La vestale di Cesare – Debra May Macleod

Roma, 21 a.C. Cesare Ottaviano Augusto tiene salde nelle sue mani le sorti dell’Impero, ma la sua autorità regge solo finché il popolo, dagli schiavi ai senatori, crede che gli dèi di Roma lo sostengano, in particolare Vesta, l’amata dea della casa e del focolare.
In qualità di Vestalis Maxima, Pomponia, tra le personalità più influenti della ristretta cerchia di Ottaviano, è stimata da tutti i cittadini e dedica la sua vita a proteggere il suo Ordine e la fiamma eterna di Vesta. Così, quando una terribile epidemia si diffonde in città, contagiando l’imperatore e scatenando il panico tra gli abitanti di Roma, la vestale suprema si adopera per mantenere il favore della dea perché vigili sulla popolazione e sulle sacerdotesse. Ma un pericolo imprevisto si nasconde nella figura di un nobile malvagio, Severo Calidio Pavone, che minaccia non solo di compromettere l’amicizia di Pomponia con Ottaviano, ma di distruggere tutto ciò che lei ama.
Con il coraggio, la saggezza e il fascino che la contraddistinguono, riuscirà la Vestalis Maxima a sconfiggere il Male che insidia le massime cariche dell’Impero e a riportare la pace nella Città eterna?

  • Editore ‏ : ‎ TRE60 (24 novembre 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 304 pagine

A cura di Claudia Pellegrini

“Era iniziato tutto mesi addietro, con le prime piogge: prima dell’esondazione del Tevere, poi alcune legioni tornate dalla Germania in precarie condizioni di salute. Solo gli dei sapevano che razza di pestilenza si fossero portati dietro, ma nel giro di qualche settimana i luridi canali di scolo che correvano accanto alle strade acciottolate di Roma si erano fatti più ripugnanti e maleodoranti. Si poteva annusare il fetore acre della malattia nei rivoli marroni che scorrevano lungo le strade”.

21 a.C. Roma è devastata da una terribile epidemia che dalla Suburra è arrivata fino ai palazzi del potere. Persino l’imperatore, Ottaviano Augusto, reduce da un trionfo al Circo Massimo, è stato costretto a letto ed è in fin di vita a causa del contagio. Al suo capezzale ci sono il sacerdote di Apollo, diverse sacerdotesse di Vesta e la moglie Livia. Si teme a tal punto per la sua vita che da Tivoli è stata richiamata a Roma la Vestalis Maxima, Pomponia, figura particolarmente importante a livello religioso nella comunità romana alla quale l’imperatore stesso è particolarmente legato, una donna che ha dedicato la sua vita a proteggere il suo Ordine e la fiamma eterna di Vesta, affinchè preghi per la salvezza dell’imperatore:

“Invece di scappare dal pericolo, era tornata in mezzo a loro per pregare per Cesare. Di certo lei sarebbe stata in grado di assicurare la protezione di Roma da parte della grande dea”.

Ma l’epidemia non è l’unica problematica che Roma deve affrontare. Ottaviano, ammalandosi, ha in un certo senso dimostrato la sua vulnerabilità, soprattutto perché ancora non ha designato un erede. La moglie Livia, infatti, non è ancora riuscita a dargliene uno, e continua incessantemente a proporre al marito l’alternativa del suo figlio di primo letto, Tiberio. L’imperatore però non è d’accordo, Tiberio non può essere il suo successore poiché in vita sua non ha mai fatto nulla di costruttivo, non si è distinto in alcuna impresa: come potrebbe guidare un impero così vasto come Roma? Meglio il suo luogotenente Marco Vipsanio Agrippa, un eroe, uno che ha partecipato a mille battaglie e che sa come si gestisce un impero. Ma Livia non molla, non può permettere che Agrippa vanifichi ogni sforzo di suo marito, magari restaurando persino la Repubblica: vuole che a succedergli sia suo figlio Tiberio, ed è pronta a tutto per raggiungere il suo obiettivo.

Intanto, in occasione dei Nettunalia che si svolgono alla basilica di Nettuno al Circo Massimo, l’epidemia sembra rafforzarsi ancora di più, tanto che durante la cerimonia il pontifex maximus, tale Lepido, stramazza al suolo. Nonostante la guarigione di Ottaviano la situazione a Roma è diventata drammatica, la paura e il panico dilagano, e ora più che mai c’è bisogno di stabilità da parte delle autorità governative, dunque di poter contare su di una figura autorevole anche in futuro, ma anche della protezione attiva degli. 

