LA RED-BULL DEI ROMANI

A cura di Luca Varinelli

Qualche tempo fa ho scritto un articolo partendo da un interrogativo, ovviamente ironico: i Romani mangiarono il ketchup?

Oggi vorrei rilanciare con un’altra curiosità culinaria dell’antica Roma. 

La red-bull, come è noto, è una bevanda energetica a base di zucchero e caffeina: due ingredienti molto poco diffusi nell’età antica ed ancora nel Medioevo. Eppure c’è qualcosa nell’alimentazione dei romani di paragonabile alle odierne bevande energizzanti.

Ancora una volta il nostro stomaco si prepara a ricevere un duro colpo: si trattava di una bevanda a base di acqua e aceto, denominata posca.

La posca era scarsamente utilizzata in tavola, ma assai diffusa tra l’esercito: i legionari la utilizzavano largamente, spesso come sostituto ideale del vino per via della sua bassa gradazione alcolica. 

Talvolta questa mistura veniva addolcita con l’aggiunta di altri ingredienti, come miele o erbe aromatiche varie, o addirittura poteva essere mescolata al vino.  

Qual è la ragione del “successo” di questa bevanda presso gli antichi Romani? Le risposte possono essere molteplici. 

In primo luogo, come abbiamo visto nell’articolo sopraccitato relativo al garum, i Romani erano avvezzi ai sapori molto forti, dunque una mistura d’acqua e aceto non sarebbe stata percepita come una stranezza.

Un’altra motivazione sta nel carattere antisettico di questa bevanda: un esercito di legionari in un territorio poco conosciuto, avvicinandosi ad una fonte  senza sapere se è contaminata o meno, poteva adottare questo semplice stratagemma. I Romani avevano capito che mischiare l’acqua con l’aceto poteva ridurre sensibilmente il rischio di contrarre infezioni dall’acqua.

Oltre questi due motivi, va considerata la possibilità che effettivamente la posca potesse servire da primitiva bevanda “energizzante”. Non sembra essere un’ipotesi molto vagliata dalla letteratura accademica; tuttavia io personalmente potrei arrischiarmi a sostenere un’ipotesi del genere. 

Nei Vangeli ci viene detto che a Gesù sulla croce viene offerto da bere dell’aceto:

«Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò.» (Gv. 19, 28-30)

Secondo una recente ipotesi al condannato sarebbe stata offerta della posca, e quello che viene interpretato tradizionalmente come un gesto di crudeltà sarebbe un gesto di clemenza. Tuttavia la crudeltà potrebbe comunque essere ravvisata nel fatto di somministrare al condannato agonizzante una sostanza che sostanzialmente tende a risvegliare i sensi, e non a inibirli.

Immaginiamo infatti un legionario abituato a marciare per 30-40 km al giorno: possiamo ipotizzare che fosse sufficiente il sapore dell’aceto per rinvigorire le sue membra.

L’ipotesi che abbiamo formulato non rimane priva di conferme storiche: Plutarco ci racconta che Catone il Censore beveva acetum per lenire la sete, e in rari casi vinum per lenire la fatica.

Secondo una teoria alquanto diffusa il termine acetum nel tardo impero avrebbe quasi del tutto sostituito il termine posca, e che addirittura si utilizzassero entrambi i termini per indicare non solo quello che noi chiamiamo “aceto”, ma anche semplicemente del vino inacidito. 

Da qui possiamo aggiungere un’ulteriore plausibile ragione per cui la posca era tanto diffusa: il vino dei Romani aveva un periodo di conservazione molto breve, si dice inferiore ad un anno; era un vino che acetificava in fretta, per cui, onde evitare di trovarsi con grandi quantità di aceto inutilizzate, era auspicabile diluire il liquido in acqua.

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