Il vagabondo delle stelle Jack London

gli Adelphi, 264
2005, 14ª ediz., pp. 400
isbn: 9788845919701

Come Martin Eden, questo romanzo troverà sempre appassionati – per i quali resterà il libro del cuore. Solo un «realista selvaggio» come Jack London poteva gettarsi in una vicenda così temeraria, che a partire da uno scenario che ricorda Forza bruta ci fa veleggiare nel cosmo e nelle epoche con stupefacente naturalezza. All’inizio siamo infatti nel braccio degli assassini di San Quentin, in California, dove il protagonista viene regolarmente sottoposto alla tortura della camicia di forza. Ma in quella condizione disperata, con feroce autodisciplina, riuscirà a trasformarsi in un moderno sciamano che attraversa le barriere del tempo come muri di carta.
Amato da lettori fra loro distanti come Leslie Fiedler e Isaac Asimov, Il vagabondo delle stelle, ultimo romanzo di Jack London, è anche il suo libro più originale, estremo – che si colloca in una regione di confine del firmamento letterario, fra Stephen King e Carlos Castaneda.

Sara Valentino

Da tempo questo titolo mi faceva l’occhiolino, lo pensavo però molto diverso. In effetti rispetto a “Peste scarlatta” e a “Zanna Bianca” è davvero stupefacente. Stupefacente non perchè sia un capolavoro ma per il tema trattato che a quel tempo avrà fatto davvero scalpore. La reincarnazione e i viaggi astrali sono ancora oggi argomento tabù per molte persone, da qui si evince la modernità di London. Lo stile di scrittura appartiene ai classici e non è certo lineare e sbrigativo quanto lo è la letteratura contemporanea, a mio avviso però è abbastanza fluido nella parte in cui racconta il carcere. “Lo chiamano isolamento, ma quelli che riescono a sopravvivere lo chiamano morte in vita”. Le brutture e l’abominio umano sono rese anche platealmente ma ciò che resta di questo libro è la straordinaria forza di volontà, insita in ogni essere umano che ricorda le sue origini divine. Una forza interiore, che in questo caso grazie ai viaggi astrali permette al protagonista di staccarsi dal corpo fisico così da non sentire il dolore e sopportarlo in maniera umanamente immaginabile. Riconosco a London la capacità di raccontare minuziosamente la storia attraverso le visioni delle vite passate eppure queste parti le ho trovate davvero troppo prolisse e dunque pesanti. “Ora il mio discorso si fa chiaro. Lo spirito è l’unica realtà destinata a durare. Io sono spirito e sono io che duro”. Interessante il punto di vista della materia come pura illusione, richiamato anche nel film “Matrix” per chi lo ha vito. La vita, la realtà, il mistero dietro la nostra esistenza terrena. Sono temi che meriterebbero una riflessione lunga e approfondita, non certo due righe, ma a mio parere dentro di noi continuerà a lavorare il vagabondo delle stelle dopo aver gettato un seme.

Emilia Milucci Guido

Un romanzo non facile, che mi ha emozionata e coinvolta molto nei primi capitoli…ma che ho faticato a terminare, perchè mi è sembrato sempre più “esagerato” e un po’ ripetitivo.

Il racconto si svolge su due piani: da una parte la vita in prigione del professore Darrell Standing, imprigionato per l’assassinio di un collega e condannato a morte per aver colpito una guardia carceraria; dall’altra i “viaggi nel tempo” che Darrell riesce a fare, “uscendo” dal proprio corpo, martoriato dalla camicia di forza, per ripercorrere le sue vite passate.

Senza dubbio “il vagabondo delle stelle” è un romanzo ricco e complesso. È certamente un testo di denuncia, che presenta i trattamenti disumani a cui erano sottoposti i detenuti, con gli abusi dei carcerieri e le contraddizioni della “giustizia”, ma è anche un racconto “filosofico” perché affronta la dimensione spirituale e cerca di rispondere alla difficile domanda “cosa succede dopo la morte?”

Perciò è senza dubbio un romanzo ricco di riflessioni e avvenimenti…ma…ho trovato un po’ ripetitivo il cliché dei “viaggi” nei quali il protagonista è sempre un uomo (come se lo spirito, reincarnandosi, rispettasse un “genere”…), alto, biondo, forte,… Inoltre ci sono incongruenze storiche che mi hanno infastidita e hanno reso meno piacevole ed interessante la lettura degli ultimi capitoli. Devo dire la verità che Jack London non mi era piaciuto del tutto neppure quando, da ragazzina, avevo letto Zanna bianca e Il richiamo della foresta…

Probabilmente un autore troppo complesso e contraddittorio che mi delude ogni volta.

