Il libro delle due vie di Jodi Picoult

Tutto cambia nel giro di pochi secondi per Dawn Edelstein. La donna si trova su un aereo quando l’assistente di volo fa un annuncio: «Prepararsi per un atterraggio di fortuna». I pensieri cominciano ad attraversarle la mente. Ma non riguardano suo marito, bensì un uomo che non vede da quindici anni: Wyatt Armstrong. Dawn sopravvive miracolosamente allo schianto. Nella sua vita non manca nulla: ad aspettarla a Boston ci sono il marito Brian, la loro amata figlia e il suo lavoro di doula di fine vita, che consiste nell’aiutare i suoi clienti ad alleviare la transizione tra la vita e la morte. Ma da qualche parte in Egitto c’è Wyatt Armstrong, che lavora come archeologo portando alla luce antichi luoghi di sepoltura: una carriera che Dawn è stata costretta ad abbandonare. E ora che il destino le offre una seconda possibilità, non è così sicura della scelta che ha fatto. Dopo l’atterraggio di emergenza, potrebbe prendere un’altra strada: tornare al sito archeologico che ha lasciato anni fa, ritrovare Wyatt e la loro storia irrisolta, e forse anche completare la sua ricerca sul Libro delle Due Vie, la prima mappa dell’aldilà. I due possibili scenari per Dawn si svelano l’uno al fianco dell’altro, così come i segreti e i dubbi a lungo sepolti insieme a loro. È il momento di affrontare le domande che non si è mai veramente posta: cos’è una vita vissuta bene? Quando abbandoniamo questa terra, cosa ci lasciamo dietro? Facciamo delle scelte… o sono le nostre scelte a fare noi? E chi saresti, se non fossi diventata la persona che sei adesso?

  • Editore ‏ : ‎ Fazi (14 ottobre 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 450 pagine

Recensione a cura di Alice Croce Ortega

Nell’accingermi a leggere un romanzo dal titolo così impegnativo, la prima cosa che mi sono chiesta è se l’autore (chissà perché credevo fosse un uomo) avesse preso ispirazione dall’antico testo omonimo o se ne avesse magari elaborato una versione moderna… Niente di tutto ciò: prendendo ispirazione, presumo, dalla recente scoperta della versione più antica mai rinvenuta, qualche anno fa, del “Libro delle due vie”, dipinto sul fondo di un sarcofago, l’autrice (Jodi Picoult è una donna, definitivamente) ci trasporta sulla scena degli scavi nella necropoli copta di Dayr al-Barshā e ci fa vivere insieme agli archeologi la scoperta dell’antichissimo testo.

Ma che cos’è il “Libro delle Due Vie”?

Il Libro delle Due Vie è praticamente una guida completa utile al defunto per raggiungere l’Oltretomba, attraverso appunto due itinerari, uno via acqua e uno via terra, con tanto di pericoli contrassegnati e formule magiche utili a superarli.  Vi era descritto il viaggio del defunto attraverso due strade che conducevano all’Aldilà e che pare collegassero l’Oriente con l’Occidente. 

Sorvegliate da terribili guardiani, apparivano divise tra loro: la prima era una via d’acqua sulle cui rive sorgevano parecchie località infestate da ostili geni di fuoco e, in fondo, la “Campagna della Felicità”, posta sotto la sovranità di Osiride. Il defunto percorreva questa via con il dio Thot identificandosi poi con lui; questo viaggio si può considerare come una traversata del cielo notturno, anche se non vi è traccia di una barca sul corso d’acqua. 

La seconda è una via di terra, tracciata in nero, una specie di argine tra le distese liquide: il defunto si muoveva lungo questa via sulla barca solare insieme al dio Ra, al quale poi si assimila; questa è la traversata del cielo diurno. 

Il viaggio del defunto aveva come meta finale il territorio di Horus l’Anziano. Solo dopo molte curve le due vie si incrociavano in quella che è la prima tappa del cammino: Rosetau. Con questo nome si indicava  la necropoli dove il defunto entrava in contatto con il mondo sotterraneo posto ad occidente. All’ingresso, dove le due Vie si incontravano, vi erano alcuni geni detti “mastiu”, cioè accovacciati, che stringevano dei serpenti tra le mani. Durante la notte il defunto, accompagnato da Ra, entrava nel “Castello della Luna”, una sala enorme con una porta monumentale, portando con sé la dea Maat (quella che poi provvederà alla ben nota “pesatura dell’anima”), che qui appariva come Iside, posta a prua della barca notturna.

La terza e ultima parte del “Libro” descriveva il termine del viaggio del morto, il quale doveva attraversare una barriera che si trovava all’ingresso di un nuovo territorio: le sette porte, difese da guardiani agguerriti. (Fonte: anticoegitto.net)

Il romanzo inizia con una tragedia. Dawn Edelstein è in volo verso Boston, verso casa – dove la aspettano il marito Brian e la figlia Meret – e la sveglia del cellulare la porta a consultare un suo personalissimo promemoria: quello delle date di morte dei suoi clienti, se così possiamo definirli. Dawn è una «doula di fine vita», il suo rapporto con la morte è piuttosto intimo: eppure tutto ciò le serve a poco quando le assistenti di volo avvisano i passeggeri dell’aereo di prepararsi a un atterraggio d’emergenza. Spesso ha sentito dire che quando si sente la morte vicina, tutta la vita ci passa davanti: ma l’unica persona che viene in mente a Dawn è Wyatt, un amore di gioventù da cui si era separata quindici anni prima, quando era stata costretta ad abbandonare gli scavi a cui stavano partecipando, giovani promesse dell’archeologia, per assistere la madre in fin di vita. Salvatasi miracolosamente dal disastro aereo, Dawn fa la prima delle scelte che sconvolgeranno la sua vita, rimettendo in discussione tutte le certezze che si era costruita nel corso degli anni.

Non mi piace raccontare troppo dei libri che leggo, ma sappiate che in questo romanzo c’è tantissimo: non è un libro da leggere con nonchalance. C’è la cosmogonia dell’antico Egitto e la sua visione della morte, che non è altro che una delle forme in cui la vita si manifesta; c’è la física quantistica e la teoria del multiverso, con i suoi infiniti universi paralleli nati dalle nostre scelte; c’è la difficoltà di noi occidentali nel pensare alla morte, e già potrebbe bastare. Ma andando più a fondo, forse è semplicemente un romanzo in cui ci si chiede: che cosa significa vivere con pienezza? E ha senso mettere in discussione le scelte fatte e cercare di ricominciare? Rischiando di mettere a rischio ciò che di buono ci è successo nella vita, malgrado tutto? E concludendo, non sarebbe bellissimo riuscire a conciliare tutto, vecchi sogni e nuove realtà, in una vita finalmente completa e appagante? Questo sembra chiedersi Dawn, e la risposta che ci dà è uno dei più bei finali che abbia letto ultimamente. Primo, perchè non è possibile semplificare ciò che è complesso, e le cose umane sono molto complesse. E il secondo motivo è la responsabilità individuale che ci lega alle nostre persone care, qualcosa che non si deve mai sottovalutare, altrimenti che vita sarebbe?

Concludendo, consiglio questo romanzo a chiunque abbia voglia di pensare: la scrittura è semplice e scorrevole ma non per questo meno intensa e ricca di stimoli alla riflessione. All’inizio potrebbero sembrare spiazzanti i continui ribaltamenti di fronte, ma a poco a poco tutto acquista senso, e nel capitolo finale il cerchio si chiuderà. Spero proprio che vi piaccia!

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