Intervista a Fabrizio Fenu

Buongiorno Fabrizio e grazie per aver accettato il nostro invito e aver risposto alle nostre domande.

Abbiamo conosciuto il tuo libro attraverso le parole di Edvige Amelia Marotta che lo ha recensito per il blog e a questo link riproponiamo la recensione: Profilo di Ninfa – Aporema Edizioni

Le prime domande in questa intervista sono curate proprio da Edvige, che approfitto per ringraziare.

Cosa pensa dell’arcano numero XIII (la morte), molti ne hanno paura ma in realtà quella carta nasconde un significato che va ben oltre?
Ogni capitolo è dedicato all’arcano maggiore che più ricalca dal punto di vista simbolico il tema e le vicende raccontate. La Morte, contrariamente a quanto si pensa, non è affatto una carta negativa, il suo significato è accostabile a quello della parola crisi nell’ideogramma cinese, dove al concetto di pericolo viene unito quello di opportunità: alla morte si accosta quindi la rinascita. Forse il capitolo che poteva più prestarsi a questo arcano è quindi il primo, che coglie il protagonista nel suo punto di minimo esistenziale, dopo di che inizia una lenta risalita, la rinascita. Mi premeva di più, però, ancorarmi al concetto d’inizio e di potenzialità energetica e, perché no?, a una sorta di avvisaglia della presenza nella trama di una manipolazione latente, una regia occulta che sorreggerà l’intera storia, e quindi il Bagatto era l’arcano maggiore più adatto. Poi, se avessi iniziato con la morte sarebbe stato come esordire a teatro vestito di viola…

Quale è stato il suo percorso di studio dei tarocchi per poi arrivare a scrivere un libro?
Il mio è stato un percorso di “riflesso”, nel senso che ho avuto amiche e amici appassionati di cartomanzia e astrologia, ed io per osmosi ho assimilato gli aspetti più universali, con un po’ di scetticismo iniziale, tipo quello che dimostra Leonida nel Capitolo della Ruota delle Fortuna, tanto è vero che viene cacciato dalla stanza in cui la maga Circe fa un giro di carte fondamentale. È inutile rimarcare che quest’ultimo è stato anche un espediente letterario per centellinare la risoluzione dell’enigma…

Raccontaci di te e delle tue passioni. Sicuramente ci sarà la lettura. Ti chiedo di raccontarci tre libri, anche tra i classici, che consiglieresti ai tuoi lettori e a cui ti ispiri come autore.
A me piace leggere due romanzi alla volta, purché di generi diversi, alternando la lettura, un mainstream insieme a un thriller, tanto per intenderci. Questa mia abitudine è anche alla base di questa scelta del doppio romanzo, del libro nel libro, con due storie strutturalmente e stilisticamente agli antipodi. Così come sono affascinato dalle storie, anche cinematografiche, in cui più vicende viaggiano in parallelo fino a convergere in un climax comune. Pensando a questo, mi vengono in mente alcuni romanzi storici della Mazzucco (cito la Camera di Baltus) o i primi film di Inarittu (Amores perros su tutti). Il mio guru giovanile è stato però Milan Kundera. Penso di aver letto tutto quello che ha scritto fino alla Lentezza, ma il libro della mia vita è stato, neanche a dirlo, l’Insostenibile leggerezza dell’essere. Amo Erri De Luca: cito Il peso della farfalla ma tutti o quasi i suoi romanzi mi incantano. E tra le nuove generazioni mi piace molto Marco Missiroli (Bianco è il mio preferito).

Com’è iniziata la tua attività di autore? Quando hai scoperto che saresti diventato autore?
Fino a sette, otto anni fa avevo un lavoro che mi impegnava giorno e (a volte) notte, coinvolto in vendite internazionali e quindi spesso fuori casa e paese. Mi impediva di scrivere ma mi faceva vivere esperienze e atmosfere, per così dire, globalizzate, da cui poi attingere le mie storie. Il personaggio di Katerina nasce un po’ da questo contesto. Da quando ho lasciato le multinazionali e sono diventato consulente, i tempi lavorativi si sono dilatati e ho potuto dare sfogo a questa mia passione che evidentemente era latente, e scalpitava.
Se per autore intendi uno che è in grado di portare a temine un progetto letterario, io ho scoperto di esserlo quando ho digitato la parola fine al mio primo romanzo (e avevo già in testa la storia del prossimo). Se per autore intendi scrittore anche nel senso professionale del termine, questo momento non è ancora arrivato e difficilmente arriverà mai. Nessun business plan avvallerebbe finanziariamente una simile attività…

C’è un luogo o un momento particolare in cui ti apparti per scrivere?
Io amo stare all’aperto, ho la fortuna di avere un bel giardino per la bella stagione e un portico in quella più fredda, luoghi in cui trovo un rifugio sicuro, dove poter digitare sul tablet idee e intrecci, senza curarmi troppo di stile e persino dell’ortografia, pagine che poi riprendo con più calma in configurazione indoor, di solito la mattina presto o la sera. Revisiono molto, anche decine di volte ogni singola scena. Quando poi il romanzo è finito, passo a una revisione più strutturale e stilistica, cercando nuove chiavi di “montaggio”, riducendo o ampliando gli spazi dei singoli personaggi, a volte, dolorosamente, tagliandoli del tutto, fino a portare a termine il lavoro, prima dell’eventuale editing finale dell’editor.

