Il papa venuto dall’inferno. Il secolo dei giganti (Vol. 4) di Antonio Forcellino

È l’anno del Signore 1550. L’Europa è ancora percorsa da venti di guerra. Il lungo scontro tra Spagna e Francia, durato decenni, non si è ancora concluso. Il luteranesimo e le altre confessioni protestanti infiammano gli animi del Nord Europa e dell’Inghilterra. E la minaccia dei Turchi, che hanno già conquistato tutto l’Oriente, è più viva che mai. A Roma è stato eletto un nuovo papa, Giulio III, inerte, creta nelle mani dei Farnese. A Istanbul, la nuova capitale turca, Solimano avverte la stanchezza degli anni, ed è caduto sotto la malia di Roxelane, la sua bellissima concubina. Ma anche a Roma le grandi famiglie tremano, lo sfarzo della bellezza e del potere è minacciato da costumi sempre più corrotti, dall’impudenza dei giovani. Ma, nonostante la decadenza che sembra attenderli, i patrizi non rinunciano al loro amore per l’arte, mentre brilla sempre di più la stella di un grande pittore veneto: Tiziano Vecellio. Forcellino, il più grande restauratore italiano e maestro del romanzo storico, torna a raccontare il “secolo dei giganti”, con la sua arte meravigliosa, i suoi intrighi, le sue passioni e le sue donne eccezionali: dalla perfida Roxelane a Eleonora e Giulia Gonzaga, o Vittoria Farnese.

  • Editore ‏ : ‎ HarperCollins Italia (13 gennaio 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 336 pagine

Recensione a cura di Sara Valentino

Forcellino torna in libreria con il quarto volume dedicato al “Secolo dei giganti”.

Tiziano Vecellio, protagonista delle opere del tempo, lo ricordiamo con  il Ritratto di Francesco Maria Della Rovere, il Ritratto di Eleonora Gonzaga Della Rovere e la celeberrima Venere di Urbino. Ospite di Paolo III si trovò a confrontarsi naturalmente con Michelangelo. Per i Farnese dipinse anche il ritratto di Paolo III con i nipoti.

Siamo nel 1550, ce lo presenta Francesco Melzi, questo anno, mentre ricorda il suo amico e maestro Leonardo da Vinci, con un focus a delineare il materiale usato dal genio nel dipingere Sant’Anna. Un pennello corto di lupo cerviero, come sappiamo Leonardo si fabbricava da sè i pennelli in base alla particolare dote di ogni tipo di pelo, derivante da una pelle che gli fu consegnata sulle montagne di Lecco. Sulla tavolozza gocce di olio di noce, cotto due volte per creare la terra d’ombra. Questo basta a un lettore per entrare con tutti e due i piedi nel periodo storico.

L’autore, conosciuto per la sua fama di saggista e straordinario restauratore, ci accompagna a scoprire un pezzetto di questo periodo storico, in cui l’Italia e l’Europa furono percorse da guerre e conflitti, con la sua solita narrazione curata, ricercata e sofisticata. Ci avvisa di alcune minime licenze che si prende per poter dare fluidità al romanzo ma senza per questo falsare la Storia.

Francesco Melzi riordina e sistema i libri e gli appunti di Leonardo, come gli aveva promesso e intanto osserva la Martesana e dalla parte di Monza scorge arrivare soldati francesi.

Al soglio pontificio c’è Giulio III, un papa eletto che si mantiene neutrale tra le due potenze che si contendono l’Italia. Razzie, vendette e la violenza sono padrone e non vengono risparmiate neppure le suore che si trovano a essere violate persino nella casa di Dio.

Naturalmente si parla anche di Michelangelo, straordinario il capitolo dedicato alla sua furia nell’abbattere parte della Pietà. E’ costretto a sopportare l’accusa di eresia da parte di Carafa verso il suo amico Reginaldo Polo, un’Italia resa campo di battaglia e quel demonio che affila gli artigli per trionfare, assetato di sangue e di male. Ne è un esempio il tribunale inquisitorio che presiede il cardinale e promuove prima ancora di salire al soglio.

Lo specchio ci rimanda l’immagine di una Chiesa in lotta con il luteranesimo, di una Chiesa corrotta, cattiva e capace delle peggiori. Non vi sto a raccontare i dettagli dell’impresa di Carafa, alias Paolo IV, sicuramente va ricordato il suo aver revocato i diritti degli ebrei e l’istituzione del ghetto, chiamato “Serraglio degli ebrei”. Strinse un’alleanza con il re di Francia per liberare l’Italia meridionale dal dominio spagnolo. Le cose non andarono come da lui sperato e il popolo, ma non solo, temette un nuovo spaventoso 1527.

Carafa non placa la sua ira e fa imprigionare il cardinale Morone con l’accusa di essere sostenitore dell’eresia luterana.

Nel frattempo Michelangelo e il suo “Giudizio Universale” vengono anch’essi tacciati da Carafa di immoralità, inasprendo così ulteriormente i rapporti tra i due.

La tela si compone anche di un “dipinto” che ci affaccia su Istambul e ci troviamo alla corte di Solimano a essere testimoni del sangue versato, di una congiura ordita ai danni del primogenito Mustafa. Ma se sembra che la libertà a Istambul sia poca, che l’harem sia un luogo dove le donne erano relegate come schiave, ancora non abbiamo parlato di quanto le condizioni per loro fossero pessime in Italia.

Sarà attraverso la triste storia di Martuzza, da schiava dell’harem a meretrice, “custode” di una Villa sul Tevere, dove la corte infernale si riuniva per le feste più dissolute, che proveremo davvero sulla pelle, nelle ossa, il vero volto della corruzione ecclesiastica del tempo. E il cuore in questi capitoli un po’ sanguina… La festa delle castagne di Alessandro VI, la ricordate? Non è nulla! Verrà oscurata in quanto a scelleratezza, immoralità, depravazione e al superamento di ogni limite morale.

“La vita condotta fino a questo momento le aveva insegnato che alla violenza dei portenti non si poteva opporre una violenza che non sarebbe mai stata alla loro altezza. Meglio compiacere che soccombere”

Eppure le donne sono protagoniste in questo romanzo, lo è Martuzza, lo è Roxane la concubina di Solimano, lo sono Giulia Gonzaga e Vittoria Farnese. Un particolare ringraziamento a Antonio Forcellino.

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