Il Signore degli anelli. Trilogia – J. R. R. Tolkien 

“Il Signore degli Anelli” è un romanzo di avventure in luoghi remoti e terribili, di episodi d’inesauribile allegria, di segreti paurosi che si svelano a poco a poco, di draghi crudeli e alberi che camminano, di città d’argento e di diamante poco lontane da necropoli tenebrose in cui dimorano esseri che spaventano al solo nominarli, di eserciti luminosi e oscuri. Tutto questo in un mondo immaginario ma ricostruito con cura meticolosa, e in effetti assolutamente verosimile, perché dietro i suoi simboli si nasconde una realtà che dura oltre e malgrado la storia: la lotta, senza tregua, fra il bene e il male.

  • Editore ‏ : ‎ Bompiani; bompiani edizione (17 gennaio 2004)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 1380 pagine

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

“Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,

Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.”

Non mi soffermo sulla trama, perché è troppo lunga e complessa. Per chi non la conoscesse, mi limito a dire che il fulcro di questa trilogia è un lungo e difficile viaggio della Compagnia dell’Anello per tentare di distruggere le fondamenta del male, incarnate dall’Anello del Potere forgiato da Sauron, il Signore Oscuro. L’Anello è stato ereditato da Frodo, lo Hobbit protagonista del romanzo, dallo zio Bilbo. 

La Compagnia dell’Anello è piuttosto variegata: oltre a Frodo, ne fanno parte Gandalf, che è un’entità angelica,  i tre Hobbit Sam, Merry e Pipino, Boromir, figlio del sovrintendente di Gondor, il nano Gimli, il nobile elfo Legolas, e Aragorn, l’erede del trono di Gondor.

Nella prefazione, Tolkien chiarisce che il suo non è un romanzo allegorico e non racchiude alcun significato o messaggio nascosto. Ogni messaggio che il lettore scorge tra queste pagine è, dunque, frutto di una personale e libera interpretazione.

Molto confondono ‘applicabilità’ con ‘allegoria’, sebbene una risieda nella libertà del lettore, l’altra nel proposito del dominio dell’autore.”

Il tema centrale della trilogia è indubbiamente l’eterna lotta tra il bene e il male. 

Il male sembra essere sempre in vantaggio, più forte e potente, e lo scontro contro di esso sembra un tentativo disperato, una battaglia persa in partenza, ma alla fine le potenze del bene trionfano sempre, anche se il male non è mai definitivamente sconfitto. 

La scelta morale è inevitabile: ognuno di noi, come i personaggi creati dalla fervida fantasia di Tolkien, è chiamato a schierarsi e a scegliere da quale parte stare. 

“Come può un uomo in tempi come questi decidere quel che deve fare?”.

“Come ha sempre fatto”, disse Aragorn. “Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca a ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora”.

Il male non può essere sconfitto con altro male, ma solo con il bene, con la pietà e la misericordia, come fa Frodo con Gollum. E il tempo premia Frodo per la pietà mostrata e per la sua scelta di risparmiare Gollum. Non posso dire di più…

È un messaggio che ricorre spesso in questa trilogia e che trovo bellissimo, anche se non è sempre facile metterlo in pratica.

“A Frodo parve improvvisamente di udire, distinte ma lontane, voci del passato:

Che peccato che Bilbo non abbia trafitto con la sua spada quella vile e ignobile creatura quando ne ebbe l’occasione!

Peccato? Ma fu la Pietà a fermargli la mano. Pietà e Misericordia: egli non volle colpire senza necessità.

Non ho nessuna pietà per Gollum. Merita la morte.

Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E alcuni che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.”

 L’Anello, che ci appare come un essere senziente e dotato di vita propria, ci pone davanti a un interrogativo che aleggia tra le pagine. Il male è un potere o un’influenza esterna, o è già nascosto in noi, e alcuni fattori esterni si limitano a farlo riaffiorare in superficie?

Non è ben chiaro se sia L’Anello, con la sua intrinseca malignità, a corrompere lentamente chi lo porta, o se, invece, esso si limiti a far venire alla luce pulsioni, pensieri ed intenzioni già esistenti negli animi di chi lo possiede.

Una cosa è certa: l’Anello, che può essere visto anche come l’incarnazione del potere assoluto, corrompe sempre, perché induce ad agire in modo ingiusto ed egoistico. 

Un mortale, caro Frodo, che possiede uno dei Grandi Anelli, non muore, ma non cresce e non arricchisce la propria vita: continua semplicemente, fin quando ogni singolo minuto è stanchezza ed esaurimento. E se adopera spesso l’Anello per rendersi invisibile,sbiadisce: infine diventa permanentemente invisibile e cammina nel crepuscolo sorvegliato dall’oscuro potere che governa gli Anelli. Presto o tardi l’oscuro potere lo divorerà.”

“Un Anello del Potere vive la propria vita: Non era Gollum, Frodo, a prendere le decisioni: era l’Anello. Fu l’Anello stesso ad andarsene.”

Persino Frodo, così equilibrato e giusto, ad un certo punto sembra non voler rinunciare all’Anello, dimenticando per un attimo la Missione che è chiamato a compiere. E anche dopo aver portato a termine il suo importante compito, non sarà più lo stesso, perché sarà molto provato da questa esperienza.