Lia Fiore Angy

Ho iniziato questo libro senza conoscere la trama nei dettagli… Il bellissimo titolo mi faceva pensare a qualcosa di magico e onirico; di certo non mi aspettavo una storia così cruda, intrisa di sofferenza e di malvagità. Mi sono ritrovata a seguire il protagonista nelle sue numerose vite e avventure, in diverse epoche, in diversi luoghi e in ruoli sempre differenti. C’è un elemento, però, che ricorre in ogni tappa di questo viaggio: la crudeltà umana.

“Dopo le mie innumerevoli vite, posso dire che dalla creazione del mondo, la barbarie umana non ha fatto un solo passo verso il progresso…”

La lettura di questo romanzo mi ha suscitato delle sensazioni contrastanti: Il tema centrale, che è quello della reincarnazione, da un lato mi affascina ed incuriosisce, ma dall’altro mi inquieta. È una storia molto particolare e dal forte impatto emotivo e, per me, è stata un’esperienza di lettura diversa dal solito. Mentre lo leggevo, sentivo il bisogno di prendere una pausa da quelle pagine così pregne di male, ma allo stesso tempo non riuscivo a staccarmene. E, anche dopo averlo terminato, ho continuato a pensarci, a rileggere le parti sottolineate e a rifletterci sopra per parecchi giorni.

È un libro potente ed ipnotico, un inno al potere della volontà e dello spirito, ed è indubbiamente originale e ricco di spunti di riflessione, ma, questa volta, London non è riuscito a toccarmi il cuore. Sono contenta di averlo letto, ma non credo di rileggerlo in futuro…

Isabella Novelli

Un romanzo che ho amato molto per la denuncia che fa della detenzione, della pena di morte dei metodi sulla carcerazione e delle carceri di massima sicurezza.Una storia cruda raccontata con maestria con delle tesi sulla reincarnazione molto interessanti.Una serie di vicende appassionanti e coinvolgenti di epoche diverse e una serie di personaggi dalle vite movimentate e interessanti nelle quali il protagonista si identifica.London parla anche di solidarietà tra detenuti,tutti condannati alla pena capitale che riescono ,a comunicare tra di loro in mille modi diversi anche se posti in differenti celle di isolamento.La reincarnazione è una tematica talmente importante, da fare sì che la morte passi in secondo piano e sia accettata dal protagonista del libro come una liberazione che gli permetterà di accedere ad altri mondi e ad altre vite.Un libro molto diverso dal London che avevo conosciuto tramite Martin Eden ma accomunato da un finale simile ,dove la morte è risolutiva e salvifica,vista quasi come unica soluzione e fuga da un mondo che appare malvagio.Un libro che mi ha catturato per il modo in cui è svolta la narrazione e che ha rappresentato per me una piacevole scoperta.

Eliana Corrado

Innanzitutto è doveroso un grazie a Sara Valentino per aver proposto questo libro, diversamente non lo avrei mai letto.

Un libro che non mi ha catturato del tutto, per molte parti l’ho trovato faticoso, mi ha stancato e probabilmente non l’ho capito fino in fondo, ma è un libro che andava letto, almeno per me è stato così. Ho apprezzato moltissimo la prima parte, quella di Darrel Standing in prigione, le torture, la sua vicenda – che è anche una fortissima denuncia sociale – , la tecnica messa a punto per sopravvivere alla camicia di forza e alle altre torture, l’astrazione dal corpo, le dissertazioni filosofiche e non solo. Mentre ho apprezzato meno (e goduto meno della lettura) delle parti relative ai viaggi ecc.

Un libro difficile, alla cui fine ci sono arrivata con faticama molto molto profondo, che però tocca un po’ anche noi tutti, perché fa riflettere sulle paure di ognuno di noi, sull’origine di esse (cose cui non pensiamo mai), sul perché siamo come siamo.

un libro che ha sicuramente moltissimi piani di lettura e che oso definire universale perché racchiude in sè diversi generi letterari (che sono giusto delle etichette che appiccichiamo ai libri per la nostra mania di categorizzare tutto): è romanzo d’avventura, è analisi filosofica, è narrativa cruda, è romanzo storico, è esoterismo, è veramente tutto. Resta un romanzo da approcciare con una certa dose di preparazione, non intellettuale o didattica, ma di animo, ecco.

Una di quelle letture in cui magari non ti ci butti a capofitto, ovviamente, ma che ti resta.

