Mother Eritrea di Daniel Wedi Korbaria

Sullo sfondo di un paese in guerra, negli anni dell’infinita lotta di Liberazione del popolo eritreo, si compie il dramma di Selam, Mother Eritrea, una madre coraggio costretta a crescere da sola due figli mulatti facendo di tutto perché sopravvivano. La vicenda è ambientata nella città di Asmara, oppressa dal feroce controllo dei Torrserawit del Colonnello Menghistu Hailemariam armati di Kalashnikov. I fratellini crescono circondati da un gruppo di donne sole che usano i melodrammi indiani come panacea alla loro misera vita, combattendo quotidianamente contro uomini violenti. Per sfuggire a un destino che sembra già segnato, i due si rifugiano “nel recinto del Signore”, la Cattedrale cattolica di Asmara, diventando chierichetti. Il protagonista Yonas, un Tom Sawyer africano ma con la pancia vuota, è, assieme al suo fratellino, perennemente a caccia di cibo. Il protrarsi della situazione bellica li porterà nel cuore dell’Impero etiopico, fino al tanto atteso ritorno e un finale che svelerà la patologica immaginazione della voce narrante: la rivincita della vita sulla morte.

Recensione a cura di Cinzia Cogni

Ci sono realtà, lontano da noi, che se non vediamo coi nostri occhi, nessun giornale ne televisione potrà mai farci comprendere fino in fondo cosa significhi crescere in una terra devastata dalla povertà, dalla carestia e dalla guerra. Possiamo solo immaginare com’è sentirsi fortunati se si riesce a mangiare una volta al giorno, sognare di possedere un paio di scarpe, sentirsi felici se ti regalano un quaderno e provare la paura quotidiana di venire arrrestati, picchiati o peggio.
Per questo motivo credo che libri come “Mother Eritrea” siano testimonianze storiche importanti; infatti l’autore, nato ad Asmara nel 1970, ha creato un romanzo basato sulla sua esperienza di vita, nel periodo in cui in Eritrea i Torrserawit controllavano con le armi la città e la popolazione.
Una storia recente ma che in pochi conoscono veramente, infatti Daniel Wedi Korbaria che dal 1995 vive in Italia, si è accorto che circolavano notizie false in merito alla guerra che si è svolta in Eritrea fra gli anni ’70 e ’90, e siccome la memoria storica per ogni popolo è fondamentale per la sua stessa sopravvivenza, ha deciso di divulgare la verità.

“Verso la fine degli anni settanta Asmara era soffocata dalla fame, oscurata per l’assenza di elettricità e imprigionata dal coprifuoco che si protraeva dalle sei della sera fino alle sei della mattina… La maggior parte dei negozi aveva chiuso e non c’era più niente da mangiare. La fame era tremenda.”

Il romanzo è raccontato da Yonas, primogenito di una donna Eritrea, Selam, e di un turista tedesco, che fuggirà dalle sue responsabilità, abbandonando la donna al suo destino, senza sapere che nel frattempo e’ incinta di un altro figlio, che chiamerà Sami.
Selam oltre a dover allevare due figli da sola, nella povertà assoluta, dovrà combattere anche contro i pregiudizi della gente; essere mulatti e senza padre e’ un disonore nel loro paese e ben presto i due fratelli dovranno imparare ad affrontare questa dura realtà.
Ciò che mi ha stupito di più, è scoprire che l’Italia ha un ruolo fondamentale in questa storia: il nostro paese ha lasciato un’impronta importante, ma non del tutto positiva, in questa zona e sarà grazie a quei preti e a quelle suore missionarie italiane che vivono nel convento e gestiscono la scuola italiana, se Yonas e Sami avranno la possibilità di studiare e di vivere dignitosamente.
È stato difficile non emozionarmi e non pensare che negli stessi anni, quando io andavo a scuola ed il mio unico pensiero era di studiare e uscire con le amiche, i protagonisti di “Mother Eritrea”si preoccupavano di come procurarsi il cibo,di rattoppare continuamente i vestiti e di come guadagnare un Birr (la loro moneta) per poter entrare almeno una volta al cinema e finalmente “sognare”!

” Per me il cinema divenne una vera medicina contro la guerra, la miseria e la fame. Concentratissimo seguivo il fascio di luce che trasportava le immagini e le spalmava sul telo bianco davanti ai miei occhi. Quelle storie mi rapivano, conducendomi in luoghi lontani e per me inimmaginabili.”

Selam è una madre coraggio, arriva anche a prostituirsi pur di sfamare i suoi figli; ma è comunque severa, ci tiene alla loro educazione e gli insegna che essere poveri non giustifica rubare o comportarsi male, che i soldi bisogna guadagnarli con fatica, che non bisogna mai venir meno a certi valori, e si può avere una dignità anche nella miseria.
Questa donna incarna il coraggio e la forza delle donne Eritree, cresciute per lavorare e servire la famiglia, che si preoccupano di dare un futuro ai loro figli, che grazie alla preghiera trovano sempre e comunque la voglia di sorridere. Quelle stesse donne che in un paese in guerra, sono vittime silenziose.

“E così, per ogni notte che Dio mandava in terra, ad Asmara c’era una donna che veniva inghiottita per sempre dall’oscurità lasciando sopravvivere, come un tormento nel cuore di molti, l’eco straziante delle sue urla. Nemmeno il fiume Mai Bela conosceva i nomi femminili dei giovani corpi violentati e strangolati che, suo malgrado, era costretto a raccogliere quotidianamente.”

Si entra in questa storia in punta di piedi, senza ancora conoscere i protagonisti e pian pianino ci si ritrova a soffrire e gioire con loro, fino a sentire i morsi della fame, a provare rabbia quando subiscono ingiustizie, ma anche emozioni positive, come la felicità di Yonas nel ricevere un regalo, perché risultato primo della classe.
Così quella famiglia e i loro vicini di casa, diventano amici virtuali e speri che la guerra non peggiori le cose e che prima o poi per Yonas e Sami arrivi quel pizzico di fortuna fino a quel momento negato.

“Rientrammo a casa per spacchettare il regalo e, con mia grande gioia, vi trovai una scatola di matite colorate, due quaderni a righe, due a quadretti e una ricevuta con l’iscrizione gratuita per il seguente anno scolastico. Quello che preferivo, però, erano i quaderni dov’era scritto Pigna: sfogliandoli odoravano di buono e avevano le copertine lucide e fantasiose. I fogli erano bianchissimi, con le righe o i quadratini perfettamente regolari e visibili.
Provai una vera soggezione e li maneggiai come fossero reliquie.”

Chiudere questo libro e dire addio a Selam, a Yonas e a Sami è stato difficile,
anche se la storia è drammatica la bravura dell’autore è stata nel raccontarla attraverso gli occhi di un bambino, con quella curiosità, ingenuità e speranza che solo un’anima innocente può conservare, anche davanti ad una realtà terribile.
C’è più filosofia di vita in questa semplice storia che in tanti saggi o discorsi intellettuali e leggerla aiuta il lettore a guardarsi dentro e a rimettere ordine fra i suoi valori e le sue priorità, e secondo me oggigiorno, ne abbiamo tutti davvero bisogno.

“Selam aveva ragione: prima la pancia piena poi la morale.”

 

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