Le stanze buie di Francesca Diotallevi

Trama.Si possono coltivare le passioni in un tempo ingeneroso? Qualcosa di torbido e inesprimibile affiora alla superficie di questo romanzo. Ed è indefinito, difficilmente afferrabile eppure persistente, come il profumo che porta addosso Lucilla Flores, protagonista di questa storia fosca e al tempo stesso delicata e malinconica. Francesca Diotallevi, con una capacità di raccontare fuori dal comune, ci porta in una piccola provincia del Piemonte della seconda metà dell’Ottocento, dentro la casa di un aristocratico dedito a vigneti e poco d’altro. Dove la servitù inganna il tempo di un lavoro sempre uguale con qualche ingenuo pettegolezzo, e dove arriva a servizio un maggiordomo che prende il posto del vecchio zio appena scomparso.
Ma nessun dio oscuro e severo sarebbe stato capace di tanto dolore e di tanta ingiustizia: verso una bimba innocente, e verso la moglie del conte, Lucilla, una donna con il volto «velato di oscurità», smarrita dentro un segreto che non le si addice, che non dovrebbe appartenerle, lei, la creatura più lieve, sospesa e innocente che si possa immaginare. Le stanze buie è una dichiarazione d’amore alle passioni, alla poesia, alla bellezza della natura, a quel femminile che ci meraviglia ogni volta che si rivela a noi. La storia di un amore negato, la prepotenza di un mondo chiuso e meschino, capace soltanto di nascondere, di reprimere, di lasciare che esistenze intere si lascino coprire dalla polvere della storia senza riscatto e senza futuro.
Tra queste stanze ferite dal pregiudizio e dall’indifferenza, Francesca Diotallevi trova, però, una luce e una delicatezza quasi preraffaelita e in questo contrasto affila una lama che taglia sempre perfettamente. E mostra che la felicità non è nelle cose del mondo, se il tempo è ostile.

Recensione a cura di Sara Valentino

Ho avuto il grande piacere di “conoscere”, dal punto di vista letterario, Francesca Diotallevi con “Dentro soffia il vento”, mi ha coinvolta con il suo stile in maniera esponenziale.

Eccomi dunque a parlare, dopo aver depositato per alcuni giorni le emozioni dentro la mia anima, della sua ultima pubblicazione “Le stanze buie”.

Il romanzo è ambientato tra il 1864 e il 1904, anno che apre le danze con un’asta per l’acquisto del mobilio della “casa stregata”, così era ormai conosciuta e definita. La gente, si sa, è attratta come falene verso la luce dal macabro, dai misteri, dalle tragedie.

Cosa era davvero accaduto in quella sinistra dimora? La casa era davvero posseduta? E la bambina che fine ha fatto? Chi ci racconta la storia in prima persona è un uomo che ha attraversato momenti di follia pura, un uomo che ha scoperto a sue care spese, le origini della propria nascita. Un uomo che ha amato, che ancora rincorre qualcuno tra i suoi incubi peggiori.

Trattenendo il fiato ho assistito allo smembramento di una casa in cui sono tornato più spesso di quello che avrei voluto, nei miei incubi”

1864. Siamo in un paese di colline e campagne del Piemonte in una residenza dall’atmosfera piuttosto sinistra. Il protagonista è un giovane maggiordomo di Torino che riceve l’eredità dello zio, deceduto da poco. Si tratta di prendere il posto precedentemente occupato dallo stesso parente, come maggiordomo nella dimora della famiglia Flores. Se in principio il nostro Fubini cerca di essere l’irreprensibile maggiordomo tipo, attenersi agli ordini esclusivi del padrone, riprendere i domestici nelle imprecisioni di servizio, ci sarà un tempo in cui non sarà più lo stesso.

La casa pare parlargli, sussurrare, flebili voci, stanze buie, vuote, una chiave e un segreto da celare ad ogni costo.

“Sono solo un uomo che sta cercando di rimettere insieme i frammenti di un passato che, come sassi nelle tasche di un suicida, pesano troppi anni sulla sua coscienza”

Una trama sorprendente, un finale inaspettato, una narrazione sublime che non cede mai un colpo, l’attenzione del lettore è calamitata nelle pagine. Le emozioni si alternano, la paura serpeggia, amor vincit omnia, che ne è dell’amore? Amori contrastati che vanno a braccetto con le tragedie, amori che si rincorrono dal passato al presente. Un inno alle passioni che vanno sempre perseguite ma che qui vengono ostacolate.

“Nessuna battaglia è persa se ci si impegna davvero” forse sì… chissà…

Credo che Francesca Diotallevi abbia riunito in un sabba letterario tutte le emozioni dell’umanità, quelle positive e quelle negative. E’ sconcertante quanto l’invidia sia tanto potente da generare un odio profondo, tanto da perdere completamente il senso dell’umanità. E allora forse è troppo tardi per il peso che sulla coscienza preme, la follia si impadronisce degli esseri umani perchè un’anima non potrebbe sopportare di stare in una mente tanto perversa. E’ vero anche che c’è quasi sempre il tempo per redimere, per rimediare, per un gesto d’amore.

“C’era stato un tempo in cui avevo creduto che la perfezione mi avrebbe distinto, dandomi modo di realizzarmi…. non sarei più stato quell’uomo”

Un romanzo che potrebbe stare tra i classici gotici, qui l’orrore è solo l’essere umano con la sua prepotenza e malvagità. Letto d’un fiato, purtroppo…, la Diotallevi per me si riconferma una penna appassionante e coinvolgente.

  • Editore ‏ : ‎ Neri Pozza (14 ottobre 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 304 pagine
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