Paola Nevola

Non è facile commentare un libro come questo. Non avevo mai affrontato una lettura che parlasse di temi così controversi e complicati, come la reincarnazione delle anime e tanto meno di esperienze extracorporee che portano lo spirito a staccarsi dal corpo per vagabondare nelle vite passate praticando la morte apparente.

Sono argomenti che fatico a comprendere, che ci pongono di fronte al senso dell’esistenza, della nascita e della morte, del mondo e tanto altro; credere in un’altra vita potrebbe essere un conforto per questa esistenza, con una crescita spirituale che man mano ci porta a diventare persone giuste con un’ampia conoscenza, però il desiderio più intimo sarebbe quello di ricongiungersi coi propri cari.

L’opera di Jack London vuole anche essere una denuncia sul trattamento disumano nelle carceri americane, una denuncia di prevaricazione del più forte, di un sistema indifferente, sordido e spietato che va contro la dignità umana. Il protagonista Darrel Standing, condannato alla pena di morte, considerato un irrecuperabile, subisce il trattamento duro della camicia di forza anche per diversi giorni consecutivi e altre vessazioni da parte del suo aguzzino: il direttore carcerario.

“”Mentre questa povera carne giaceva inerte al suolo, e non soffriva ormai più, il mio spirito si innalzava libero nello spazio e nel tempo: il mondo mi apparteneva.””

I viaggi che Darrel racconta nelle sue vite precedenti, estraniandosi durante le “sedute punitive”, alcuni sono episodi storici realmente accaduti, altri di fantasia o un mix, storie molto originali, certe anche troppo. Ancora fatico a comprendere l’episodio riguardante Gesù che offre una visione diversa sulla sua morte, mentre ho apprezzato quello di Jesse Fancher un bambino il cui padre era a capo di una carovana di pionieri attaccata da mormoni e indiani, una storia brutale e realmente accaduta.

La riflessione che ho colto dal libro è che sia i “viaggi” che il carcere rispecchiano la forza della resilienza umana difronte alle avversità più dure, questa resilienza, questa forza è il nostro spirito vitale che non muore mai.

Ho dovuto spesso staccarmi perché c’è tanta crudeltà che rasenta la perversione e la follia, temo che nella società americana ci siano ancora vessazioni e prepotenze nelle carceri e nella polizia verso i detenuti.

Purtroppo ho preso una cattiva edizione dell’ebook, che ha penalizzato la mia lettura, la scrittura è coinvolgente in alcuni tratti rivolgendosi direttamente al lettore. Un testo che mi ha affascinato se pur abbastanza impegnativo, anche emotivamente, che merita un’analisi molto approfondita, mi è rimasto il desiderio di leggere altri libri di London.

Giulia Abbate

Mi unisco ai ringraziamenti a Sara Valentino per questa iniziativa, e anche per avermi fatto conoscere un libro che non mi è piaciuto ma che mi ha sicuramente lasciato qualcosa.

“Il vagabondo delle stelle” è un testo che parte in quarta, con una voce narrante fortissima e una vicenda in medias res, che si preannuncia tutta da scoprire. Purtroppo la prosecuzione del romanzo non mantiene questa promessa: veniamo a sapere poco della storia di Standing e dei motivi che lo hanno portato in prigione, motivi che inizialmente sembrano importanti e correlati al racconto ma che vengono appena menzionati.

La storia si concentra sulle peregrinazioni mentali-spirituali-temporali di Standing, nel momento in cui deve affrontare la lunghissima e terribile tortura della camicia di forza (che infatti dà il titolo alla versione originale: The Jacket).

Essere bloccati per giorni in questo strumento di contenzione è tremendo, e i passi più efficaci del romanzo li ho trovati qui, quando si racconta della sofferenza dei detenuti, del loro isolamento, del dolore che viene loro arbitrariamente comminato. Queste pagine sono estenuanti, moralmente insostenibili, io ho provato disagio fisico nel leggerle e immagino che in una situazione del genere impazzirei in capo a poche ore.

Ecco, parliamone: impazzire. La cosa che mi ha intrigata nella prima metà del romanzo riguarda proprio l’ambiguità della voce narrante, che ha un tono furioso, enfatico, iperbolico, a tratti fanatico. La domanda che mi sono fatta è: London lo ha fatto apposta? Ce lo presenta apposta come un pazzo, per suggerire che potrebbe esserlo?

Il nostro Darrel sta vivendo davvero le vicende raccontate nei suoi viaggi? Oppure esse sono prodotto di allucinazioni salvifiche che lo aiutano a non cedere, facendolo “impazzire” solo per salvarlo?

