IL SUSSURRO DEL FUOCO – ANYA BERGMAN

Norvegia, 1662. L’isola di Vardø è poco più di un gelido scoglio nell’estremo Nord del regno, spazzato dal vento e dominato da un’austera fortezza. Dalla nave che la sta portando in esilio, Anna non immagina il futuro che l’aspetta e ciò che rappresenta quel luogo. Cresciuta negli agi di corte e abituata a essere trattata con rispetto, non sa che quella fortezza è un luogo odiato e temuto da coloro che vivono nei villaggi lungo la costa. Perché è lì che vengono rinchiuse le donne accusate di stregoneria. Lo sa bene invece Ingeborg, la cui madre è stata gettata in una cella buia, alla mercé di uomini che ricorrono a ogni mezzo pur di estorcere una confessione. Non importa che la sua unica colpa sia essere una giovane vedova innamorata di un uomo sposato. A Vardø, basta una voce messa in giro da una moglie gelosa per finire sul rogo. Ingeborg però non si arrende ed è pronta a seguire la madre nella fortezza pur di provare la sua innocenza. Ed è allora che la sua strada incrocia quella di Anna, che sta cercando disperatamente di riabilitare il proprio nome, anche a costo di tradire tutti i suoi principi… Sono due facce della stessa medaglia, Anna e Ingeborg. Donne vittime di un mondo governato dagli uomini. Ma loro si ribelleranno. Insieme, lotteranno per ottenere giustizia. E la loro rabbia brucerà come fuoco inarrestabile…

Editore:

Nord

Collana:

Narrativa Nord

Anno edizione:

2023

In commercio dal:

13 giugno 2023

Pagine:

464 p., Brossura

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Vardø. L’isola alata. Uno spuntone di roccia con una costa frastagliata e una gibbosità priva di alberi. Nemmeno un albero, infatti, cresceva su quell’isola dall’aspetto selvatico”.

Sull’isola di Vardø a cavallo degli anni 1662 e 1663 si consumò una caccia alle streghe insensata, così come lo sono state tutte le altre, e in questo imponente romanzo storico l’autrice ci fa immergere in quel clima di superstizione, paura, ignoranza e terrore che ha incendiato il Finnmark del XVII secolo, quando nella Norvegia settentrionale furono processate 135 persone, 91 delle quali poi giustiziate, la maggior parte ovviamente sul rogo.

La storia ci viene narrata alternando il punto di vista di due delle protagoniste, Ingeborg Iversdatter, la figlia di un pescatore e Anna Rhodius, una donna colta di alta estrazione sociale che per anni è stata l’amante segreta del re. Attraverso il loro sguardo attento e critico ci immergiamo in questa storia assurda che, ripeto, narra fatti realmente accaduti.

Anna giunge a Vardø come prigioniera reale per essere custodita in una fortezza fatiscente. Ci racconta la sua storia un po’ alla volta, capitolo per capitolo, rivolgendosi direttamente al re, l’uomo che ha amato per tanti anni e che alla fine l’ha gettata via come una cosa vecchia, inutile e pericolosa. È la moglie di un medico di Bergen, e nonostante l’erudizione in campo medico non avendo avuto figli è considerata un po’ una sorta di donna a metà:

“Non desideravo diventare una moglie invisibile come un granello di polvere da spazzare via dalla spalla del marito. Mentre quest’ultimo cresce in levatura con l’età, l’importanza e i riconoscimenti, la moglie si riduce a vivere attraverso i figli e i nipoti. Diventa solo un fantasma nella sua stessa casa, condannata a subire in silenzio i malcelati affari del marito e le conseguenze delle sue tresche amorose”.

Ma questo suo desiderio di essere visibile, di poter lasciare un segno nel mondo, di ragionare con il proprio cervello e non essere l’appendice di un uomo, le costa la libertà e la porta ad essere relegata a Vardø come indesiderata, come una cosa da nascondere.

Ingeborg Iversdatter, la seconda voce narrante, è orfana di padre ed è costretta a provvedere ai bisogni della famiglia poiché sua madre dopo aver perso in mare non solo il marito ma anche il figlio prediletto, si è lasciata andare al dolore e non è più capace di fare nulla. Almeno fin quando non inizia ad intrattenere una relazione con il figlio di un ricco mercante, ovviamente sposato, che inevitabilmente la porta sulla bocca di tutti i benpensanti del posto. A nulla valgono i moniti di Ingeborg e di chi tenta di metterla in guarda da quella situazione, la donna, che si chiama Zigri, sembra avere già il destino segnato. Un destino che già dalle prime battute odora di zolfo.

