La strada di Cormac McCarthy

Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un’apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c’è storia e non c’è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all’olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d’infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l’uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d’acqua grigia, senza neppure l’odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile…

  • Editore ‏ : ‎ Einaudi; 1° edizione (13 gennaio 2014)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 220 pagine

Sara Valentino

Un romanzo spietato, di una durezza profonda che non è adatto a tutti. “Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato”. Se ne esce così dalla lettura, devastati e svuotati. Una lettura che non ho potuto frenare nè rallentare perchè dal tunnel buio e profondo volevo uscire, avevo bisogno di luce, eppure nemmeno potevo lasciare l’uomo e il bambino, protagonisti del romanzo lì sulla strada. “l’uno il mondo intero dell’altro”. Ancora una volta un libro dal tema post apocalittico che quasi ci soffia sul collo talmente è labile il confine che ci separa da tragedie di questo tipo. ” se solo il mio cuore fosse pietra”. Solo pietra può essere il materiale che determina un cuore abbastanza forte da sopportare lo stravolgimento intero della nostra abitudine umana. In questo libro sono evidenti parecchie chiavi di lettura: il coraggio di tenere vivo il fuoco dell’anima umana dinanzi a catastrofi che cancellano ogni più minuscolo briciolo di umanità, ma anche la forza di andare avanti anche quando non c’è certezza alcuna, di resistere sempre e fino alla fine. “Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo.” Si leggono scene tremende davvero di una atrocità devastante eppure non così fantasiose, l’uomo può arrivare a tanto…

Isabella Novelli

Un libro bellissimo,intriso di tristezza con dei protagonisti che non hanno nome che si ritrovano in un mondo giunto alla fine,dopo una catastrofe che l’ha visto protagonista.Un uomo qualsiasi con suo figlio vagano tra rovine cercando di sopravvivere in qualche modo,cercando rimasugli di cibo e riparo ,trascinando così le loro vite senza trovare soluzione e tregua ai loro problemi.Un mondo crudele,pieno di insidie e con pochi sopravvissuti,divenuti famelici dalla fame e dalla solitudine.

Un viaggio che apparentemente non conosce redenzione,sino alla fine,quando si intravede un piccolo barlume di speranza.

Il primo libro di MC Carthy che affronto,molto bello e triste,intriso di emozioni e sentimenti che trasmette al lettore,facendolo immedesimare con le mille peripezie dei protagonisti.Un libro devastante ma di grande bellezza,che sono contenta di aver letto,la scoperta di un grande scrittore.

Lia Fiore Angy

L’ho iniziato con molta curiosità, pur sapendo che il genere al quale appartiene non è nelle mie corde. Inizialmente sono rimasta colpita dall’ambientazione cupa ma suggestiva, e dal linguaggio scarno ma evocativo. Andando avanti con la lettura, tuttavia, proprio il linguaggio scarno e la ripetitività delle scene e delle dinamiche, hanno smorzato il mio entusiasmo. Era una lettura che mi stavo imponendo di portare a termine, senza più il piacere di farlo… Poichè ritengo che la lettura, anche quando si tratta di libri impegnativi, debba essere comunque un piacere, e non un qualcosa che si fa controvoglia, ho deciso di fermarmi a metà del viaggio.

Paola Nevola

Un romanzo che mi sarà impossibile scordare, per la storia, per i contenuti e per lo stile di scrittura. Desidero precisare che è molto forte e lo stile può anche non essere gradito a tutti.

Uno stile essenziale, conciso, senza enfasi, ma penetrante che scava a fondo in chi legge rendendolo parte della storia, tocca profondamente la sensibilità con poche parole colme di poesia nel dipingere anche la desolazione e la distruzione.

“Mai è un sacco di tempo.

E sapeva che mai è l’assenza di qualsiasi tempo.”

