Delitto a Dogali: La prima epopea coloniale italiana – Daniele Cellamare

Quando nel mese di febbraio del 1885 sbarcano a Massaua, un piccolo e sconosciuto porticciolo della costa eritrea sul Mar Rosso, i soldati italiani sono ancora allo scuro delle mire espansionistiche della politica nazionale. Roma ambisce a conquistare l’immenso territorio etiope e mentre fra proclami, giochi diplomatici internazionali, discutibili decisioni del governo ed eroici combattimenti, la fondazione della prima colonia italiana in terra d’Africa prende corpo, in una dimora abbandonata sulla strada per Dogali si consuma un delitto efferato: con una coltellata al cuore viene assassinato un sacerdote. Si tratta di tensioni religiose o dietro l’omicidio si nasconde altro?

Sarà incaricato di scoprirlo un giovane capitano del Regio Esercito, che pur brillando per iniziativa non è di certo un investigatore di professione: commetterà infatti innumerevoli errori e disattenzioni, ma cercherà comunque di portare a termine le indagini.

E intanto, tra le anse dimenticate del Tigrè, le truppe italiane subiranno una serie di terribili sconfitte fino al culmine del massacro di Adua, che segnerà la caduta del governo Crispi e la fine della prima epopea coloniale italiana.

  • Editore ‏ : ‎ Les Flâneurs Edizioni (17 novembre 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 260 pagine

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

Siamo alla fine del XIX secolo. L’Italia è scossa dalla barbara uccisione di tre uomini: Gherardo Monari, Cesare Diana e Gustavo Bianchi. I tre facevano parte di una spedizione italiana in Africa incaricata di individuare una via di comunicazione tra l’Abissinia settentrionale e la baia di Assab, acquistata dall’esploratore italiano Giuseppe Sapeto, con l’obiettivo di dare ai prodotti italiani la possibilità di entrare nel mercato dell’Etiopia. Un’impresa rischiosa, in un territorio sperduto, inospitale e pericoloso come quello della Dancalia, ma voluta intraprendere con ferma decisione da Gustavo Bianchi. 

Anche il capitano Antonio Garofalo e il tenente Umberto Palumbo parlano con sgomento dell’accaduto. Tutte le firme più prestigiose chiedono un intervento tempestivo del governo italiano per punire in modo esemplare i dancali colpevoli del brutale massacro. 

Inoltre, in tanti pensano che sarebbe ora che l’Italia partecipasse alla spartizione dell’Africa, insieme alle altre grandi potenze europee.

Nei primi giorni del 1885, il colonnello Saletta riceve un telegramma da Roma con il quale gli viene affidato l’incarico di comandante delle truppe da inviare ad Assab. Una responsabilità enorme, che un po’ lo preoccupa, ma a preoccuparlo è soprattutto la poca chiarezza del telegramma a proposito della missione alla quale è destinato. Si tratta di una semplice ricognizione del territorio per fini espansionistici, di una spedizione punitiva contro i dancali, o dell’occupazione della cittadina di Massaua?

Tra dubbi e incertezze, una sola cosa è certa: un soldato deve sempre obbedire agli ordini, anche quando si tratta di ordini poco chiari.

Saletta e le truppe italiane arrivano a Massaua il 5 febbraio del 1885. Il colonnello è colpito dalla pace e dall’atmosfera rarefatta di quel luogo sconosciuto, ma c’è qualcosa che non lo convince e lo inquieta. Gli abitanti sembrano totalmente indifferenti al loro arrivo, quasi fossero invisibili ai loro occhi.

A lui spetta il compito di trasformare quella comunità di commercianti arabi, in cui si sono inseriti anche alcuni europei, nella prima colonia italiana. Sa che per poter tenere alto il prestigio dell’Italia ha bisogno di collaboratori fidati. Il primo nome che gli viene in mente è quello del capitano Antonio Garofalo, per curare i rapporti con la popolazione locale.

Quei luoghi esotici, che colpiscono per il loro fascino, non sono certo privi di pericoli e di minacce… 

C’è il problema dell’Abissinia, che da anni desidera avere uno sbocco al mare proprio lì a Massaua, e c’è il pericolo rappresentato dai basci -bazuk o “teste matte”, un miscuglio di arabi, albanesi ed europei particolarmente brutali e violenti, dediti a saccheggi e razzie, anche se c’è chi, come Garofalo, pensa che possano essere dei preziosi alleati per la loro conoscenza del territorio e della lingua araba, e per la resistenza a quel clima torrido. Un’altra minaccia da non sottovalutare è rappresentata da Ras Alula, generale abissino e signore di Hamasen, dedito al banditismo, all’assalto di carovane e ad altri loschi affari. 

A complicare il tutto, si aggiunge il misterioso omicidio di un prete di origine italiana, padre Adelmo, che si era offerto di portare un po’ di conforto ai soldati italiani, appena arrivati in quella terra ostile e lontani dalle loro famiglie. Un personaggio un po’ bizzarro. Era davvero chi diceva di essere?