Non è una domanda oziosa, a mio avviso certa letteratura fantastica e fantascientifica può essere letta anche in questa chiave, e l’ambiguità mi piace molto, la ritengo una strada espressiva molto potente. Allucinazione o vera esperienza? Stress traumatico o effettiva traslocazione? Posso dire queste cose con il realismo, o di fronte a una sofferenza che spacca l’io raziocinante non posso che sconfinare nel fantastico, per dire l’indicibile?

Se London ci avesse lasciati nel dubbio avrebbe fatto bene, invece verso la fine si affanna a spiegare che Darrell ha ragione, questo secondo me indebolisce moltissimo la storia.

Le varie esperienze di “vagabondaggio” di Darrell poi le ho trovate lunghissime, sono romanzi nel romanzo, mi hanno stancata, annoiata e infastidita, perché la linea narrativa della prigione è già forte e interessantissima e non ho capito l’utilità del diluirla in questo modo.

Jack London è un narratore discontinuo, accanto a romanzi bellissimi e a racconti indimenticabili ha anche scritto parecchia fuffa, il suo vitalismo e la sua forza non sempre aiutano l’efficacia e in fondo, mi viene da dire, non hanno aiutato nemmeno lui, che nell’ultima parte della sua vita si è letteralmente autodistrutto. Resto comunque legata a questo scrittore, apprezzo anche i suoi difetti perché li considero difetti di una persona vera, fondamentalmente onesta e utopista, che si scontra con il mondo e con quelle parti di sé stesso meno elevate.

Questo “Vagabondo delle stelle” è stato scritto per denunciare le condizioni disumane dei detenuti, se avesse avuto meno blabla pseudostorici sarebbe stato più efficace, ma comunque colpisce nel segno ed è da lodare.

Mi ha fatto pensare a “Educazione di una canaglia” di Edward Bunker, autobiografia di questo furfante irriducibile e vero come London, che decine di anni dopo proprio a San Quentin ha vissuto torture e privazioni come Darrell Standing.

E anche a “Mattatoio5” di Kurt Vonnegut, dove il rapimento degli alieni può anche essere interpretato come stress postraumatico e il protagonista Billy Pilgrim  pellegrino) è uno “spastico temporale”, ovvero viaggia nel tempo ritrovandosi a casaccio in diversi momenti della sua vita. Sarebbe bello scoprire che Vonnegut si è ispirato a London, anche se non ho elementi per sostenerlo. Ho fatto una ricerca sul testo di London originale, e la parola “pilgrim” praticamente non c’è, quindi penso che il cognome del personaggio di Vonnegut non sia una citazione diretta.

Cinzia Cogni

Questo romanzo è stato una bella sorpresa, mai avrei pensato che Jack London, lo stesso di “Il richiamo della foresta” e “Zanna Bianca” per intenderci, potesse scrivere una storia così cruenta e al tempo stesso emozionante, una di quelle storie che scava nell’animo umano e lascia il segno.

Sono rimasta davvero stupita dall’originalità della trama e dai temi trattati, soprattutto perché il romanzo fu scritto nel 1915 eppure è di una attualità sconvolgente.

Scritto in prima persona, questo romanzo è una sorta di diario o ultime memorie, di un condannato a morte, che senza filtri, senza tralasciare le torture fisiche e psicologiche a cui erano sottoposti i carcerati di allora, racconta la sua esperienza e in particolare le punizioni che prevedevano la camicia di forza.

Sarà proprio quest’ultima tortura a dare il via ad una serie di viaggi “mistici” che gli permetteranno di sopravvivere a quelle estreme condizioni; da quel momento il romanzo prende una piega inaspettata, London infatti con questa storia, precorre i tempi, introducendo concetti come la reincarnazione, i viaggi extracorporei, il concetto di spirito e anima, le sue idee sulla vita, sulla pena di morte e al tempo stesso è una denuncia contro la società dell’epoca che evidenzia tutte le debolezze umane.

Non è una lettura semplice e sono sicura ci siano diverse chiavi di lettura non sempre intuibili, ma il messaggio che lascia è forte e chiaro :la cattiveria è insita nell’animo umano e nemmeno il progresso è riuscita a fermarla.

Giovanna Cosatto Iniziato con entusiasmo che si è affievolito durante la lettura,ma la sua scrittura ha fatto si che non lo lasciassi a meta’e comunque il vagabondo che camminava tra le stelle è stata una bella lettura che mi ha fatto riflettere sull’ingiustizia,la cattiveria dell’uomo e la grande capacità di resistere.

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