Il mondo nascosto di Pompei di Massimo Osanna con Luana Toniolo

È il 2017 quando la Procura di Torre Annunziata contatta il Parco Archeologico di Pompei. La proposta è chiara: intraprendere indagini congiunte per stabilire le responsabilità dei tombaroli e degli «scavatori» non autorizzati che stanno saccheggiando – ultimi di una lunga serie di clandestini – il territorio vesuviano. Nasce da qui l’avventura di ricerca raccontata in questo libro: si ricomincia a scavare a Civita Giuliana, là dove, si sapeva da indagini di inizio secolo, era il complesso di un’antica villa. Seguendo gli interventi dei clandestini in un’area oggi densamente abitata, il team del Parco guidato dall’allora direttore Massimo Osanna avvia una campagna di scavi destinata a restituire, tra momenti di delusione per i reperti distrutti o trafugati dai tombaroli, scoperte sensazionali: nuove vittime di cui si riesce a realizzare i calchi in gesso (dopo trent’anni dagli ultimi), una stalla con tre cavalli (il primo calco equino mai realizzato a Pompei), una sepoltura successiva all’eruzione del 79 d.C. Poi, in un ambiente limitrofo, un reperto eccezionale e unico nel suo genere: un pilentum, un fastoso carro da cerimonia finemente decorato, di cui si aveva traccia solo nelle fonti scritte. Praticamente intatto, solo sfiorato dai tunnel dei clandestini, conserva ancora i meravigliosi medaglioni a tema erotico. Attraverso un’accurata ricostruzione del territorio oltre le mura di Pompei e delle ville che punteggiavano la campagna, Massimo Osanna e Luana Toniolo ci accompagnano «dentro il cantiere» di Civita Giuliana, nell’operatività della moderna archeologia, restituendoci l’emozione della scoperta e la passione del loro lavoro. Fino all’ultimo ritrovamento: una stanza abitata da una famiglia di schiavi che, a distanza di duemila anni dalla tragica eruzione, ci restituisce la vita quotidiana delle classi subalterne, quelle che meno – fino a oggi – avevano lasciato traccia di sé. Un viaggio della conoscenza che diventa anche un monito: il nostro patrimonio archeologico e museale è un tesoro da difendere, da rilanciare, da valorizzare ogni giorno. E la villa al centro di questo libro, scrive Osanna, può oggi trasformarsi «da luogo di razzia, di distruzione dissennata, in un sito emblematico di tutela dinamica. Un simbolo della lotta dello Stato contro la piaga dello scavo clandestino e del commercio di manufatti archeologici e opere d’arte».

  • Editore ‏ : ‎ Rizzoli (19 aprile 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 336 pagine

