Se tutto nella mente di Dio è deciso, non si danno caso e fortuna.»

«Erano questi gli argomenti che ti hanno fatto scacciare

dal monastero?» replicò ironico Dante. «È questione risolta

da tempo, dai Padri della Chiesa. Fortuna è potenza angelica, 

cui il Creatore assegna il compito di distribuire i beni 

della sfera sub-lunare secondo un criterio occulto alla nostra ragione, 

ma cristallino nel piano di Dio. Per cui i moti della sorte appaiono

 frutto del cieco caso solo al nostro limitato intelletto. 

Cosa che ci rende al contempo liberi nel volere, ma servi nel destino.»

Se Isolde rappresenta una sorta di Grillo Parlante, di angelo buono, Dante si troverà a dover fronteggiare in quest’avventura anche la sua contropartita, un altro Angelo di ben diversa natura: 

«Con le tue lusinghe non hai piegato il Cristo nel deserto

e, seppure infinitamente minore, esse non piegheranno

neppure me!» replicò Dante, accalorato.

Un Angelo che ride delle proteste del poeta perché sa che, se non lo ostacolerà – ammesso che potesse –, sarà proprio la sua penna a dare del suo regno un’immagine per sempre celebre e ineguagliabile.

Marni nel frattempo comprende che l’Ahnenerbe gioca su più tavoli: 

«Nel 1313 un cavaliere teutonico, Ulrich di Bren, del ramo svevo degli Haldagher,

approdava in Italia da Cipro, diretto verso la sua terra natale. 

Ma per qualche motivo si fermò a Lucera, dove incontrò Dante, 

poco prima che il poeta tornasse di nuovo verso le terre 

del Nord Italia. Ulrich invece morì e fu sepolto proprio qui, ed è 

nella sua tomba che sono certo furono deposte anche delle carte  

di mano di Dante, a conferma dell’incontro.»

«Interessante, ma la prova di questo?» replicò Marni, inghiottendo un altro sorso.

«Esiste, e io l’ho trovata!»

Tutti alla ricerca di un autografo di quel Dante che forse non la raccontava sempre giusta. Ad esempio, perché l’amore fedifrago di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini commuove tanto il poeta? 

«Vedete, quel canto non è immaginativo, ma rappresenta 

una drammatica confessione dell’uomo Dante, una confessione 

che sfiora il confine dell’esplicito, ma si arresta un attimo prima, 

forse per pudore o semplice ritegno del poeta a svelarsi per quello che era.

(…) Cosa aveva questa vicenda di così importante da essere elevata a paradigma

dell’amore infelice nei secoli? Quello che colpì il poeta era solo il fatto che

i protagonisti fossero cognati! E questo perché la vicenda

rispecchiava un fatto reale, occorso proprio a lui: la passione infelice 

per la propria cognata, la moglie di suo fratello Francesco, Piera di Donato Brunacci. 

La donna che (…) mai lo ricambiò.

E quali sono i possibili legami di Dante con l’Islam e con i Fedeli d’Amore? Il romanzo di Leoni è un susseguirsi di profonde riflessioni e magnifici colpi di scena: 

«La necessità di nascondere informazioni è antica»,

sentenziò asciutta la donna. «Ed è un qualcosa che può

tornare utile in ogni tempo. Del resto, che sarebbero le

nostre vite, senza un po’ di mistero? O senza la scoperta

improvvisa che le cose sono diverse da come appaiono?»

Un romanzo L’ultimo segreto di Dante che necessita di più riletture, tanto è ricco. 

Davvero non si può svelare troppo altro, sarebbe come negare al lettore il piacere di leggere l’ultima fatica di Giulio Leoni, anche lui, come Dante, sommo nella sua arte. 

  • Editore ‏ : ‎ Nord (2 settembre 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 400 pagine
Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.