L’isola di Vardø ha ospitato, processato e bruciato sul rogo recentemente una strega, una di quelle potenti che lasciano il segno, tale Liren Sand:

“Tutti, nella Norvegia del nostro re, conoscevano Liren Sand, la grande strega di Vardø, chiamata come l’uccello marino delle regioni settentrionali e accusata di spargere la sua magia oscura in tutto il regno di Danimarca. Solo a sentirne il nome, uomini fatti e finiti fremevano in trepidazione, come se potesse arrivare ai loro cuori, persino a leghe di distanza, e nutrirsi dei loro desideri più reconditi”.

Ingeborg Iversdatter entra in contatto con la figlia della strega, l’audace e ribelle Maren Olufsdatter, la quale si prodiga per procurare a questa sfortunata famiglia del cibo. La ragazza le spiega che sua madre non era affatto una strega, ma solamente una donna che conosceva le proprietà delle erbe, viveva in armonia con la natura, ed era amica dei Sami che purtroppo non sono ben visti dai religiosi poiché accusati di intonare inni al Diavolo. 

Chi sono i Sami? Si tratta di una popolazione indigena stanziata nelle regioni più settentrionali della Finlandia e Svezia e Norvegia. Una popolazione nomade, ancorata alla tradizione sciamanica e al culto della Madre Terra, recalcitrante ad assimilarsi con il resto dei buoni cristiani, dunque pericolosissima per la mentalità dell’epoca. 

Ma pericolosissima è diventata anche Zigri, la quale continua imperterrita la tresca con quell’uomo e inizia persino a essere paragonata nientemeno che alla potente strega Liren Sand, e questo perché anche la bieca megera aveva iniziato le sue malefatte proprio inducendo un uomo a peccare con lei, attirando dunque il maligno tra la sua gente. Sì, perché la colpa è chiaramente sempre della donna, l’uomo, poverino, è un pupazzo stupido senza volontà!

I guai, quelli tangibili, arrivano durante la ricorrenza di San Giovanni, quando i locali sono soliti festeggiare intorno a un falò, bere birra e ballare:

“Il ballo è un’invenzione del diavolo…”.

E con questa affermazione del parroco abbiamo già il preludio di ciò che sta per accadere. Una volta giunto l’autunno è Maren Olufsdatter, la figlia della strega Liren Sand, a confermare l’avvicinarsi dei guai:

“…ora che i nostri uomini se ne sono andati, il governatore e i suoi soldati verranno a dare la caccia alle loro streghe”.

E quanto detto accade. Zigri viene catturata poiché accusata di stregoneria dalla moglie del suo amante e traslata nella famigerata buca delle streghe, luogo dal quale una volta entrati si esce solo per andare a morire sul rogo. E Ingeborg Iversdatter viene abbandonata da tutti. Ovvio, nessuno si azzarda ad avere a che fare con la figlia di una strega. Solo Maren le resta vicina, e con l’aiuto di un giovane Sami decidono di tirare fuori la sventurata donna dal posto in cui è stata rinchiusa.

Anna Rhodius è incaricata di far confessare la donna, ed è mentre le porta da mangiare e da bere che si rende conto che la storia di questa povera donna è simile alla sua, poiché qualcuno l’ha vista sì fornicare, ma con un uomo, non con il diavolo, lo stesso uomo che nel momento in cui è stata tratta in arresto ha preso armi, bagagli e burattini e se n’è scappato vigliaccamente altrove:

“Sapete bene che l’amore di un uomo non è sufficiente a proteggere una donna in rovina. La passione avvizzisce di fronte al dovere, non importa quanto intensa possa essere. Heinrich Brasche non sarebbe accorso in suo aiuto perché il miserabile libertino era stato sedotto dal sogno di una vita grandiosa di cui lei non faceva parte”.