Recensione a cura di Lia Fiore Angy

“Due passi separano la vita antica dalla vita moderna… La si rivede ora così come era al momento della sua rovina, e l’illusione è così grande che ci si sorprende a immaginare di imbattersi in qualche abitante”(Théophile Gautier)
Ci sono libri che hanno il magico potere di trasportarci in luoghi ed epoche lontane, ed è proprio ciò che mi è capitato con questo interessante saggio, attraverso il quale Massimo Osanna e Luana Toniolo, ci forniscono un dettagliato resoconto di alcune straordinarie scoperte fatte nel territorio oltre le mura di Pompei, dal 2017 ad oggi, grazie alla collaborazione tra la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e il Parco Archeologico di Pompei, unitesi per contrastare la piaga degli scavi clandestini.
È iniziato così il mio viaggio a Pompei, che ho già avuto la fortuna di visitare, e nell’Ager Pompeianus, il territorio agricolo che si estende oltre le mura.Mi sono ritrovata ai tempi in cui Pompei era un centro portuale vivace e multiculturale, come testimoniano i graffiti e le iscrizioni nei muri delle abitazioni, che raffigurano navi, naviganti e “piscicapi” (associazioni di pescatori).Un’importanza notevole aveva la produzione e il commercio del vino.La città si affacciava su un Golfo, la cui bellezza fu celebrata da molti autori antichi.Qui sorgevano le ville dei più importanti senatori romani.Ho ammirato le loro terrazze affacciate sul mare e sui loro splendidi giardini.Emerge un forte legame dei pompeiani con la natura. Si può parlare di una vera e propria “Arte dei giardini”, che prevedeva un’attenta organizzazione degli spazi verdi e contribuì alla realizzazione di capolavori dell’arte topiaria.Troviamo dei richiami alla vegetazione anche negli affreschi dei saloni, a confermare questa associazione tra l’Otium, lo svago, e la natura.
L’esplorazione più interessante ed emozionante è stata quella della Villa Civita di Giuliana, già oggetto di scavi all’inizio del XX secolo e negli anni ’50.I due autori di questo saggio mi hanno permesso di fare una duplice esperienza.La prima è stata quella di sentirmi parte dell’equipe di archeologi, antropologi e studiosi che hanno partecipato agli scavi.Grazie ad un resoconto coinvolgente, dal quale traspaiono la passione per la storia e l’archeologia, ed il rispetto per il patrimonio storico, ho vissuto le emozioni provate da chi ha preso parte agli scavi, come se fossi anch’io lì con loro. Ho provato la loro stessa curiosità nel procedere con l’esplorazione; l’emozione davanti a quegli oggetti riaffiorati dalla cenere per raccontarci storie di vita quotidiana; la commozione nel riportare alla luce le vittime, umane e animali, di quella terribile catastrofe, e nel vedere quelle mani fortemente contratte per il terrore.Ho avvertito, purtroppo, anche una stretta al cuore nel constatare i numerosi danni prodotti dagli scavi clandestini, una piaga che ha interessato Pompei già all’indomani dell’eruzione.Le ricerche più recenti hanno rivelato una lunghissima serie di razzie e di interventi clandestini, testimoniati da una fitta rete di cunicoli e trincee.
L’altra esperienza che questo saggio mi ha permesso di vivere è stata quella di salire su una macchina del tempo…Siamo soliti pensare agli oggetti come a qualcosa di inanimato, ma, in realtà, gli oggetti parlano, raccontano storie, e hanno un’anima, quella dei loro proprietari o di chi li utilizzava.I reperti materiali sono macchine del tempo formidabili.Le tre semplici brandine in legno, con una suoia al posto del materasso, ritrovati in uno degli ambienti di Villa Civita, ci raccontano la vita quotidiana di una piccola famiglia di schiavi. I recipienti di terracotta e gli altri oggetti trovati in questa stanza danno voce alle classi subalterne, delle quali si trovano pochissime tracce nella documentazione archeologica. I finimenti per i cavalli, conservati con cura all’interno di una cassa, e il giogo ritrovato su uno dei poveri giacigli, ci dicono che si trattava della famiglia di uno stalliere. 
Un altro prezioso reperto che ha tanto da raccontare è il “carro della sposa” rimasto praticamente intatto. La preziosità dei materiali utilizzati e la ricchezza delle decorazioni, insieme alle testimonianze letterarie di alcuni autori del passato, ci dicono che si tratta di un “Pilentum”, un carro utilizzato dalle donne di alto rango per recarsi alle cerimonie e ai giochi pubblici, e in occasione delle nozze. I meravigliosi medaglioni a tema erotico, raffiguranti satiri e ninfe, ci parlano di una società che celebrava il piacere, la bellezza femminile e il desiderio maschile, ma raccontano anche il timore di una fanciulla (rappresentata dalla ninfa) per la sua prima notte di nozze.
Gli oggetti parlano, sono “uno strumento potente per indagare le pieghe della storia, frammenti che diventano coacervo di significati, tempo e memoria”, ma solo se contestualizzati. In un contesto che non è il loro, diventano muti e privi di significato.Per questo è importante contrastare il fenomeno degli scavi clandestini e del commercio di reperti archeologici.
Un altro messaggio importante che questo saggio vuole dare riguarda l’importanza di una formazione continua per educare al rispetto, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale, che rappresenta il più prezioso strumento di conoscenza e di trasmissione del sapere.
“Ancora oggi sentiamo un senso di prossimità e di vicinanza del passato, un passato che sembra quasi congelato e restituito a noi palpitante, vivo…”

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