Il mistero Borromini di Massimo Aureli

2 agosto 1667: l’architetto Francesco Borromini si getta sulla propria spada, provocandosi una ferita che lo conduce alla morte dopo ore di agonia. Papa Clemente IX, insospettito dalla insolita modalità del suicidio, ordina al monaco francese Bernard de Rochefort di indagare. Forte delle sue spiccate doti investigative, Bernard scopre che la morte dell’artista è da imputare al nitrile, una sostanza che, se inalata, provoca allucinazioni e psicosi. Ma chi può aver avvelenato Borromini, e perché? Le indagini condotte dal monaco e dal fido aiutante, Dominic, si concentrano inizialmente su Giovan Lorenzo Bernini, il grande rivale di Borromini, famoso per il suo carattere irascibile. Tuttavia, Bernard non è convinto di quest’ipotesi. Ben presto le sue ricerche lo porteranno a fare i conti con un segreto che affonda le radici nell’alchimia e che ruota intorno a un misterioso manufatto…

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori (24 marzo 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 352 pagine

Recensione a cura di Claudia Renzi

È la notte del 2 agosto 1667: il grande architetto Francesco Castelli detto Borromini, indispettito dal rifiuto del domestico di lasciargli acceso il lume per poter scrivere, si è gettato sulla propria spada, ferendosi mortalmente.

Nessuno sa cosa esattamente abbia spinto il genio ticinese a compiere un gesto tanto impulsivo quanto estremo e su questo mistero ruota l’ultimo romanzo di Massimo Aureli, Il mistero Borromini, che ha il merito di ambientare una trama affascinante in un periodo poco affrontato nella letteratura thriller, ovvero il Seicento. 

Una figura particolare quella di Borromini, piena eccessi e cupezze comuni tuttavia a personalità tanto complesse: giunto a Roma nella giovinezza iniziò a lavorare nel cantiere di palazzo Barberini sotto la direzione dello zio Carlo Maderno, notevole architetto a sua volta. Lì conobbe Gian Lorenzo Bernini, con il quale collaborò – come scalpellino – per diversi anni, fino a che non intraprese una carriera autonoma come architetto professionista, seguendo quella che era la sua naturale inclinazione, portando nell’architettura elementi nordici che seppe rielaborare in maniera personalissima grazie alla sua grande fantasia nonché all’innegabile talento. 

La rivalità tra Borromini e Bernini, due dei più grandi geni del Seicento e di sempre, è stata tante, troppe volte esasperata, e Aureli cavalca l’onda tratteggiando una trama a tinte fosche: la morte di Borromini è stata infatti insolita come del resto la sua vita. Francesco da tempo afflitto da strane manie morirà il giorno dopo il fatale colpo di testa, il 3 agosto, dopo essersi pentito e confessato, in quello che può essere definito un suicidio a effetto ritardato che lo stesso architetto, al quale in quelle ore concitate se ne domandò il perché, non seppe ben giustificare. 

«Caro procuratore, come vi dicevo poc’anzi, il maestro non era

molto lucido in questo periodo. Era convinto, a volte, di essere sul

punto di morire per delle sciocchezze, magari anche solo perché

sentiva troppo caldo. Lo avevo in cura da un po’ di tempo proprio

perché era diventato ossessivo su ogni cosa.»

Borromini, già chiuso e incline alla malinconia di carattere, poco più di 15 anni prima, a ridosso del Giubileo del 1650 in vista del quale aveva ricevuto l’incarico di rimodernare la cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano, aveva persino causato sebbene indirettamente la morte di un uomo; non si sposò mai né ebbe figli e – a differenza del più spigliato Gian Lorenzo – lavorò quasi sempre per ordini religiosi e committenti in qualche modo legati alla chiesa, tuttavia la sua morte parve comunque un fulmine a ciel sereno e proprio dall’anomala dipartita del geniale architetto parte la vicenda immaginata da Aureli: convinto che non si sia trattato di suicidio il nuovo papa Clemente IX Rospigliosi, salito al soglio pontificio nel giugno del 1667, decide di approfondire la questione e affida l’indagine per scoprire la verità a Bernard de Rochefort, monaco d’oltralpe che, aiutato dal giovane Dominic, cercherà di sbrogliare la matassa trovandosi ben presto a sua volta in serio pericolo. 

Era di nuovo davanti all’uomo conosciuto in Spagna, che all’epoca 

non era papa Clemente IX, ma solo Giulio Rospigliosi. Era molto 

più vecchio di come lo ricordava, probabilmente la salute cagionevole 

aveva influito negativamente sulla sua fisionomia. Il suo viso spigoloso 

era ormai solcato da profonde rughe, ma i suoi occhi erano rimasti vivaci 

e davano un po’ di luce al suo aspetto pallido.

«Alzatevi. Avvicinatevi, padre Bernard».

In cima alla lista dei sospettati l’illustre rivale di vecchia data del defunto, Gian Lorenzo Bernini: dal carattere collerico e dominante, sembra proprio il colpevole ideale. Se il Papa pare ostile nei suoi confronti (nella realtà Bernini e Giulio Rospigliosi erano amici da decenni, accomunati dalla passione per il teatro), a Bernard è invece presto chiaro che lo scultore non è forse l’unico possibile indiziato coinvolto nella morte del grande architetto. 

Aureli tratteggia un Bernini molto losco prendendo spunto da una vicenda oscura risalente a quasi trent’anni prima: la relazione burrascosa con Costanza Piccolomini Bonarelli, moglie di un suo collaboratore. Il fantasma della donna, ormai defunta, che lui avrebbe fatto sfregiare (anche questo, nella realtà, non accadde mai) a seguito della scoperta della relazione di lei con suo fratello minore Luigi, riemerge dal passato in maniera inaspettata, permettendo ad Aureli di introdurre personaggi che si riveleranno fondamentali per la risoluzione del caso. 

Acrobazie cronologiche un tantino troppo ardite perfino per un romanzo, bilanciate però da una scrittura fluida e dal ritmo gradevole. Ben presto infatti anche altre forze entrano in gioco: chi voleva davvero morto Borromini, e perché? E quale poteva essere il suo segreto, fardello pesante al punto da spingerlo – forse – a un gesto tanto disperato?

«Guarda… lo immaginavo! Nonostante il processo di decomposizione 

sia iniziato, si può ancora osservare come l’interno della bocca sia 

bianco opaco. La superficie della lingua è bianchissima e presenta 

anch’essa delle macchie di colore giallo. Inoltre, il tessuto della bocca 

in generale, compresa la lingua, è sollevato, pieghettato, e di un colore 

grigio-violaceo. I denti hanno tutti la corona gialla… incredibile!».

«Maestro, cosa significa?»

Che l’architettura del geniale ticinese fosse assolutamente unica è stato chiaro sin da subito: soprannominato “taglia-cantone”, introdusse un movimento e una fluidità ineguagliabili alle sue opere, segnando il suo tempo e non solo: attratto dalla Sapienza profonda, introdusse nelle in esse, spesso e volentieri, elementi la cui comprensione non è del tutto immediata e anzi ancora oggi suscita interrogativi. Non a caso alla perla della sua produzione, Sant’Ivo alla Sapienza a Roma, che Aureli illustra con dovizia di particolari, sembra essere legato un mistero che potrebbe in qualche modo fare luce sulla sua morte: cos’era il mitico dodecaedro, figura già studiata da Leonardo da Vinci? E cosa c’entra con quanto accaduto in quella fatale notte d’estate del 1667? 

Nelle sue facce si nasconde forse la risoluzione del Mistero Borromini.

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