I cigni di Leonardo – Karen Essex

Isabella e Beatrice d’Este, sorelle e rivali, spose rispettivamente del duca di Mantova e di Ludovico il Moro, hanno segnato il Rinascimento come poche altre donne: raffinate mecenati e abili politiche, l’una cadde in rovina dopo una giovinezza promettente, l’altra raggiunse passo dopo passo una posizione di straordinaria influenza sulle arti e gli affari politici dell’Italia rinascimentale. In questo romanzo storico, narrato in flashback da Isabella che medita sulla tomba della sventurata sorella, rivivono gli intrighi di corte e le passioni travolgenti di una stagione creativa, machiavellica e drammatica della storia italiana, intrecciati al destino di Leonardo da Vinci, che sotto la loro ala protettrice diede vita ai suoi capolavori.

In libreria da Ottobre 2007

Edizioni Bompiani

Recensione a cura di Sara Valentino

Amanti del Rinascimento, se non lo avete ancora letto vi consiglio di farlo quanto prima: “I cigni di Leonardo” è un romanzo storico che affascina e ammalia.

Un mazzo di Tarocchi è la stesa che dona il titolo a ognuno dei capitoli che compongono il romanzo di Karen Essex.

Il romanzo inizia dall’epilogo, il triste epilogo che vede Beatrice D’Este morire di parto all’età di soli ventun anni. A darne l’annuncio a noi lettori è una ipotetica lettera sussurrata dalla sorella Isabella, duchessa di Mantova. E’ il 1506, tremendi eventi ancora dovranno colpire le casate degli Sforza e dei Gonzaga con gli Este, così come il resto dell’Italia. In quelle parole è racchiuso tutto il senso della vita delle due sorelle, a lungo nemiche e rivali. Isabella infatuata e forse innamorata di Ludovico il Moro crede che Beatrice le abbia rubato il destino, per accorgersi infine di amarla profondamente e che il destino in realtà glielo ha preservato.

Difficile raccontare il libro, è corposo ma molto fluido, pare di vivere le corti e gli anni testimoni di queste antiche vicende. I fatti sono molti come tanti i personaggi e sono rimasta colpita da come la storia è stata raccontata con dovizia e allo stesso modo semplicità. Raccontati gli uomini, con i loro difetti, la prepotenza e il disprezzo verso le loro donne, raccontate le donne e la loro forza indomita di difendere la famiglia, la casata e se non l’onore almeno combattere per l’amore. Raccontata l’Italia con le sue corti in lizza l’una contro l’altra, poco unite per far fronte ai vicini francesi invasori. Coalizioni, alleanze, tradimenti sono all’ordine del giorno. Raccontati gli artisti, primo fra tutti Leonardo con la sua indole curiosa e ballerina, il suo dipingere oltre le apparenze, il suo cogliere l’anima dei soggetti, raccontato nel suo essere e apparire ben vestito e curato e le sue opere meravigliose tra le quali L’ultima cena. Poi Mantegna alla corte di Mantova, dipinto scorbutico e malaticcio.

Isabella d’Este e Francesco Gonzaga, Beatrice d’Este e Ludovico il Moro. Due sorelle così diverse nell’aspetto e nel carattere ma che in fine saranno unite e forti, aperte e misericordiose cancellando i tempi in cui l’invidia dell’una e il timore dell’altra le spingono a giochi indecorosi. Isabella è dipinta più bella, superiore per la cultura che ha fatto sua stando con la madre, Beatrice è stata invece per anni fino ai dieci alla corte di Napoli, sa cavalcare divinamente ma non conosce le arti musicali.

“E’ solo un peccato che la figlia brillante vada a un provinciale, e quella che ama i cavalli quanto il provinciale sia destinata a un vero uomo di cultura in una città come Milano”

Beatrice deve sopportare la vista dell’amante di Ludovico, Cecilia Gallerani, sopportare di essere deflorata la prima notte di nozze e bistrattata e messa da parte e usata come una sorta di incubatrice. Ma lei non ci sta e …”ci vorrà del tempo e dovrà imparare molte cose, ma ben presto farà vedere a tutti di che stoffa è fatta quella piccola sciocca”… lo farà. L’ho stimata oltre misura, la mia preferita tra le sorelle per come sono state tratteggiate dall’autrice.

Da evidenziare i numerosi intarsi tra le pagine costituiti da stralci dei taccuini di Leonardo. “Oh, miseria umana! Di quante cose si fa schiava per denaro?” Del genio viene raccontato il periodo milanese, come acquisì la vigna che tutt’oggi è visitabile, le tecniche e lo studio dietro alle sue opere, anche la volubilità e il suo procrastinare in vero. Ludovico il Moro gli affida i ritratti delle donne che ama, proprio in virtù di questo particolare vi sarà una diatriba tra Beatrice e Isabella; inoltre la prima scoprirà un tradimento dal marito che le causerà un dolore enorme, la vista di un quadro raffigurante Lucrezia Crivelli sarà la prova scottante.

“Millecinquecento anni dopo che Dio ha mandato Suo figlio sulla terra per testimoniare la Divinità, siamo ancora gli stessi traditori”

Il Genio ci regala grandi verità, era un illuminato del resto. Tra le tante nel romanzo ho scelto di ricordare questa, quando Ludovico il Moro è allettato e Leonardo sa che infondergli entusiasmo lo potrà aiutare. A simboleggiare quanto le emozioni sono decisive e importanti sulla nostra salute fisica.

Se io stimolo la passione del duca, nel bene o nel male, il suo cuore pomperà più sangue, che inonderà il cervello e lo risveglierà. Un sangue vivace che scorra attraverso vene sane è il segreto della longevità!”

Dal 1489 al 1506 sono glia anni che riviviamo in questo romanzo, la scacchiera e i suoi re, regine e pedoni sono in costante movimento. La contrapposizione tra la sognatrice Beatrice e la pragmatica Isabella vengono sviluppate dando comunque onore a entrambe per la loro forza nonchè misericordia.

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