Selvaggia e aspra e forte

2008. In una estancia di Bahía Negra, nell’Alto Paraguay, una donna riordina i suoi appunti di viaggio: in quelle note, tra qualche fotografia sbiadita e un pugno di ricordi, scorre il mistero di un uomo che ha vissuto la sua esistenza come un romanzo d’avventura, e la cui fine è avvolta nella leggenda. Fine Ottocento. Guido Boggiani è un pittore affermato, frequenta D’Annunzio e i circoli artistici più raffinati, ma il successo non lo appaga. Sogna una nuova vita, insegue una libertà che gli è impossibile afferrare in Italia, e decide di partire. Attraversa l’Atlantico e nei territori selvaggi e pericolosi, intriganti e seducenti, del Sud America finalmente trova quello che cerca: un mondo – e un popolo, quello delle tribù indigene dell’inesplorato Chaco paraguayo – ancora tutto da scoprire. Qui, tra le minacce dei cannibali pitáyovai “coi piedi alla rovescia” e nuove amicizie alimentate da “solitudini condivise, da nostalgie che restano non condivise e dal combustibile garantito dal whisky”, Guido adotta lo stile degli indios, ma presto si ritrova a essere una presenza scomoda, guardato con sospetto dagli indigeni e apertamente osteggiato dai grandi proprietari terrieri, ai quali quell’europeo che difende le tribù dallo sfruttamento non piace per nulla. Laura Pariani compone un grande romanzo corale, appassionante come Stevenson e luminoso come García Márquez: un viaggio a perdifiato, all’indietro e senza mappe, scegliendo con cura le parole lungo il sentiero come fossero indizi, tracce di vite a noi sconosciute che scopriamo appartenerci.

  • Editore ‏ : ‎ La nave di Teseo (10 ottobre 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 372 pagine

Recensione a cura di Paola Nevola

Non si può non riscontrare nel titolo del libro la citazione della Divina Commedia come ad indicare un preludio di ciò in cui ci stiamo per inoltrare, o forse meglio dire in cui Guido Boggiani ci inoltra, in una selva dai colori prepotenti, vividi, selvaggi, pieni di vigore, dove il tempo si perde agli albori primordiali, un tempo sospeso nell’infinito in un ciclo di vita e morte che sembrano unirsi come nella selva dantesca.

Con naturalezza, passando di bocca in bocca, lui è diventato leggenda, tanto più che aveva tutti i caratteri dell’eroe: giovane, ricco, intelligente, capace di seguire gli intricati sentieri de propri sogni; e – quello che di più conta – compassionevole con gli ultimi della terra e ucciso brutalmente.

Quello di Laura Pariani è un romanzo ad ampio respiro per la grandiosità della composizione umana che rivela, un romanzo biografico di un uomo: il pittore, fotografo, esploratore e antropologo Guido Boggiani che per il suo vissuto, la sua personalità, le sue esperienze può essere considerato leggenda.

Dall’infanzia nelle vallate di Omegna fino a giungere alla fine nel Chaco è un intersecarsi di leggende, di storie narrate, di molte vite vissute, di personaggi realmente esistiti.  Ogni capitolo è una voce che narra un pezzo della propria vita che si è incrociata con quella di Guido Boggiani, ognuno offrendo un punto di vista, una sfaccettatura sulla personalità di Guido e sulla sua esistenza. Una testimonianza sull’uomo e sul mondo dell’epoca di fine ‘800.

“Incontri, incastri della vita. La telaragna del tempo è la stessa in ogni parte del mondo: quando l’ala di una storia ne sfiora un filo, tutto il tessuto del tempo si muove”.

Nel 2008, nell’Alto Paraguay, una donna cerca di ricostruire la vita e la fine di Guido; la foresta che la circonda sembra svegliarsi per esprimere i misteri più bui e spaventosi di uomini forse esistiti o forse esistiti solo negli incubi o nelle leggende, selvaggi, cannibali coi piedi senza dita. 