Oltretutto Zigri è anche incinta. Del Demonio, chiaramente. E ben presto, visto che si è ormai aperta la stagione della caccia alle streghe, si ritrova anche in compagnia di altre due donne, una delle quali accusata poiché “…beve troppa birra per essere una donna”, l’altra perché incoraggia le donne al ballo. E quando giungono sul posto anche Maren e Ingeborg, vengono imprigionate anche loro insieme alla sorellina minore di quest’ultima, ufficialmente per essere interrogate, ma in pratica per fare la stessa fine delle adulte. E Anna non può permetterlo. Lei deve salvare almeno le ragazze, e soprattutto la bambina che le ricorda la defunta figlioletta persa a causa dell’epidemia di peste. Ormai si è creato un clima di follia collettiva che sta diventando pericolosa, non solo per chi è stato già accusato e rinchiuso in attesa di processo, o meglio di quella farsa alla quale danno questo nome, ma anche per tutte le donne del posto, che ad una ad una potrebbero finire nella buca delle streghe solo perché fanno parte del genere femminile.

“Non ci sono streghe nel nostro villaggio, Ingeborg, però il Diavolo esiste. Se vuoi trovarlo, guarda negli occhi di chi ci accusa”.

E chi le accusa non si fermerà davanti a nulla, torturerà e ucciderà senza alcuna pietà, senza alcun motivo plausibile, guidato solamente da un odio cieco e da una superstizione figlia diretta dell’ignoranza.

Come già accennato, Il Sussurro del Fuoco si è ispirato agli episodi che hanno avuto luogo sull’isola di Vardø tra il 1662 e il 1663. Niente di più e niente di meno di ciò che è accaduto altrove, e non solo in Europa in quegli anni, ricordiamo che il più celebre processo alle streghe, quello di Salem, inizia solo pochi decenni dopo, nel 1692. E sembra strano e grottesco che questo inquietante fenomeno si scateni proprio nel momento in cui la civiltà occidentale entra nell’epoca moderna, grazie alle scoperte geografiche che hanno allargato gli orizzonti, alle nuove idee dell’umanesimo e al fiorire dell’arte rinascimentale. Sì, perché si può affermare che la caccia alle streghe inizia ufficialmente il 5 dicembre 1484, quando Innocenzo VIII promulga la bolla Summis desiderantes, con la quale ordina di inquisire, torturare e uccidere le streghe in tutta Europa, e incarica due celebri frati domenicani Jakob Sprenger e Heinrich Kramer di combatterle. I due sono proprio coloro che pubblicano il Malleus maleficarum, il primo manuale inquisitoriale dedicato alla stregoneria, che per circa due secoli diviene l’opera di riferimento per i tribunali cattolici e protestanti, guadagnandosi l’onere e l’onore di essere il libro più diffuso dopo la Bibbia.

C’è da dire che sortilegi e malefici vari erano proibiti già nella Roma dei cesari. Ma è solo a partire dal Quattrocento che si diffonde l’idea che le streghe siano una minaccia per il mondo. Mentre precedentemente la principale preoccupazione del tribunale dell’Inquisizione era difendere l’ortodossia cattolica e quindi reprime l’eresia, dal Quattrocento in poi la magia viene equiparata all’eresia, e dunque l’inquisizione scende in campo. Le streghe diventano apostate e colpevoli di aver stretto un patto con Satana, dunque bisognava sterminarle. Dopotutto era mentalità comune che le donne fossero moralmente più deboli dell’uomo, dunque potevano fungere più agevolmente da anello di congiunzione tra l’umanità e il demonio. Ed ecco qui, l’olocausto è servito!

Queste quattrocento pagine intense in cui l’autrice ci rende partecipi della storia delle donne che l’hanno resa possibile, ci immergono nel freddo di quelle terre meravigliose ma oscure, crudeli, spietate, narrandoci di tanto in tanto le leggende locali, ricche di suggestione e tutte portatrici di insegnamenti attualissimi, che però conservano ancora il sapore del mito, quel senso di antico che le rende comunque delle fiabe. 

Il Sussurro del Fuoco è una lettura che non solo ci ricorda l’insensata stagione della caccia alle streghe, ma ribadisce soprattutto il concetto che nonostante siano passati secoli, nonostante il nostro modo di percepire il diverso, lo strano, l’insolito sia apparentemente cambiato, quelle accuse mosse alle donne di un tempo sono le stesse che gravano anche sulle donne di oggi, quelle che disgraziatamente e per i motivi più disparati escono fuori dai binari della convenzione:

“Le streghe sono le donne emarginate. Quelle considerate diverse. Quelle addosso cui sputano. Quelle violate e abusate. Insieme però possiamo sollevarci, possiamo darci forza a vicenda”.

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