Un altro tema che ho individuato è quello dell’interazione tra la Provvidenza e il libero arbitrio. 

Nulla dipende interamente dal Fato e nessuna scelta, d’altra parte, è totalmente libera. I personaggi sono vincolati ad azioni dettate dalla Provvidenza; Frodo è stato scelto, ad esempio, per essere il portatore dell’anello e per compiere una missione ben precisa, ma senza il suo coraggio, la tenacia e la speranza probabilmente il suo viaggio non avrebbe avuto lo stesso esito.

Cosa darei per non aver mai visto quest’Anello! Perché è toccato a me? Come mai sono stato scelto io?”.

“Queste sono domande senza risposta”, disse Gandalf. “Puoi credere che ciò non è dovuto ad alcun merito particolare o personale: non certo per via della forza o della sapienza, in ogni caso. Ma sei stato scelto tu, e hai dunque il dovere di adoperare tutta la forza, l’intelligenza e il coraggio di cui puoi disporre.”

 L’Anello è per Frodo un pesante fardello, un peso sfiancante. Viene spontaneo chiedersi: un essere buono come Frodo non potrebbe usare l’anello, sebbene sia uno strumento creato per essere l’incarnazione del male, per compiere delle buone azioni? 

La risposta che troviamo tra queste pagine è che il male non può mai servire per attuare il bene e che il fine, dunque, non giustifica mai i mezzi. Chi pensa di poter plasmare e piegare il male a proprio piacimento non fa che autoingannarsi. Non ci si può servire del male per fare il bene.

 Un altro tema importante è quello dell’amicizia e della fratellanza. 

Ci sono pagine bellissime e toccanti che riguardano Frodo e Sam. Il buon esito della missione è merito anche del legame di amicizia, della solidarietà e del mutuo soccorso tra i componenti della Compagnia.

“Puoi fidarti di noi in quanto non ti lasceremo mai, nella buona e nella cattiva sorte, fino all’ultimo istante. E puoi fidarti di noi in quanto manterremo qualsiasi segreto e sapremo custodirlo meglio di te. Ma non ti fidare di noi per lasciarti affrontare da solo il pericolo, e partire senza una parola. Siamo i tuoi amici, Frodo.”

 Non aspettatevi, però, che sia tutto “rose e fiori”… 

Il personaggio che ho sentito più affine, per il suo temperamento passionale e molte volte impulsivo, e per la lealtà, è Sam.

Ho trovato particolarmente interessanti gli unici due personaggi femminili di rilievo, Galadriel, regina di Lórien, ed Éowyn, la Dama Bianca di Rohan. Le pagine sul regno di Lórien e quelle in cui Éowyn dialoga con Faramir sono, a mio parere, tra le più belle di tutta la trilogia. 

 Un discorso a parte merita il personaggio di Gandalf, simbolo di resurrezione e di elevazione dell’anima.

Gandalf si fa portavoce di un’etica fondata sulla pietà e sul sacrificio di sé per il bene e la salvezza degli altri. 

E dopo essersi sacrificato, rinasce, ancora più puro e saggio. Al di là del possibile paragone con il Salvatore della religione cristiana, Gandalf ci insegna che per elevarsi è necessario cadere nell’Abisso e lottare contro i propri demoni.

 Interessante anche l’antagonista Saruman, incarnazione di chi si schiera dalla parte dei più potenti, non perché ne approvi l’ideologia o le azioni, ma per “quieto vivere”, perché pensa che contrastare chi detiene il potere sia troppo rischioso e che si ottengano molti più vantaggi diventando suoi servitori. 

La lettura di quest’opera monumentale di Tolkien è stata un viaggio avvincente, del quale ho avvertito tutta la fatica. Ho sentito sulla mia pelle le sensazioni dei personaggi, quelle positive, ma anche quelle negative… Ha prevalso in me un senso di angoscia e di stanchezza sfiancante, come se mi trovassi lì, a percorrere quel lungo e tortuoso cammino.

 Non sono mancati i momenti di sollievo e di incanto, come quelli in cui ho potuto contemplare la bellezza del regno di Lórien, un’oasi di pace in cui i cuori dei protagonisti, e anche il mio, hanno trovato ristoro. Prevale, comunque, un messaggio di luce e di speranza, perché è vero che il male e l’oscurità non potranno mai  scomparire del tutto, ma la stessa affermazione vale anche per il bene e per la bellezza.

“Sam, sbirciando fra i lembi di nuvole che sovrastavano un’alta vetta, vide una stella bianca scintillare all’improvviso. Lo splendore gli penetrò nell’anima, e la speranza nacque di nuovo in lui. Come un limpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensiero che l’Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosa passeggera: al di là di essa vi erano eterna luce e splendida bellezza.”

“Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte.”

Aggiungo che l’amore di Tolkien per la filologia traspare da ogni pagina. La parola scritta, tra queste pagine, si trasforma in suono, in melodia e poesia. Il merito va indubbiamente anche all’ottima traduzione di Vittoria Alliata, alla quale diede un importante contributo anche il musicologo, saggista e traduttore Quirino Principe.

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