Ma poi il racconto torna al principio, all’infanzia di Guido a Omegna, a quelle storie raccontate dalla Dolinda, la donna di casa, racconti che tramandano gli anziani, storielle che si raccontano ai bambini per spaventarli. Quel ragazzino crede a quelle storie al crucitt coi piedi alla rinversa che ti porta via nelle profondità della terra. Quel ragazzino che vaga con la mente sogna, cresce ammaliato dalla natura, dai colori, dalla fotografia, da quelle storie che legge nei libri di mondi lontani.

Ho l’impressione che le ali del sogno abbiano sfarfallato sopra di me fin da quando ero bambino. Mi rivedo tra i castagni del mio lago, quando già sentivo in cuore il desiderio di un altrove più grande.”

Guido Boggiani pittore affermato, incornicia nei suoi dipinti paesaggi naturalistici delle sue vallate, espone i suoi ultimi lavori alla Mostra delle Belle Arti e vive il fermento della Milano scapigliata con amici, artisti, letterati, vive la Milano che si veste dello splendore di Ville Lumière con le serate nei locali e la magnificenza dell’Esposizione Universale del 1881 dove sono attesi re Umberto I con la regina Margherita.

In seguito vive gli entusiasmi della Roma Bohemienne, ma è in un viaggio in barca nell’Egeo con gli amici tra cui D’Annunzio che Guido ha come un’illuminazione. Quel vagabondare nell’Egeo spinge la sua anima a voler fuggire dalle solite convenzioni, dalla mondanità, dalle mostre, a voler cercare qualcosa di più, il mito delle origini, quel mondo ancora incontaminato; esplode quel desiderio, quel sogno di bambino tenuto sopito.

Quel sogno è oltreoceano è la terra selvaggia del Chaco. Quel sogno è il miraggio di una vita diversa per molti, fuggiaschi o avventurieri in cerca di fortuna o povera gente in cerca di una vita migliore. 

“Voglio ricominciare da capo, rischiare anch’io, epperciò mettere un oceano tra me e la mia vita precedente mi è sembrata la cosa giusta, tanto più che l’America mi ha conquistato fin da bambino con una tale forza da apparirmi di notte in sogno, uno spazio magnifico e bizzarro, un concentrato di tutto quello che apprendevo dai romanzi d’avventura. È stato il desiderio di vita nuova a farmi traversare il mare.”

Confessa di desiderare emozioni più forti, il contatto con culture non bianche. “Allora sei venuto nel paese giusto: il posto dove sei arrivato, gli indios lo chiamavano ‘huecuvú mapú’, terra del diavolo.

La terra selvaggia è quella terra lontana ancora da scoprire, ma è anche la deforestazione, la costruzione di baracche che diventano piccoli centri in cui si mescolano genti di ogni dove. E’ la ferrovia che avanza come un serpente in mezzo alla selva perché senza quella non si può nulla, è il disprezzo per la natura e per gli indios sfruttati nelle piantagioni di tabacco o mate, sottomessi anche con l’uso della forza.  

E’ quel sentimento che coglie coloro che vivono nelle comunità di emigrati europei che tentano in ogni modo di preservare la loro purezza europea, senza mescolarsi, come se solo la vicinanza ai meticci, agli indigeni potesse contagiarli; è un sistema in cui le autorità stanno dalla parte dei proprietari terrieri, dei faccendieri e guai ad incrinarlo.

A contrapporsi a ciò c’è Guido, che si mescola ai locali, agli indios e tutti lo chiamano Patrao Boyani, che si rivolge alla curandera per scoprire il suo cammino “La tua storia sta dentro la selva come l’osso della pesca o il seme ovale del mango. Guido che a differenza degli altri europei assimila le usanze degli indios, li comprende e soprattutto li rispetta e questo non va assolutamente bene, è rischioso può compromettere quel sistema, quel gringo che non si capisce bene che cosa sia venuto a fare in Paraguay diventa scomodo, pericoloso.