La presenza a Roma di Pomponia, la Vestalis Maxima, rinfranca molto. Sapere che nella Casa delle Vestali il fuoco venga sempre alimentato, si intonino inni, preghiere e canti, si facciano sacrifici alla dea, è importante persino per lo stesso Ottaviano, il quale conosce la donna da molto tempo e si fida di lei come di nessun altro. E lei è sempre ben lieta di potergli essere d’aiuto e onorare la loro amicizia ventennale. 

“…Pomponia ricordò la prima volta che aveva conosciuto Ottaviano, ora il grande Cesare Augusto. Era stato poco dopo l’assassinio di Giulio Cesare. Lei era andata al carcere per chiedere di risparmiare la vita a Quinto e suo padre. Ricordava gli occhi grigi e gelidi e la voce giovane e acuta di Ottaviano mentre lo affrontava, con indosso la sua tunica cerimoniale da vestale. Che sciocca doveva essere sembrata. Ma all’epoca era poco più che una bambina. E anche Ottaviano, a dirla tutta”.

La questione della successione sta ossessionando l’imperatore. Durante la malattia, quando ha rischiato di morire ha temuto seriamente per il futuro dell’impero, il suo impero, e vuole scongiurare il pericolo che Roma possa finire nelle mani di un incapace come Tiberio, inoltre, proprio in occasione dell’indisposizione, ha potuto constatare come Agrippa abbia regnato in sua vece in modo egregio. Dunque, perché non rafforzare ancora di più il suo legame con il luogotenente facendogli sposare sua figlia Giulia? L’idea è approvata sia da Pomponia che dal suo consigliere più fidato, ovvero Mecenate, il quale non vede candidata più idonea a garantirgli la discendenza di sua figlia. Inoltre, per rafforzare ancora di più l’autorevolezza dell’impero romano, annuncia a Ottaviano di aver commissionato un’opera epica che celebri le gesta della sua famiglia al poeta Virgilio:

“Una volta appuntato un erede maschio di sangue, possiamo affermare la tua posizione come padre della nostra patria in modi diversi e più lirici. Ho commissionato un’opera al poeta Virgilio. Ha iniziato la stesura di un’epica che innalzerà il nome di Cesare al livello di Romolo”.

Propaganda? No, semplicemente leggenda, la stessa sulla quale è stata fondata Roma. Le nozze tra Giulia e Agrippa vengono celebrate e, passato il giusto tempo, si diffonde la notizia che la figlia dell’imperatore attenda un erede. È un’occasione di giubilo per Roma intera, ma non per Livia, la quale già convive da tempo con lo spauracchio di essere ripudiata e sostituita, magari dalla moglie di Mecenate che tutti sanno essere l’amante di Ottaviano, e continua ad accarezzare il sogno di poter vedere incoronato suo figlio Tiberio, il quale però in seguito al matrimonio di Giulia ha perso ogni speranza di gloria.

“Gli eredi muoiono, Tiberio. Capitano incidenti. Mangiano un pesce avariato o dei fichi rancidi. Si ammalano. I bambini sono particolarmente vulnerabili”.

Ma quando le sorti dell’impero sembrano intravedere una speranza nel futuro, ecco abbattersi una disgrazia al cuore dell’imperatore: giunge a Roma la notizia della morte di Agrippa. Il luogotenente era impegnato nell’ultimo servizio pubblico, ovvero la conquista dell’intero Illyricum. Dopo aver attaccato quello stesso inverno (13/12 a.C.), aveva spaventato i locali Pannoni a tal punto da farli desistere dalla ribellione, tanto che alla fine aveva deciso di tornare in Campania, dove nel marzo del 12 a.C., si era ammalato ed era morto all’età di 51 anni. Ottaviano è inconsolabile.

“Ottaviano non aveva appena perso solo il migliore amico, ma l’uomo che l’aveva aiutato a costruire il più grande impero del mondo”.

Augusto onora la memoria del compagno scomparso con una imponente cerimonia funebre, pronunciando egli stesso l’orazione funebre, e facendolo seppellire nel suo mausoleo. Inoltre provvede ad adottare i figli di Giulia e Agrippa, e finalmente annuncia pubblicamente il nome del suo erede: Marco Giulio Cesare Agrippa Postumo.

“In nome di tutti gli dei e delle leggi di Roma, dichiaro questo bambino come figlio della gens Iulia e della famiglia dei Cesari”.

I problemi dell’impero sembrano dunque risolti, ma il palazzo imperiale nasconde una pericolosa congiura che rischia di mettere in discussione il futuro dell’impero. Qualcuno, il nobile e malvagio Severo Calidio Pavone, si sta adoperando per minare la profonda amicizia e la fiducia che c’è sempre stata tra l’imperatore, il padre della patria, il divo Augusto, e la potente, venerata e temuta Vestalis Maxima, Pomponia, ma anche per distruggere tutto ciò che la sacerdotessa ama al mondo.

