Giorno di vacanza – Inès Cagnati

Non si può crescere in un paese di paludi, di piogge, di nebbie, di terre livide dove tutto muore, senza rimanerne segnati per sempre: di più, senza assomigliare a quel paesaggio inamabile. Né vivere in una casa fatiscente, sperduta fra boschi, malerbe e acque solitarie, dove anche l’amore è intollerabile violenza, senza desiderare che il mondo intero esploda «in una girandola di sangue». Nera come una zingara, taciturna come uno strano fiore selvatico, traboccante di rancore e di disprezzo per se stessa, Galla vorrebbe solo andarsene via, lontano dai troppi lutti, dal peso delle innumerevoli sorelle, da un padre abbrutito dal lavoro, dalla madre che ama troppo per sopportarne la dolente presenza. Ma l’unica possibilità di fuga, oltre ai sogni, è la vecchia e fragile bicicletta dal lamento di salamandra morente, e l’unica meta la scuola dov’è interna, a trentacinque chilometri, in città. Un tragitto che separa due vite e due mondi inconciliabili – la pietraia che non dà frutti e le terre miracolate dalla fertilità –, e che un sabato Galla decide di percorrere per rivedere la madre: sarà un giorno di vacanza sinistro e fatale, dove tutto precipiterà, rivelandole il senso di ogni cosa. Perché il malevolo, straziante paese da cui proveniamo – sembra dirci Inès Cagnati con la sua prosa di insolente intensità – è la carne stessa di cui siamo fatti, e possiamo, se non sbarazzarcene, almeno intravedere nel ricordo le meraviglie di cui era fiorito.

  • Editore ‏ : ‎ Adelphi (23 maggio 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 151 pagine

Recensione a cura di Sara Valentino

Ne avevo abbastanza, sì. Perchè da tre o quattro ore, se non di più, non facevo altro, e in tutte le cose arriva sempre un momento in cui non ne puoi più e allora dici: No”

Questa è una delle prime frasi che ho sottolineato nel testo, la prima. Mi ha fatto pensare parecchio a quante volte ci fermiamo esausti per aver percorso sempre, metaforicamente, la stessa strada e poi un giorno a un certo funto diciamo: “basta!”

Questo breve romanzo, di una potenza narrativa sensazionale, l’ho inteso proprio come un’allegoria alla vita di tutti noi.

E’ un testo molto triste, quasi devastante, non dirò che va letto al momento giusto perchè personalmente mi ha cambiata leggerlo. Stimola la riflessione, ci ricorda il valore della famiglia, di una famiglia che sa esserci, che sostiene i suoi componenti tutti.

Tutto splende, esulta e muore”

La natura è una delle grandi componenti di “Giorno di vacanza”. Lo sono i paesaggi, a volte meravigliosi e incontaminati, a volte tetri e impervi come i luoghi paludosi e acquitrinosi dove vive Galla, la ragazzina protagonista e voce del romanzo. Lo sono gli animali, descritti nelle loro abitudini ancestrali e nel comportamento materno e amorevole che Galla trova nella sua cagna Daisy ad esempio.

“Non posso chiedere ogni quindici giorni ai miei genitori di pagarmi il viaggio in corriera. E’ già tanto che alla fine abbiano acconsentito a lasciarmi andare andare al liceo, lo so. Non chiedo niente. Del resto, se anche chiedessi, non mi darebbero niente”

Galla è una ragazzina figlia di una coppia formata da un uomo scontroso e violento e da una donna sottomessa e incapace di difendere se stessa e i suoi figli. I genitori di Galla hanno diversi figli, tutte femmine, tranne un neonato nato prematuro e morto subito dopo, nessuno a parte lei, che ha dovuto disfarsi del corpicino, sa che era il tanto agognato figlio maschio. E’ una famiglia povera e infelice, vive in un luogo così inaccessibile e selvaggio che nessuno più si avvicina alla loro casa, nè i vicini e nemmeno il postino. Solo alcune zie, descritte come tanti gufi neri e grigi.

Galla vuole andare a scuola, va al liceo e ci va con il suo bene più prezioso, una bicicletta vecchia e scassata, arrugginita e malconcia alla quale la ragazzina è molto affezionata, forse più che agli esseri umani.

Un giorno come tanti, una domenica, Galla torna a casa ma ad attenderla solo tutto ciò che di più nero può accaderle, come un fulmine a squarciare il cielo gli eventi le cadono addosso in maniera inesorabile. Così percorre gli eventi passati, il suo rapporto con le sorelle, con il padre e con la madre. Li ripercorre mentre ritorna con la sua bicicletta a quella che le pare possa essere la sua unica certezza.

“Con mia madre non ho paura del buio. Da sola, ho paura perchè non so mai se è buio perchè sono diventata cieca o se è buio perchè è buio.”

Il rapporto con la madre ripercorre, penso, tutte le vite degli adolescenti in modo particolare delle ragazze e il loro rapporto di simbiosi, la relazione interconnessa con la genitrice ma allo stesso tempo l’astio, l’accanimento. In poche righe l’autrice ci racconta un rapporto vecchio come il mondo, un rapporto di amore indissolubile, un rapporto che incrina a volte il cuore, un rapporto che genera pentimento. Ho letto righe emotivamente così coinvolgenti e allo stesso tempo devastanti che possono perturbare per come ognuno di noi, da figlia e da madre le ha vissute

Galla cerca di essere amata e allo stesso tempo pare avere paura dell’amore e delle relazioni, addirittura crede che se fosse stata veramente amata sarebbe più bella. Forse l’insegnamento ultimo è proprio quello di amarsi, di riuscire a andare oltre i legami con le persone e con le cose. Nel suo rapporto con la cagna di famiglia è custodita la speranza.

“Insomma per essere amata mi sarebbe bastato essere un cucciolo”

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