Selvaggio Ovest – Daniele Pasquini

Alla fine dell’800 l’Italia è da poco un unico stato, ma nelle campagne non è cambiato nulla o quasi: i butteri della Maremma, i mandriani a cavallo, badano come sempre al bestiame e si guardano dai briganti che infestano la zona. Penna, un buttero capace e taciturno, insieme a suo figlio Donato ha appena fatto arrestare Occhionero, uno dei fuorilegge più spietati. Nel frattempo, la giovanissima Gilda, figlia di un carbonaio, medita vendetta contro i complici di Occhionero, colpevoli di averle usato violenza; quando il brigante prepara la fuga dalla caserma, presidiata dal vanesio Orsolini, arriva in Italia il Wild West Show, il grandioso spettacolo di Buffalo Bill, che insieme a pistoleri e capi indiani gira il mondo in cerca di guadagni e di fama. E mentre lo Show si sposta a Firenze, un furto di cavalli intreccia le vite dei protagonisti, innescando la catena di eventi che condurrà fino al drammatico scontro finale. “Selvaggio Ovest” è allo stesso tempo un romanzo d’avventura, un romanzo corale, un arazzo dove le piccole vite spiccano vivide e indimenticabili sul grande intreccio della Storia. Con passione e meraviglia, Daniele Pasquini trasporta il West americano in terra toscana, e lo trasforma in quotidiana leggenda, da tramandare a voce, da ascoltare con il cuore.

  • Editore ‏ : ‎ NN Editore (26 gennaio 2024)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 368 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Un romanzo western può essere ambientato in Maremma? Secondo lo scrittore di Selvaggio Ovest, Daniele Pasquini, è possibilissimo, e lo ha magistralmente dimostrato in questo romanzo storico che sposa butteri, briganti e cowboy.

Siamo alla fine dell’800 in Maremma, un luogo inospitale, di confine, abitato da pastori, butteri, carbonai e briganti:

“A sud c’era il papa, in Toscana il Granducato. Nel mezzo non c’era niente, solo miseria e acqua putrida, e rovi e marruche, e malaria, e pastori e contadini e carbonai con le pezze al culo. La gente a primavera scappava via, perché morivano come nespole cadute e destinate a marcire al suolo, soli come lupi affamati”.

In questo scenario di desolazione e rassegnazione si sviluppano le storie dei personaggi principali di Selvaggio Ovest, ovvero Giuseppe, detto Penna, un buttero maremmano, e Occhionero, un brigante un po’ sui generis ma pur sempre un fuorilegge. Il buttero Giuseppe è uno dei tanti della zona:

“…il suo compito era stare a cavallo, domare puledri, guidare le mandrie al pascolo e obbedire”.

Scorre lineare e semplice la vita di Penna, tra il duro lavoro di ogni giorno, la moglie Leda e il figlio adottivo Donato, al quale sta insegnando un mestiere che il ragazzo apprende con facilità, rivelandosi molto capace. Ma un bel giorno quella vita tranquilla, banale se possiamo dire, viene a scontrarsi con quella del noto brigante Occhionero, uno dei tanti che imperversano in questa terra di mezzo:

“Tutti sapevano chi era. Qualcuno diceva fosse un eroe, altri ne erano terrorizzati”.

Si sa che il brigantaggio è solito trovare terreno fertile dove e quando lo Stato non è in grado di garantire l’ordine, e in questo frangente il confine tra lecito e illecito, tra diritto e giustizia diventa labile.

“La gente l’aveva sempre trattato bene, perché lì dove non arrivavano i governi c’era lui a far rispettare le regole, e dove non c’era che miseria e sopraffazione Occhionero rappresentava l’unica speranza”.

Occhionero quindi è un novello di Robin Hood, si nasconde sì nella boscaglia con i suoi compagni di ventura, ma è coperto dalla connivenza del popolino, che non ha alcuna fiducia nell’ordine garantito dai Carabinieri dello Stato, come sarebbe più giusto, ma è confortato dalla capacità assai più persuasiva ed efficace di chi pratica la legge del più forte con armi alla mano. E questo perché il brigante in questione ha aiutato più di una famiglia nel momento del bisogno, e anche se non è un santo, così come la gente sa bene, lo copre, gli da rifugio, gli facilita la fuga. 

I tempi però stanno cambiando anche in un luogo come la Maremma, e su Occhionero pende una grossa taglia in denaro che inizia a far gola a molti, e che lo costringe a ritirarsi nei boschi per evitare la cattura e, in un certo senso, lo incattivisce sempre di più, fino a portarlo al punto di non ritorno:

“Se la sua violenza in passato era sempre stata giustificata da altri fini, adesso era spirito di sopravvivenza e dignità, era lo sguardo crudele dell’animale ferito. Non era il momento di girarci intorno. O morivano gli altri, o sarebbe morto lui”.