Mc Carthy ci conduce per la strada del post apocalisse, non è dato sapere perché solo qualche flash, il mondo conosciuto non c’è più e forse anche il futuro, non c’è più il battito vitale della natura, c’è solo cenere, tutto è permeato di grigio: cielo, terra e acqua, le città involucri vuoti, le strade lugubri vie.

“La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e spinose questioni si erano risolte in tenebre e nulla. l’ultimo esemplare di una data cosa si porta con sé la categoria. Spegne la luce e scompare.”

Gli esseri umani vagano come zombi perversi cercando ogni modo per sopravvivere, alcuni senza più nulla di umano.

Poi ci sono loro, i protagonisti, l’Uomo il Bambino e il Fuoco (come una sorta di trinità). La loro strada verso una luce di speranza è durissima e piena di insidie, per il freddo e la fame, per gli uomini che si dividono in buoni o cattivi, e i cattivi sono capaci di cose terribili.

L’Uomo per sopravvivere affina i suoi sensi e le sue capacità di cercatore di cibo (vecchi resti di cibarie di un tempo passato) e di oggetti che possano essere utili, come un ritorno alle origini, un che di primitivo. Rimangono i ricordi dolorosi da centellinare per il timore di perderli.

La paura di essere sopraffatti dai cattivi e dalla fame mette l’Uomo di fronte a scelte disumane, mentre il Bambino ha in sé un forte sentimento di misericordia. Per l’Uomo il Bambino diventa come un Messia da proteggere, poiché loro portano il fuoco. Un fuoco interiore vibrante di amore reciproco, l’unica luce in un mondo buio, buio di vita, di grazia e di sentimenti.

Nel pensiero di quello che è stato e che si è spento per sempre, nella scelta tra il bene e il male c’è solo una speranza, l’amore. Il fuoco salvifico, lo Spirito che aiuta a discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, che conforta e aiuta a restare umani.

Questo è ciò che ho colto. C’à anche un bellissimo messaggio finale, un libro da leggere per coglierne le metafore, le sfumature e per riflettere.

“Dove gli uomini non riescono a vivere gli dei non se la cavano certo meglio”

Cinzia Cogni

Non avrei mai immaginato che questo romanzo potesse suscitarmi forti emozioni e sentimenti contrastanti, costringendomi a riflettere e ad interrogarmi su tematiche inerenti il comportamento degli esseri umani, nel caso fossero costretti a sopravvivere in una situazione estrema, come quella che ci propone l’autore.

In un mondo post apocalittico, dove i pochi sopravvissuti vivono come animali alla ricerca perenne di cibo e riparo, un padre e un figlio cercano di rimanere “umani” e di tenere acceso l’amore e la speranza, nonostante siano circondati da “esseri” ormai privi di sentimenti e sopraffatti dagli istinti primari.

La scrittura e i dialoghi scarsi ed essenziali, sono lo specchio di ciò che è diventata la terra, dove il superfluo non esiste più e pure parlare diventa un problema, perché sono tante le domande che non hanno risposta e in quel contesto non c’è tempo per pensare e lasciarsi andare ai sentimentalismi.

Eppure quel bambino, con la sua innocenza,

è l’unico che ancora prova e crede in qualcosa, rappresenta quella parte buona che

cerca di mantenere viva quell’umanità che pian pianino si sta spegnendo; forse un messia o una sorta di coscienza che prova a ricordare costantemente la differenza tra bene e male…

“Noi non mangeremmo mai nessuno, vero?”

“No. Certo che no.”

… “perché noi siamo i buoni.”

“Sì.”

“E portiamo il fuoco.”

“E portiamo il fuoco. Sì.”

“Ok.”

Impossibile non restare sopraffatti da tanta disperazione e solitudine, e inevitabilmente pensare che forse McCarthy non sia andato tanto lontano dalla verità…ed è forse per questo che è una lettura che sconvolge, perché in fondo sappiamo quanto possono essere crudele gli uomini e probabilmente in certe condizioni, non rimarrebbe in loro un briciolo di umanità.

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