Guerra d’infanzia e di Spagna di Fabrizia Ramondino

Titita è una bambina curiosa e vivace che, a causa degli impegni diplomatici del padre, si trova a trascorrere i primi anni della sua infanzia sull’isola di Maiorca. È il 1937, in Spagna infuria la guerra civile e di lì a poco scoppierà un conflitto mondiale senza precedenti. Ma in quella bolla colorata e piena di sole che è Maiorca, Titita passa le sue giornate persa in una sua personalissima battaglia, un continuo incontrarsi e scontrarsi con tutto ciò che la circonda, a cominciare da se stessa. Le esplorazioni nel lussureggiante giardino della villa in cui abita con la famiglia, i giochi e i travestimenti in compagnia del fratello maggiore Carlito, i rimproveri e gli insegnamenti dell’amata balia Dida; e poi i momenti di tenerezza con il padre, i ricevimenti formali organizzati dalla madre, i racconti sognanti della nonna in visita da Napoli: ogni giorno la piccola Titita scopre un pezzetto di mondo, trovando sempre più difficile conciliare, dentro di sé, il senso di libertà che percepisce nella natura con l’incomprensibile severità dell’universo adulto. In questo confronto, tuttavia, la sfida più grande sarà fare i conti con quel microcosmo segreto e sempre cangiante che è la propria individualità: gli impulsi, i capricci, i desideri, gli affetti, le paure che formeranno la sua persona.
Con una prosa ipnotica che mescola finzione a verità, sullo sfondo di un’isola che è prima di tutto luogo dell’anima, Fabrizia Ramondino compie un viaggio meraviglioso nell’interiorità di Titita, ripercorrendo le tappe e le contraddizioni di un’infanzia speciale. Guerra di infanzia e di Spagna è un classico della narrativa contemporanea, dalle cui pagine trapelano tutta l’originalità e lo straordinario talento di un’autrice che è riuscita a conquistarsi un posto di primo piano nel panorama letterario dell’ultimo Novecento.

  • Editore ‏ : ‎ Fazi (20 gennaio 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 504 pagine

Recensione di Claudia Pellegrini

È il febbraio del 1937, la guerra civile spagnola è ormai scoppiata da circa un anno e l’isola di Maiorca è diventata una roccaforte dei franchisti. Il console italiano in sede viene sostituito da un altro nominato da Ciano, così da facilitare l’impianto di basi aeree e navali che appoggino Franco contro l’esercito repubblicano di Barcellona e Valencia. Questa storia inizia proprio all’arrivo del neo console, Luigi Ferdinando Baldaro, su questa bellissima isola, ed è narrata da sua figlia, Titita:

“Quando giungemmo nell’isola, alla fine di febbraio, i mandorli erano già in fiore e il bianco delle corolle si mescolava a quello delle ossa nude nelle campagne. In previsione del nostro arrivo, infatti, avevano ucciso tutti i nostri nemici”.

La piccola protagonista si ritroverà a trascorrere la sua infanzia in una splendida villa circondata da piante lussureggianti e animali, accudita dalla numerosa servitù e lontana da ciò che sta accadendo nel mondo. Nonostante ogni tanto trapeli qualcosa dai discorsi dei grandi e dalle chiacchiere dei domestici, Titita, che è una bambina molto curiosa, vivace e intelligente, quasi non si accorge che di lì a poco scoppierà un conflitto mondiale unico nel suo genere.

Persino dell’Italia, il suo paese di origine, la bambina sa o ricorda molto poco. Le uniche informazioni che possiede della sua terra le vengono da sua nonna materna che, di tanto in tanto, si reca a Maiorca in visita, la quale le racconta storie fantastiche su Napoli:

“Napoli così, ai miei occhi, diventava sempre più la settima meraviglia del mondo”.

L’Italia dunque si trasforma in un paese quasi mitologico, un luogo misterioso da esplorare, però da grande, è quella infatti la meta che Titita vorrebbe raggiungere una volta cresciuta, anche se crescere è un concetto il cui significato non comprende fino in fondo e, a dirla tutta, è un processo che la spaventa anche un po’: 

“Talvolta prendevo tutte le bambole e i bambolotti, li mettevo in una scatola di legno, ci entravo anche io, e con due bastoni cominciavo a remare; a volte la tiravo con una corda. Era una nave diretta in Italia, il paese del ‘che cosa farai da grande’. Con tutte quelle bambole al seguito andavo lì per diventare grande. Ma puntualmente a metà strada, in un naufragio, la cassa si capovolgeva; bambole e bambolotti cadevano in mare, li coprivo con un panno: erano tutti morti. Io da sola mi salvavo e tornavo indietro a nuoto”.

Per crescere c’è sempre tempo, e Titita preferisce al momento dedicarsi alle esplorazioni della natura circostante e ai giochi in compagnia del fratello Carlito. Dai rimproveri dell’amata balia Dida e dalle punizioni subite in seguito ai suoi capricci, la bambina si rende conto di quanta differenza ci sia tra il suo piccolo mondo fatto di libertà assoluta, e quello dei grandi, sempre ingessato, legato a tutta una serie di obblighi e formalità che non comprende.

Questo concetto ci riporta al titolo del romanzo, ossia alla battaglia di infanzia che Titita mette in atto non solo con tutto ciò che la circonda, i suoi genitori, i compagni di gioco e la servitù, ma anche contro se stessa. Son Batle, questa villa da sogno immersa in una natura lussureggiante, selvaggia e libera, diventa il campo di battaglia delle emozioni, delle paure, dei sogni e delle speranze di una bambina, al pari dei campi di battaglia nei quali si vedono costretti a combattere gli adulti poiché ormai è scoppiata la guerra:

“Gli uomini, sembra, in questo secolo sanno soltanto combattersi e basta. E Dio li lascia fare, li asseconda, perché rinsaviscano forse, o per punirli”.

Titita è poco incline ai cambiamenti, non li accetta, non ne vede la motivazione, ma a un certo punto della sua giovane vita è costretta a fare i conti con parecchi stravolgimenti alla sua routine, che peraltro arrivano a bussare alla sua porta uno dopo l’altro.

Il primo è il suo ingresso in un collegio femminile gestito dalle suore, un luogo così lugubre, freddo e ostile se paragonato alla sua Son Batle:

“Eravamo destinate a diventare, come le suore, uccelli neri col petto bianco. Quel bianco infatti era una promessa solenne e un impegno di passare in futuro al nero, di ricoprirci di nero”.

Diversamente da ciò che crede Titita, lei non è in quel posto per diventare suora ma solo per completare la sua educazione.

Ma la guerra inizia a chiedere un tributo anche a chi, come la nostra protagonista, sembrava non averci nulla a che fare: la famiglia del console deve trasferirsi altrove e lasciare quel luogo idilliaco:

“Traslocare, capii, non era soltanto separarsi da un luogo. Stavo per morire”.

Troveranno un’altra casa a Portopì, un quartiere sul mare dove la bambina potrà cominciare nuove avventure di esplorazione e formazione. Ma la macchina degli eventi è ormai stata messa in moto, l’Italia perderà la guerra e la vita di Titita questa volta cambierà davvero radicalmente e per sempre, questa volta infatti sarà costretta davvero a iniziare quel processo di crescita che aveva sempre fatto naufragare insieme alle sue bambole a metà del percorso.

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