Le notti al Santa Caterina – Sarah Dunant

Recensione a cura di Sara Valentino

Da parecchio tempo questo libro faceva capolino dalla mia libreria. Mi ha da sempre incuriosito questa scrittrice inglese che vive tra Londra e Firenze, parlo di Sarah Dunant. “Le notti al Santa Caterina” è l’ultimo dei libri che compongono un ciclo narrativo dedicato a un secolo della Storia d’Italia.

Siamo a Ferrara, nel 1570, nel convento di Santa Caterina e una fanciulla di Milano, contro la sua volontà, dietro compenso di una ricca dote, è stata consegnata al monastero. Le sue urla, gli strepiti squassano la notte…

“Ah. La solita storia: mi è stato imposto con la forza. Il linguaggio ufficiale della coercizione. Quante mogli si sono avvalse di tale argomento nel tentativo di fare annullare un matrimonio infelice, quante novizie l’hanno ripetuto al cospetto del loro vescovo?”

La storia è di fantasia, ma inserita in un contesto storico fedele alla realtà del tempo per la politica ecclesiastica e nobiliare oltre che per tutto ciò che riguarda la vita all’interno di un monastero.

Devo ammettere che la parte poco prima della metà è stata un tantino pigra e indolente per poi riprendere una narrazione affascinante e coinvolgente. Mi sono, dopo questo punto più lento, affezionata alle vicende della novizia Serafina, forse perchè sono pesantemente intollerante alle ingiustizie, ma più ancora ho amato suor Zuana, la monaca speziale. Sarà lei a essere la chiave di volta in questa storia dal sapore dolce e amaro, la seguiremo nella spezieria e nell’angolo di giardino dedicato alla coltivazione delle erbe mediche. I suoi rimedi correranno a fiumi per aiutare le monache e le novizie a superare epidemie, dolori fisici e anche mentali.

“… prega a suo modo, scrutando le pagine del grande libro delle erbe di Brunfels…”

“Armonia e misura, il segreto è tutto lì, figlia mia”

Il male degli uomini, l’incuria verso le buone anime e la devozione orientata al denaro e al mantenimento del potere non saranno fantasmi ma presenze all’interno del Santa Caterina.

“Tutte le persone che amava erano lontane, l’avevano abbandonata fra quella schiera di gargouille, tanto ripiene di pietà da aver dimenticato cosa significhi essere una donna avida di vita”

La vita nel convento è noiosa, si percepisce questo senso di scontento e svilimento nelle monache, forse per questo cercano i segni di una mistica illusione e probabilmente invocano il dolore oppure se lo infliggono per sentirsi più vicine all’agonia di Cristo.

La storia di Serafina è una bella storia, colma di rabbia, di impazienza, ma anche di arguzia oltre che di inganni, il finale è certamente inaspettato.

Ciò che però mi resta di questa avventura è l’insegnamento della sagace suora speziale e il suo voto a curare le persone nel corpo e nell’anima. Saprà essere un’amica per chi ha bisogno e i suoi consigli sono melodia anche per me che ne farò tesoro.

“Per chi è stanco da non poterne più, la parola “riposo” acquista il sapore magico di un invito, e l’idea di resistere ancora appare intollerabile”

La vita nel monastero è descritta con dovizia, tanto che vi garantisco alla fine vi sentirete parte integrante del Santa Caterina. Oltre alle preparazioni erboristiche è stato illuminante vivere il Carnevale e assaporare i fruttini tinti con la preziosa cocciniglia, che farà molto parlare di sè nel romanzo.

Se le macchinazioni sono all’ordine del giorno, gli sguardi nell’ombra come la manipolazione melliflua, è proprio vero che queste vicende e il convento stesso rappresentano un po’ il nostro mondo e la vita che ci vediamo ad affrontare. La scintilla divina sta in chi, come Zuana, compie miracoli, in chi ascolta il silenzio della natura, il prodigio della semplicità.

“Tu non senti nulla vero? Eppure, anche in questo momento, sotto i nostri piedi, migliaia di bulbi e semi e radici si schiudono e germinano, un esercito di viticci e germogli si innalza dalla terra verso la luce, e sono così esili che vedendoli ti stupirai, pensando alla massa greve che hanno dovuto smuovere per emergere”

È il 1570 e il buio sta calando sul Santa Caterina a Ferrara, uno dei conventi più rinomati della città che, con le elargizioni di ricche e nobili famiglie e i frutti del vasto podere ritagliato all’interno delle sue mura, provvede al sostentamento di un elevato numero di suore, otto o nove postulanti, alcune convittrici e venticinque converse.

Come ogni sera, la sorella guardiana fa il giro dei corridoi misurando lo scorrere del tempo fino a mattutino, due ore dopo la mezzanotte.

È una sera particolarmente agitata questa. I singhiozzi della novizia appena arrivata si odono per tutto il convento. È stata ribattezzata Serafina e avrà quindici o sedici anni. Appartiene a un’illustre famiglia milanese. Per dimostrare il proprio attaccamento alla città di Ferrara, con la quale intrattiene affari lucrosi, il padre ha deciso, come recita la sua nobile missiva, di donare all’insigne monastero la sua figlia «illibata, nutrita dall’amor di Dio e con una voce da usignolo». In realtà, ha ubbidito a un comportamento diventato legge nell’Europa della seconda metà del sedicesimo secolo, in cui le doti si sono fatte così dispendiose da costringere l’aristocrazia a maritare una sola figlia e a spedire le altre in convento. La giovane, avvenente Serafina fa parte appunto di quella metà delle nobildonne milanesi costrette a prendere i voti, non necessariamente di buon grado.

Mentre la novizia strepita nella sua cella, in un’altra stanza suor Benedicta sta componendo il graduale per l’Epifania. Le melodie nella sua testa sono così prepotenti che non può evitare di cantarle ad alta voce. Nessuno, però, la sgriderà all’indomani, poiché le sue composizioni fanno onore al convento e attirano i benefattori.

In una cella non lontana suor Perseveranza è asservita, invece, alla musica della sofferenza. Sta stringendo con forza una cintura irta di chiodi che si spingono a fondo nella carne. Le sue grida, in cui la sofferenza si mescola col godimento, si confondono con i singhiozzi di Serafina.

Nella stanza sopra l’infermeria, infine, suor Zuana, la monaca speziale, prega a modo suo, scrutando le pagine del grande libro delle erbe di Brunfels. Figlia unica di un cultore dell’arte medica, è lei che accoglie le fanciulle che entrano in convento. È lei che si recherà tra breve nella cella di Serafina per somministrarle uno dei suoi miracolosi intrugli e calmarla. Tra le due giovani donne si stabilirà un rapporto speciale che non impedirà, tuttavia, che lo scompiglio, generato dall’arrivo di Serafina, si diffonda per tutto il convento come un fuoco che minaccia di inghiottirlo.

  • Editore : Neri Pozza; neri pozza edizione (26 novembre 2009)
  • Lingua : Italiano
  • Copertina flessibile : 439 pagine
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