“Vede, se riuscissi a addentrarmi nella foresta, fino a entrare in contatto con le tribù indigene e toccare con mano i segreti della vitalità selvaggia di questa terra, sarei l’uomo più felice del mondo. L’Alto Paraguay è bellissimo. Deve racchiudere meraviglie inimmaginabili.”

La selva lo chiama, lo ammalia con le forme della natura, coi suoi colori dalle mille sfumature… Il verde, presèmpio: di così tante tonalità che è impossibile chiamarle tutte con la stessa parola ‘verde’…” e odori forti, pungenti, inebrianti, col vivere incorrotto degli indios con cui ama mescolarsi; il desiderio è troppo potente, quello spirito libero vuole conoscere, vedere, deve vivere, deve andare. 

Le amicizie non possono trattenerlo, tantomeno la civiltà e ciò che resta in Italia, neanche gli affetti e quel fanciullo salvato dal fiume adottato e chiamato Moisès che si portava dietro nelle escursioni tra gli indigeni nonostante il disprezzo e il diniego degli amici che lo aiutavano a crescerlo. 

Per cercare quelle popolazioni misteriose dai piedi senza dita, Guido con solo l’amico fidato indios, avanza nella selva dove forse nessuno ha osato mai, ma lì è terra di nessuno, non c’è legge, la legge è la foresta che fagocita tutto e quella selva lo inghiotte precipita nel buio torna al crucitt della sua infanzia che lo porta nelle oscurità della terra.  

Qui inizia e finisce il mistero della morte, dell’uccisione di Guido, di un uomo scevro dell’arroganza di quell’umanità che osserva la diversità con superiorità rifiutandosi di vedere con occhi umili e desiderosi di conoscere la bellezza della vita e la sua diversità. 

Guido Boggiani un uomo spinto dal folle sentimento artistico per la bellezza del mondo, dall’ebrezza della passione per la sua arte …Perché un artista – che sia pittore, fotografo, attore o scrittore poco importa – ha sempre uno sguardo speciale, anzi bisogna proprio che ce l’abbia: deve essere spinto da una specie di follia amorosa per fare il suo lavoro. Alla base di ogni arte c’è questa fiamma negli occhi, questa capacità di credere nei propri occhi. Perché, se non si possiede questo fuoco amoroso, non si vede nulla.

Un romanzo iconico, storico, etnografico, per le immagini fotografiche che Guido ha lasciato del Chaco e degli Indios che meravigliano per la bellezza naturale di uno sguardo o di un sorriso. Un romanzo rivelatore di quell’epoca aperta alle novità artistiche, alle scoperte scientifiche, naturalistiche di uomini illuminati come Guido.

L’autrice affascina il lettore con uno stile linguistico consono ad ogni ambientazione passando dall’evocare il piemontese, il milanese, il romano a quello spagnolo sudamericano che si mescola con idiomi locali fino alle espressioni degli indios, inebriando con l’intercalare di storie e leggende ataviche degli indigeni.  

Una storia che riportandola ad oggi assume significati ancora molto importanti, quello di un mondo cieco di fronte al depauperamento delle riserve naturali, del razzismo e dello sfruttamento delle risorse delle popolazioni più povere. 

Ogni tentativo di comparare le culture allo scopo di determinare quale sia la più sviluppata non sarà mai altro che un’ulteriore proiezione dell’odio che la cultura bianca ha nei confronti delle proprie ombre. C’è un solo modo per comprendere un’altra cultura. Viverla. Trasferirsi in essa, pregare di essere sopportato come ospite, imparare la lingua. Così forse prima o poi arriverà la comprensione che sarà sempre muta. Nell’istante in cui si comprende l’estraneo, si perde infatti il bisogno di spiegarlo. Spiegare un fenomeno significa allontanarsi da esso.

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.