In questo periodo, dall’altra parte dell’oceano, la conquista dell’Ovest è ormai al suo culmine storico, e il Wild West Show di Buffalo Bill inizia a viaggiare attraverso l’Europa arrivando persino in Italia per una tournée che tocca anche Firenze. Buffalo Bill (1846-1917), al secolo Colonnello William Frederick Cody, eroe della guerra di secessione, nonché vendicatore della morte del Generale Custer nella battaglia di Little Big Horn, e cacciatore di bisonti, mette su un mirabolante spettacolo fatto di rievocazione di battaglie con i nativi lakota/dakota e rodeo, che storicamente ebbe grande successo prima negli Usa e poi, come già accennato, anche in Europa.

“…quel che io mostro ogni sera è la verità riprodotta e magnifica della storia di questo nostro mondo…”.

Ma come è possibile che il mondo dei butteri possa intrecciarsi così a quello dei cowboy? Partendo dal presupposto che “cowboy vuol dire buttero in americano”, così come spiega il giovane Donato a suo padre Giuseppe, questo incontro singolare tra due mondi così diversi ma simili, molto simili, avviene in seguito a un misterioso furto di cavalli avvenuto durante una fiera del bestiame. 

I butteri non possono farsi sottrarre i cavalli, sono le bestie che garantiscono loro il pane in tavola, e bisogna ritrovarle ad ogni costo, così Giuseppe e suo figlio Donato, come segugi, seguono le tracce dei loro cavalli fino a giungere a Firenze dove, guarda un po’ il caso, si sta svolgendo proprio in quei giorni il noto e controverso Wild West Show di Buffalo Bill. 

Ma davvero il Colonnello Cody, un eroe di guerra, un uomo ricco, si è abbassato a rubare qualche capo di bestiame ai butteri come un volgare brigante maremmano? Sembra strano ma le tracce dei cavalli sono inequivocabili e portano proprio all’accampamento degli americani, pieno di cavalli, bisonti, cowboy e nativi americani con le loro tende variopinte, un luogo estremamente affascinante per il giovane Donato ma troppo sospetto per Giuseppe che non si lascia incantare da tutto quel circo. Neanche quando, convinto dal figlio, spende qualche soldino per assistere allo show:

“…Mi sembra tutto un casino senza senso. Mi rode aver speso due lire per vedere un circo di gente che sta a cavallo, quando noi passiamo a cavallo la vita per intero”.

Non possiamo dare torto a Giuseppe, ma comprendiamo la fascinazione che lo show possa aver avuto per Donato. C’è da dire che i due hanno riconosciuto il marchio su alcune bestie presenti nei recinti dell’americano, e non possono né fare finta di niente, né tornarsene in Maremma con un pugno di mosche in mano: devono recuperare quelle bestie a tutti i costi. Ci riusciranno?

Selvaggio Ovest è un romanzo a dir poco interessante. L’intreccio narrativo tra cowboy e butteri maremmani è realistico grazie all’inserimento che fa l’autore di resoconti giornalistici dell’epoca, così come della corrispondenza fra il Colonnello Cody e Mark Twain, realmente avvenuta, e con lo scrittore Ned Buntline (che peraltro è stato autore del primo show di Buffalo Bill), ma anche per la profonda conoscenza che ha non solo del periodo storico preso in esame ma anche del territorio maremmano in quel periodo. Grazie a questo, durante la lettura, ci sembrerà di essere quasi presenti nei luoghi descritti, di vivere quelle dinamiche che oggi ci sembrano bizzarre, obsolete, quasi fantastiche, ma che alla fine dell’800, quando lo Stato d’Italia si era appena formato, rappresentavano la realtà.

Nonostante non abbia mai amato le storie di cowboy, ho trovato stimolante la lettura di questo testo perché non è solo una vicenda di cowboy, ma è piuttosto uno spaccato di storia nostrana, una finestra su ciò che è stato il nostro paese quando il confine tra giustizia e legge era così labile ed effimero da risultare praticamente invisibile.

“…solo gli stupidi e i codardi pensano che la giustizia e la legge siano la stessa cosa”.

Ed è questo il momento storico in cui inizia a fare capolino nell’immaginario della gente il cosiddetto “sogno americano”, l’idealizzazione di una terra lontana in cui tutto può essere possibile, anche e soprattutto una vita migliore. Chissà che non sia stato proprio il Colonnello Cody con il suo spettacolo ad aver spianato la strada per un fenomeno migratorio che, guarda caso, inizia proprio in quegli anni. Certo, il Colonnello aveva fatto bene i suoi conti, lo spettacolo mastodontico che metteva in scena la favolosa conquista dell’Ovest selvaggio americano, nonchè le sue imprese eroiche con l’impiego di più di mille tra uomini e animali, aveva un incasso annuale di circa un milione di dollari.

Selvaggio Ovest è un’opera western? Si perché al suo interno presenta tutti gli elementi necessari per far apprezzare il libro a coloro che già amano il genere, e no perché i butteri non sono cowboy, anche se di fatto svolgono la stessa funzione, e la Maremma non è il West a stelle e strisce ma, se vogliamo essere sinceri, è comunque una terra di confine, un luogo inospitale che vive in bilico tra lecito e illecito, dunque molto simile a certi posti oltreoceano. 

Almeno è questo il messaggio che vuole divulgare lo scrittore. Ed è un messaggio decisamente convincente.

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