Parlando della tua città, hai mai pensato di scriverci un romanzo?
Non essendo più un pivello, posso affermare che le mie città sono due – Genova e Milano. Avendo pubblicato due soli romanzi, è stato facile dividerle equamente… Nel libro appena uscito Genova è il set principale. Mi interessavano alcune delle vene che possiede questa città.
Intanto è una città in cui è molto facile orientarsi. Avendo il mare a sud, a sinistra nasce il sole, muore a destra, alle spalle le alture e l’Appennino. È una città luminosa, il sole anche quando è nuvolo percepisci sempre dov’é, e quindi è più semplice orientarsi rispetto a Milano, che nei primi anni mi faceva prendere le circolazioni in senso contrario allungando i tragitti. Questo, però, è vero ovunque tranne che nei vicoli del centro storico, i famosi carruggi, dove invece si intravedono solo spicchi di cielo là in alto, al di là di pareti di case claustrofobicamente attaccate l’una all’altra, è lì ci si perde letteralmente, il posto ideale per farci aggirare Leonida, un personaggio persosi nei meandri della sua vita.
Poi è sufficientemente decadente per essere il giusto habitat di un personaggio fuori dalla norma e dagli schemi come Filippo, il padre di Leonida, oltre a possedere sottopelle tracce esoteriche importanti, essendo stata una città di crociati e templari. La Circe e suoi tarocchi difficilmente si sarebbero adattati a un attico di City Life o in un appartamento del Bosco verticale…

Quanto c’è di te nei personaggi dei tuoi romanzi? Come sono costruiti in genere?
La molla che mi fa scrivere è tornare con l’immaginazione a certi bivi della mia vita e intraprendere scelte diverse, a volte opposte, a quelle “realmente” prese a suo tempo, concedendomi la magia di rivivere, in quei giorni di forsennata scrittura, tante altre “mie” vite che potevano essere ma non sono state. Quindi quasi tutti i personaggi, se pur non esistiti, avrebbero potuto materializzarsi nel percorso della mia vita. Con questa premessa viene da sé che ci sia molto di autobiografico nella loro natura, più che nella trama.
Io sono ingegnere, ahimè, e non saprei iniziare un romanzo se non avessi in testa già un piano abbastanza preciso di cosa voglio raccontare, come farlo, qual è l’obiettivo e come raggiungerlo. Certo che è proprio vero che a volte personaggi secondari ti prendono la mano e acquistano spessore, quasi vivendo per conto loro. In Profilo di ninfa, ad esempio, è il caso di Filippo, il padre di Leonida. La storia principale doveva avere due personaggi chiave, ma alla fine si basa su una sorta di triade abbastanza equilibrata, non tanto come “presenza” in scena (essendo scritta in prima persona singolare ovviamente Leonida è il mattatore) ma dal punto di vista, diciamo, strategico.
Non sono però quel tipo di scrittore che fa una scheda dei personaggi. Avendoli bene in mente per i motivi che ho accennato, è come se ce li avessi davanti a me mentre racconto di loro e non mi riesce difficile descriverli senza andare a controllare caratteristiche e segni distintivi.

Tre aggettivi per incuriosire i lettori sul tuo libro?
Avvincente se non sconvolgente (avendo la storia principale un plot da thriller, seppur solo sentimentale), originale (essendo di fatto basato su due libri stilisticamente all’opposto), tragicomico (è un po’ il mio timbro quello di cercare di far sorridere e commuovere allo stesso tempo).

Una citazione di un autore del passato che senti particolarmente tua e perché.
Non sono un autore da citazioni. In questo romanzo ho rinunciato volentieri al paratesto in luogo di una sorta di bugiardino, di istruzioni per l’uso, al fine di non spiazzare troppo il lettore magari ignaro che in questo libro avrebbe trovato due libri diversi incapsulati l’uno nell’altro. Ma se devo proprio farne una, ho rispolverato un po’ di annotazioni che avevo preso a suo tempo, nel 1988 durante il mio anno di militare, quando avevo letto per la prima volta l’Insostenibile leggerezza dell’essere. Tra tutte, cito questa:
“Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto. Soltanto il caso ci parla.”
Mi sembra attinente al livello simbolico rappresentato dai tarocchi. La scintilla che fa nascere le cose, e quindi fa scorrere la vita, è sempre casuale, esattamente come l’incontro fatto di sguardi e nessuna parola tra Leonida e Katerina sulla panchina del cortile di un ospedale. Chi poteva pianificarlo… se non l’autore?

Link d’acquisto a Profilo di Ninfa

Grazie per questa bella intervista, a presto!

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.