1646. Giacomina, l’anima sua e il diavolo – Giovanni Peretti

1646: nelle valli alpine, come in tutta Europa, imperversa la caccia alle streghe. La giovane e bella Giacomina è nata in circostanze particolari. Accusata di un fatto di stregoneria, proverà ad affermare con tutte le forze le sue ragioni, per non cedere al pressante ‘Dite la verità!’ che cerca di frantumare le sue certezze e la sua vita. L’esito del suo processo porterà a eventi inaspettati anche per esponenti dei ceti più alti. ll Cinquecento e il Seicento, in Europa caratterizzati da guerre atroci ed epidemie catastrofiche, sono uno dei periodi storici più cupi anche per la Valtellina. Le paure divengono palpabili a causa di guerre, peste e povertà; pregiudizi e superstizioni di ogni sorta inducono la gente a temere ciò che non capisce, ad aver paura degli eventi che occorrono in natura ai quali non sa dare spiegazione e a ritenere che alcune donne siano l’anello di congiunzione tra l’umanità e il demonio. Anche coloro che amministrano le sorti politiche o religiose delle comunità non sono immuni da questo modo di essere e di pensare. 1646, Giacomina l’anima sua e il diavolo, ambientato in Alta Valtellina, è un romanzo storico incentrato sul processo a una ragazza e sulle conseguenze di ciò che viene detto durante gli interrogatori e le terribili torture. L’autore, Giovanni Peretti, attinge sapientemente dai documenti conservati nell’Archivio di Bormio e fa immergere il lettore nella vita materiale, sociale e culturale di quell’epoca, scoprendo le inquietanti regole e le sconvolgenti prassi processuali allora esistenti.

  • Editore ‏ : ‎ Alpinia (29 novembre 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 256 pagine

Recensione a cura di Sara Valentino

Giovanni Peretti è un autore valtellinese che apprezzo moltissimo, non solo perchè essendo originaria di quelle zone potrei essere di parte ma lo trovo oltremodo valido nel divulgare la Storia narrandola sapientemente nei suoi romanzi che percuotono anche emotivamente.

In questa nuova opera, Peretti affronta un argomento che mi sta parecchio a cuore: la stregoneria. Detto così suona brusco in effetti. Va detto, e chi legge romanzi storici per amore lo sa, quello della “caccia alle streghe” è un periodo storico che risuona sempre molto nell’animo. Si tratta di contenuti spesso abusati nel palcoscenico della narrativa di genere, eppure c’è sempre un coinvolgimento, parlo personalmente, totale.

E’ il 1646, la peste da pochi anni ha mietuto le sue vittime e lo stesso è accaduto nelle valli di Valtellina, Bormio, Semogo, Isolaccia, Livigno, anche se in precedenti periodi, grazie alle misure di contenimento, erano state parzialmente salvate, nell’ultimo periodo purtroppo non ci si può dire salvi. Questa premessa per dire che in quegli anni, parliamo di secoli non bui ma di grande paura e superstizione, si cercava sempre un capro espiatorio, piuttosto si indicava l’ira divina.

I paesi di montagna che ho su menzionato li conosco tutti abbastanza bene, certo è stato un viaggio a ritroso nel tempo, calcando vie, stradine, valli e pascoli, molto doloroso.

Peretti, grazie agli archivi storici, ricostruisce le vicende che troviamo in questo romanzo e lo fa chiedendo ad alcuni personaggi di interpretare gli avvenimenti tali quali si leggono nei verbali dei processi del tempo.

La protagonista è Giacomina, nata dallo stupro a opera di un soldataccio, forse proprio uno di quelli che seminò il germe della peste, verso sua madre. Il marito della donna resta immobile per le percosse che lo renderanno storpio per sempre. Egli non reggerà i danni del corpo e ancor meno quelli dello spirito che dovranno vedere sua moglie pregna di un bruto.

Giacomina ha un destino segnato dal dolore, sua madre, quando lei è ancora una bambina, sarà processata e uccisa per stregoneria, inquisita per sapere l’uso delle erbe.

Furono anni particolarmente nefasti, circa simili fatti, per la Magnifica Terra di Bòrm,: vennero giustiziate e bruciate sul rogo trentacinque streghe e da allora Semòc aveva avuto la fama di suscitare una potente scuola di strìe…”

La piccola cresce però nell’amore degli zii e vive nella pace di valli verdi e incontaminate, vive della vita semplice che le è stata donata e nel fiore dei suoi sedici anni.

Sarà nei ricordi di un uomo ormai anziano, un uomo che suo malgrado visse quegli eventi da tanto vicino, un uomo che li visse poi sulla sua stessa pelle, che anche noi giorno dopo giorno, interrogazione dopo interrogazione, tortura dopo tortura conosceremo la storia di tante povere sventurate.

“Le notti di quest’età sono insonni. Come fossi un burattino, muovo fili invisibili e inconsapevolmente mi porto alla finestra; sotto una luna sbiadita vedo il nulla sconfinato che si annega nel nulla, chiudo gli occhi e guardo nel buio delle mie certezze. Le visioni mi si acuiscono: mi appaiono i cieli limpidi della mia terra, il verde dei boschi di abete quasi mi acceca con le sue tonalità, sento il profumo dell’erba secca dei prati da poco tagliati, il vociare dei contadini nelle vie e il loro dialetto mi fa scoppiare i ricordi nel cuore”

E’ che in quei momenti, quando tutto è ormai lontano, che si pensa alle vittime e forse le vittime, dice l’autore, non sono solo quelle brutalmente inquisite, ma anche chi era un ingranaggio senza possibilità di fuga del sistema di allora. Un sistema basato sull’ignoranza, sul combattere ciò che non si conosce e sull’estirpare dalla terra quel male che invece è radicato negli stessi esecutori materiali. I loro occhi porcini sulle carni abrase delle vittime, lo sguardo concupiscente sui corpi nudi di giovani donne in cerca di un qualche minimo segno sulla pelle lasciato dal maligno, li ho sentiti.

Anime spezzate, come spezzate erano le loro membra eppure ancora e ancora gridano la loro verità, che non è la stessa che attendono i giudici. Si dichiarano innocenti, vengono private della dignità, il dolore è insopportabile, nel romanzo i verbali non lasciano nulla all’immaginazione.

Tutto nato da cosa? Perchè si finiva nel braccio dell’inquisizione? A volte solo per antipatia… Di lì poi trovar testimoni era semplice, chiunque aveva vissuto un dramma piccolo o grande e trovare qualcuno a cui dare la colpa era comodo. Ma era anche difficile rimanerne estranei, si rischiava di essere messi essi stessi a processo.

Confessare in nome di una promessa vana e poi scoprire l’inganno è credo il passaggio più doloroso, è l’asciugare l’ultima stilla di speranza di voler vivere e per l’umanità, che di umano ancora una volta non ha nulla se non il nome.

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