L’incarico di trovare il colpevole è affidato al capitano Garofalo e al tenente Palumbo. C’è un particolare nella scena del crimine che salta subito all’occhio: la posizione del cadavere. Ma non aggiungo altro… 

“È come… come se l’assassino, una volta ucciso, non volesse più vederlo in volto… strano.”

Il caso sembra più complicato del previsto. Diverse piste da seguire, diversi sospettati… Una scena del crimine totalmente spoglia e priva di oggetti, a parte alcuni affreschi scoloriti dal tempo… 

L’assassinio del prete non è l’unico mistero con il quale i due militari devono fare i conti. C’è una donna, tanto seducente quanto enigmatica, arrivata a Massaua insieme ad alcuni funzionari incaricati di organizzare l’amministrazione della nuova colonia. Il suo nome è Adele Rampell e di lei si sa soltanto che è appassionata di arte e di restauro. 

C’è qualcosa in Adele, oltre all’avvenenza, che colpisce Garofalo, e forse è proprio questo qualcosa che, sebbene indefinito, lo spinge a non avvicinarsi a lei e a stare sulla difensiva, nonostante ne sia attratto. Non crede che possa essere una spia, una traditrice della patria; ciò che vede in lei è un’ombra, forse un dolore del passato…

“Istintivamente, il capitano Garofalo pensò che quell’Adele Rampell fosse una donna fuori del comune, forse capace di accendere un fuoco incontrollabile, oppure di scatenare passioni fuori dal tempo, grazie a un ambiguo magnetismo che sentiva già vibrare nell’aria. 

Non seppe dire cosa lo avesse colpito in particolare, ma neanche spiegare il motivo per cui era stato così distaccato durante le presentazioni. Avrebbe voluto essere più cordiale, ma aveva avuto il sopravvento un istinto di vigilanza, quasi di difesa.”

Delitto a Dogali” è un intricato giallo e al contempo un romanzo storico rigoroso, ricco di informazioni e di descrizioni dettagliatissime, che ricostruisce la prima epopea coloniale italiana. L’autore descrive con estrema precisione e attendibilità i fatti salienti, come l’eccidio di Dogali, la strage di Amba Alagi e la decisiva battaglia di Adua, ma senza rinunciare al pathos. 

“I cadaveri vestiti di bianco giacevano insanguinati su quella collina sotto il sole accecante, in un silenzio assoluto di morte, destinati a rimanere per sempre nella gloria imperitura: « tutti supini orribilmente mutilati,giacevano in ordine come fossero allineati».”

“Si girò verso le schiere avversarie che avevano quasi raggiunto il suo contingente e fermo in piedi offrì loro il petto. Solo per pochi secondi gli abissini smisero di sparare per ammirare il coraggio dell’ufficiale italiano, ma poi aprirono il fuoco e lo crivellarono di colpi.”

Di pari passo con i fatti storici, è ricostruita anche la situazione politica dell’Italia. Le eccessive ambizioni del governo Crispi furono la causa di una vera e propria carneficina. Giovani vite, come quelle del colonnello Tommaso De Cristoforis, del maggiore Pietro Toselli e di tanti soldati semplici, sacrificate per tenere alto l’onore dell’Esercito e della Monarchia.

L’autore affronta anche un altro argomento che non conoscevo: la tratta delle ragazze italiane verso l’Africa del nord. Giovani donne dell’Italia Meridionale, adescate con la falsa promessa di trovare un lavoro umile ma dignitoso presso famiglie agiate, venivano abusate e imbarcate con l’inganno per la Tunisia e l’Egitto per essere vendute come schiave. 

I personaggi sono ben caratterizzati. Antonio Garofalo colpisce per la semplicità, la pacatezza, la capacità di scrutare l’animo umano, e l’umiltà. Come tutte le persone realmente capaci e valorose, pensa sempre di non essere all’altezza degli incarichi che gli vengono affidati. 

Palumbo ha dei modi più scanzonati ed è decisamente più impulsivo, ma si fa apprezzare per la sincerità e la genuinità.

Ho trovato molto interessante e ben riuscito anche il personaggio di Adele, ma c’è un altro personaggio femminile che mi ha maggiormente colpita. Si tratta della principessa Taitù Batùl, moglie di Menelik II, uno dei più potenti re d’Etiopia. È a lei che Menelik si affida completamente nel prendere le decisioni più importanti. Consigliera, motivatrice, una donna dalla forte personalità, indubbiamente. 

“Marito mio, c’è solo un ordine che puoi dare: quello di attaccare gli italiani, di colpire questi maledetti invasori e non dare loro neanche un momento di respiro. Devi schiacciarli con tutta la tua forza, come si fa con uno scorpione velenoso.”

“A dorso di un piccolo mulo, l’imperatrice, che aveva il volto velato ed era protetta da un ombrello nero, era scesa in campo per infondere coraggio ai suoi uomini. Li incitò a riprendere i combattimenti, a vendicare i compagni caduti e a credere fortemente nella vittoria finale.”

È stata una lettura avvincente, che mi ha intrigata per la componente thriller e coinvolta emotivamente per la componente storica. Ho apprezzato molto la narrazione elegante e fluida, e le ricche descrizioni, che mi hanno permesso di conoscere meglio i fatti storici narrati e di immergermi nel contesto geografico. 

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