UN’INGLESE NELLE MARCHE: MARGARET COLLIER

A cura di Samanta Casali

Margaret Collier nacque nel 1846 da una famiglia nobile inglese, suo padre era l’alto magistrato Sir Robert Collier.

Margaret aveva una solida cultura e vari interessi dovuti anche alle frequenti visite di intellettuali e politici presso le tenute di famiglia.

Fisicamente era una ragazza molto graziosa ma caratterialmente era ostinata e scoraggiava tutti i suoi corteggiatori. I genitori pensarono dunque di mandarla in vacanza in Italia per distrarla e fu così che a Roma conobbe Arturo Galletti, ex garibaldino e ufficiale di artiglieria.

Ella si innamorò subito di lui e vedeva nel combattente garibaldino il simbolo di una epopea romantica mentre Arturo trovava nella fanciulla inglese una dignità e una cultura che la rendevano più interessante rispetto alle ragazze romane.

Nel 1873 i due si sposarono e andarono ad abitare nella ex cappellanìa di San Venanzo (Comune di Torre San Patrizio, allora in provincia di Ascoli Piceno, oggi in provincia di Fermo), potendosi allora acquistare a condizioni vantaggiose le ex proprietà ecclesiastiche.

Tutto nelle Marche era diverso dall’ambiente londinese da cui proveniva, a Torre San Patrizio rimase per dodici anni ed è qui che scrisse La nostra casa sull’Adriatico, un diario sulla vita quotidiana di un piccolo paese nella seconda metà dell’ottocento in cui si possono leggere tra le righe testimonianze di vita contadina ormai scomparse.

Margaret amava molto i paesaggi che offriva le Marche ma si sentiva estranea a quella vita e in particolar modo si sentiva in difficoltà con le persone del luogo. Non aveva rapporti amichevoli né con i contadini né con i mezzadri che abitavano con loro e la mentalità dei servi era diversa da quella della gentile inglese Margaret e per questo nei primi anni di permanenza nel paese ebbe difficoltà a trovare un buon domestico.

Margaret era abituata a comodità e lussi mentre nel paesello trovava disordine e scomodità e si lamentava soprattutto della sporcizia e della poca pulizia delle persone che si lavavano solo una volta al mese.

In questo brano Margaret descrive come è stata accolta dalla comunità:

«Il benvenuto di questi contadini fu d’un calore che quasi mi sopraffece. 

Le donne si precipitarono su di me e mi strinsero fra le loro braccia robuste baciandomi sulle due guance; anche un vecchio mi baciò – il suo modo, mi dissero, di salutare la madre superiora di un convento dove aveva lavorato.

Poi offerte, nella fattispecie uova, furono versate nel mio grembo, e polli vivi legati per le zampe furono deposti ai miei piedi. Complimenti di cui non potei valutare a pieno la portata, furono urlati nelle mie orecchie – evidentemente nella supposizione che il dialetto, se parlato abbastanza forte, sarebbe capito anche da uno straniero».

Quando il marito di Margaret, Arturo, divenne il sindaco del paese, la vita in quel piccolo posto di provincia iniziò a civilizzarsi e anche per quanto riguarda l’agricoltura Arturo dispose nuovi metodi per far fruttare i terreni e ottenere maggiori profitti. 

Nel frattempo Margaret insegnava le buone maniere alle contadine mentre alle ragazze che sapevano cucire diede il suggerimento di vendere i loro lavori per guadagnare qualcosa.

Nel libro si parla anche della vita politica e cittadina, delle occupazioni e dei divertimenti, dei corteggiamenti e delle gite fuori porta che Margaret faceva in tutte le Marche.

Anche se non del tutto, Margaret si stava abituando a quella vita e durante un’uscita conobbe un’altra famiglia anglo italiana che abitava in un paese vicino e con cui fece amicizia. 

Con loro poteva prendere il tè, fare letture e parlare di cultura.

La figlia di Margeret, Giacinta Galletti, si sposò con il figlio di questa famiglia, Guglielmo Salvadori Paleotti. Dalla loro unione nacque Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, nome di battesimo della scrittrice Joyce Lussu. 

Particolarmente significativo l’incipit del capitolo conclusivo:

«Sono passati quasi dodici anni da che ci siamo stabiliti nella nostra casa, e ci abbiamo fatto molti cambiamenti. Si può, certamente, ancora migliorare; ma quando paragono il suo aspetto presente e le sue comodità per quanto relative e l’ordine in cui adesso viviamo, con quello che era quando la vidi la prima volta, e ricordo le privazioni e tutte le difficoltà quasi insuperabili di quei primi tempi, mi sento grata per aver potuto fare tanto, e spero che potremo fare molto di più in futuro».

Contrariamente alle aspettative dell’autrice, la sua vita matrimoniale finì.

Margaret lasciò per sempre il marito e tornò a Londra ma fu troppo tardi per ricominciare. L’Inghilterra era grigia e grigi i capelli dei fratelli.

Margaret non si sentiva a suo agio in quel mondo pieno di novità e sviluppi culturali e i suoi pensieri andavano alla casa sull’Adriatico e ai Sibillini, ormai anche nella sua terra natia non si sentiva più Margaret ma Rita di Torre San Patrizio.

Il libro di Margaret Collier, La nostra casa sull’Adriatico uscì a Londra nel 1886 con la casa editrice Richard Bentley and Son, in Italia fu pubblicato dalla casa editrice Il lavoro editoriale con la traduzione di Gladys Salvadori Muzzarelli e l’introduzione di Joyce Lussu.

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