 La vestale di Cesare è un romanzo molto interessante dal punto di vista storico. Le ricostruzioni di usi e abitudini della Roma imperiale sono rese con minuzia di particolari, soprattutto per quanto concerne la descrizione dei rituali che scandivano sia la quotidianità dei romani, sia le occasioni solenni o di emergenza, come in questo caso il morbo che si abbatte sulla popolazione. Tutto questo viene incarnato nel personaggio di Pomponia, una donna che vive per servire la sua dea, per assicurarsi che il sacro fuoco non si spenga, che i riti vengano celebrati correttamente, così che la benevolenza degli dei non manchi mai alla popolazione e all’imperatore. Ma Pomponia è anche una donna legata ai suoi affetti familiari e a coloro i quali fanno parte della sua vita, per i quali è pronta a sacrificare tutto.

I personaggi, la maggior parte realmente esistiti, sono tratteggiati in maniera fedele a ciò che ci è stato tramandato dalle fonti storiche. Forse abbiamo, in questa sede, un Ottaviano un pochino dubbioso e titubante, che si discosta leggermente dalla figura di forza e autorevolezza del nostro immaginario, ma questa sua profonda umanità descritta dall’autrice ce lo rende molto più uomo e molto meno divo, nonostante la sua grande capacità di dissimulazione pubblica:

“Non era un re, e nemmeno un tiranno. Era un bravo imperatore, il padre della patria, semplicemente il migliore tra i pari. Era così che Ottaviano si muoveva in tutti gli ambienti, che fossero religiosi, sociali, militari o politici. Aveva calcolato, sino ad allora correttamente, che una messinscena del genere fosse il modo migliore per tenere lontano dal suo stomaco i pugnali dei senatori, e vivere più a lungo del Cesare precedente. Ma era comunque una messinscena”.

Livia Drusilla Claudia, conosciuta semplicemente come Livia o come Giulia Augusta, moglie di Ottaviano, che in origine aveva sposato il cugino Tiberio Claudio Nerone che aveva militato nel partito dei congiurati contro Gaio Giulio Cesare, è invece il personaggio che mi è piaciuto di più. La Storia ci ha tramandato che malgrado il matrimonio con Ottaviano fosse dovuto a ragioni politiche (a Ottaviano faceva comodo il sostegno della gens patrizia dei Claudii) i due rimasero sposati per 52 anni fino alla morte di Augusto, a dispetto del fatto che non ebbero figli propri. Inoltre, sempre la Storia, ci racconta che Livia è stata sempre tenuta in grande considerazione dal marito al punto tale da arrivare a consigliarlo nella politica dell’impero. Livia era un modello per tutte le matrone romane: non indossava gioielli costosi né vestiti sgargianti, si prendeva cura personalmente della casa e del marito cucendogli persino i vestiti, e fu sempre leale e premurosa nei suoi confronti, malgrado le innumerevoli avventure galanti che l’imperatore si concedeva. 

Ma Livia aveva anche, come tutti noi del resto, un lato oscuro che l’autrice in questo romanzo ha evidenziato. La Storia ci narra, o meglio insinua velatamente mediante la voce di Cassio Dione Cocceiano, che dietro la morte di Marco Claudio Marcello, il nipote favorito di Augusto, morto nel 23 a.C. potesse nascondersi la brava matrona. Inoltre, non sembra un po’ strano che i figli di Giulia e di Agrippa morirono tutti uno dopo l’altro di morte, tradunt, naturale? Del resto anche Tacito ci dice che Livia non era del tutto estranea a questi decessi. Alla fine c’è da dire che ciò che si era prefissata, anche in questo romanzo, avverrà, poiché riuscirà a far eleggere suo figlio Tiberio al rango di imperatore, peccato che però quest’ultimo non le sarà mai riconoscente e mal sopporterà il suo immenso potere di Mater Patriae. Ma questa è un’altra storia.

Tornando alla Vestale di Cesare, il cameo di Virgilio, l’autore delle opere più note della latinità, che qui vediamo impegnato a portare avanti la commissione dell’opera che lo consacrerà a modello di studio fin dall’antichità, la stessa opera che ha avuto una profondissima influenza sulla letteratura e sugli autori occidentali, è rappresentativo di come fosse fondamentale per un regnante, un imperatore, giustificare il proprio potere facendolo risalire al passato più remoto, quello addirittura antecedente alla fondazione della città, quello in pratica del mito.

Lo spaccato della città di Roma, catturata nel momento del suo massimo splendore, ovvero quello dell’impero, benchè flagellata dal morbo, fa da cornice a una vicenda emozionante che sicuramente può essere apprezzata da quanti sono interessati alla cultura romana, ma anche agli amanti del romanzo storico.

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