I lupi dorati – Roshani Chokshi

1889. L’Esposizione Universale ha immesso nuova linfa alla città di Parigi, ma ha anche portato alla luce antichi segreti. Nessuno conosce le oscure verità quanto Séverin Montagnet-Alarie, cacciatore di tesori e ricco albergatore. Il potentissimo ordine di Babel lo contatta per costringerlo ad aiutarli in una missione, e Séverin si trova così a inseguire un tesoro che mai avrebbe immaginato: la sua vera eredità.

  • Editore ‏ : ‎ Mondadori (13 settembre 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 432 pagine

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

Siamo a Parigi, negli anni della Belle Époque e dell’Esposizione Universale. La città ci accoglie con le sue luci, mostrandoci il suo volto glamour ed elegante, ma non è tutto oro ciò che luccica, e dietro questa facciata scintillante c’è molto altro…

L’Ordine di Babele, agli occhi dei parigini, non è altro che un corpo di ricerca, incaricato della conservazione storica. In pochi conoscono le sue attività segrete e il suo vero scopo, che è quello di custodire dei misteriosi frammenti della Torre di Babele, per la sicurezza dell’umanità. Tali frammenti (probabilmente cinque) furono scagliati sulla terra da Dio stesso, dopo aver distrutto la Torre, e in ogni punto dove caddero, germogliò l’arte della Forgiatura.

“Forgiato. Quella era una parola che le lasciava ancora un sapore strano in bocca [···]. In India veniva chiamata Chhota Saans, ‘il piccolo alito’, perché, se era vero che soltanto gli dei insufflavano vita nella creazione, quell’arte era un piccolo assaggio di tale potere.”

La forgiatura è un dono che pochi individui hanno, un’eredità divina, che permette all’uomo di plasmare la materia e di ridarle forma.

Il protagonista principale di questo romanzo è Séverin, ultimo erede di quella che un tempo era una delle quattro Case dell’Ordine. Era stato l’Ordine stesso a dichiarare estinto il lignaggio e a confiscarne i possedimenti. Séverin è un uomo misterioso, affascinante, scaltro, geniale e altruista, con un’infanzia dolorosa alle spalle. L’unica cosa che desidera è ottenere di nuovo la sua Casa e riappropriarsi di tutti i suoi beni, ma, per farlo, deve prima arrivare ad una misteriosa mappa nascosta in una bussola.

Con lui collaborano altre persone… L’affascinante e poliedrica Laila, che conduce una doppia vita e ha la schiena sfregiata da una lunga cicatrice, come se fosse stata rammendata; la taciturna Zofia, così abile a destreggiarsi con i numeri, ma così in difficoltà quando si tratta di comunicare con gli altri; Tristan, il fratello adottivo di Séverin, dall’animo dolce ma dalla mente instabile, ed infine Enrique, che pensa di poter cambiare il mondo attraverso la parola e la scrittura, e che si sente tradito dalla sua stessa pelle. Una sensazione che condivide con un altro enigmatico personaggio, Hypnose. Sia Zofia che Tristan possiedono il dono della Forgiatura, ma anche Laila ha un dono particolare… le basta sfiorare un oggetto per conoscerne la storia.

Ognuno di questi personaggi è ben delineato  e, attraverso di essi, l’autrice affronta temi importanti e sempre attuali, come quello della diversità, nelle sue diverse sfumature, dell’emarginazione e della discriminazione.

Tutti insieme, per raggiungere i loro obiettivi, si trovano a risolvere una serie di intricati indovinelli e a decifrare dei misteriosi simboli, come l’occhio di Horus e gli esagrammi dell’I Ching, per citarne alcuni. Le parti che ho apprezzato maggiormente sono proprio quelle in cui i protagonisti cercano di interpretare simboli ed enigmi. Ho trovato molto intrigante anche il rapporto tra Séverin e Laila.

Nella parte finale il ritmo si fa sempre più incalzante e ci ritroviamo in una Parigi oscura, sotterranea e un po’ inquietante, che è quella delle Catacombe.

“I lupi dorati” è il primo libro di una trilogia fantasy con dei risvolti esoterici. Il fantasy non è decisamente nelle mie corde, ma la componente esoterica ha tenuto viva la mia curiosità, invogliandomi a proseguire la lettura, se pur con un po’ di difficoltà. 

È un romanzo complesso, poco chiaro in alcuni punti, e non facile da recensire. Il linguaggio utilizzato dall’autrice è elegante e ricercato, ma a tratti l’ho trovato artificioso e poco comprensibile. 

Mi è parso interessante il riferimento ai peccati capitali, sia nei giardini ‘a tema’ dell’Eden, l’Hotel di proprietà di Séverin, che nei nomi dei vari “padri” del protagonista.

È sicuramente un romanzo che si presta a diverse interpretazioni. Il messaggio che io ho colto è un monito contro il desiderio di onnipotenza. La storia stessa ci insegna quanto una mente deviata da questo desiderio possa essere pericolosa per l’umanità, e quali orrori possa partorire. 

“Noi proteggiamo e preserviamo. Non fingiamo di essere divinità [···]. C’è chi ha dimenticato che questo potere non fa di noi degli dei. Forse faremmo meglio a chiamarli ali di cera. Un memento per coloro che vorrebbero arrivare dove non devono.”

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