Hadriaticum. Pirati di Almissa di Pio Bianchini

Un romanzo storico, un intreccio di storie che parte dai sottoportici della Venezia del XIII secolo e si apre alle vie dell’Adriatico, tra le sponde di Almissa e di Portonovo. Lunardo e Marin, gemelli nati dall’unione clandestina tra il nobile Jacopo Polani e una meretrice, crescono ignari delle loro blasonate origini. Divenuti ragazzi, la loro somiglianza col padre non passa inosservata. Rimasti orfani e caduti in disgrazia a causa delle trame ordite contro di loro, si imbarcano come rematori su una galea diretta verso la Grecia. A bordo ci sono due fanciulle in procinto di conoscere i loro sposi, ma durante il viaggio l’equipaggio diviene preda della sagitta capitanata da Sinisa, fiero pirata di Almissa. Le vite dei protagonisti vengono stravolte; eventi tragici accomunano aguzzini e vittime, conducendo infine alla necessità di ricostruire le rispettive esistenze alle porte delle terre riminesi che si rivelano una polveriera pronta a esplodere…

Copertina flessibile: 282 pagine
Editore: Augh! (31 maggio 2017)
Collana: Frecce

Recensione a cura di Paola Marchese

Pio Bianchini non si smentisce e ancora una volta mette in piedi una intensa saga ricca di elementi storici notevoli e accattivanti.
Ci troviamo, questa volta – come ci sottolinea lo stesso titolo – sulla costa adriatica dell’Italia del XIII secolo ma il tutto prende avvio da una premessa palesata fin dal Prologo: il giovane Giacomo, nel 1980, si ritrova a Portonovo per vacanza ma si rende conto immediatamente che il paesaggio gli è stranamente familiare e che lo inquieta, causandogli anche un incubo nottetempo. Divenuto uno scrittore, anni dopo, nel 2015, una presentazione a Cesena lo riporta di colpo a quella strana sensazione che aveva dimenticato, mentre un bizzarro individuo che sembra leggergli dentro gli instilla il dubbio che potrebbe essere la chiave dei suoi déjà-vu. E grazie a una apparentemente incomprensibile ed enigmatica pergamena ritrovata da Giacomo ci ritroviamo immediatamente catapultati nella Venezia del XIII secolo.

L’autore ha il grande pregio, come già visto il “Petra Rubea”, di farti immergere totalmente nel periodo storico narrato, sia attraverso la ben evidente padronanza del periodo, sia attraverso piccoli, apparentemente insignificanti dettagli sugli usi e i costumi dell’epoca, che però evidenziano la profonda conoscenza della materia.

Siamo in una Venezia dei bassifondi, tra i suoi vicoli, i suoi sottoportici e la difficile esistenza di ogni giorno vissuta da personaggi cupi, crudeli, di bassa estrazione sociale e di diverse categorie ma ai quali si mescolano, quasi senza che il lettore se ne avveda, anche uomini di alto rango, schiavi delle proprie passioni e dei propri oscuri desideri, che con le loro azioni non fanno che essere alla stessa stregua dei loschi individui che temono e disprezzano e dai quali si tengono distanti.

Tutta la prima parte del romanzo non è che una lunga, descrittiva premessa per introdurci al vero tema, richiamato dal sottotitolo: i pirati di Almissa. I personaggi, la cui vita incrociamo all’inizio e le cui caratteristiche fisiche e morali vengono abilmente tracciate dall’autore – Basio il ruffiano, Malgarita e Bettina, madre e figlia alla sua mercé, Checo, loro involontario salvatore, Jacopo nobiluomo innamorato di una prostituta, e infine Muranno che si rivelerà un amorevole marito e padre – non sono che il preludio a una vicenda epica che attraverso incursioni, attacchi pirateschi, naufragi, saccheggi, atti infidi e eroici, ci immergerà nella vera vicenda di Hadriaticum.
I figli di Malgarita, Lunardo e Marin, cresciuti nella bottega di Muranno, ben presto si ritroveranno soli e in cattive acque e dovranno provvedere al loro sostentamento imbarcandosi su una galea veneziana. Questa loro scelta li porterà a incrociare Sinisa – vero protagonista del romanzo – e i suoi pirati e, incredibilmente, di ritrovare le due figlie di Jacopo, il vecchio amante della madre Malgarita, a loro volta cadute nelle mani degli avventurieri. Ben presto la strana somiglianza tra i due gemelli e le fanciulle diventerà palese agli occhi di più persone, intrigando la vicenda.

Così aguzzini e vittime, cattivi che non sono poi così crudeli, e uomini di valore che non sono sempre i “buoni”, finiscono per intrecciare le loro vite portandoci fin sotto le coste riminesi, alla conclusione della vicenda.
Anche questa volta Bianchini si lascia trasportare dal piacere di arricchire di innumerevoli personaggi la trama, a volte eccedendo e facendo perdere il filo narrativo per poi, però, riannodarlo con sapienza nel dipanarsi della trama. La maestria nella scrittura e la perizia storica e geografica, la descrizione dei luoghi, la immaginifica varietà dei personaggi ci fanno, così, passare sopra i due punti deboli del testo. Il primo riguarda, a mio avviso, l’eccessiva prolissità della cosiddetta “introduzione”, ovvero la premessa che porterà il lettore sulle acque di Almissa. Più di un terzo del romanzo è, infatti, servito, a condurre il protagonista alla ribalta. Il secondo punto debole è dato dal quasi inesistente sviluppo della questione introduttiva che, secondo la volontà dello scrittore, immagino, debba restare vaga, e che, tuttavia, alla fine della lettura lascia, a mio avviso, un senso di incompletezza.
Ciò non toglie che il testo vada comunque letto e apprezzato per tutti i punti che lo rendono un ottimo romanzo storico italiano. E ne abbiamo bisogno, di questi tempi.

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