L’ULTIMO INVERNO DI RASPUTIN di Dmitrij Miropol’skij (Autore), C. Cascone (Traduttore)

Nel gelido inverno russo del 1916, l’inconcludente ricerca di un uomo scomparso ha una macabra svolta quando le acque ghiacciate di un fiume ne restituiscono il cadavere deturpato. La polizia non ha dubbi: si tratta di Grigorij Rasputin. La condanna a morte del contadino, colpevole di una deleteria influenza politica e morale sullo zar e la moglie, era già stata idealmente decretata nelle piazze e nei salotti di Pietroburgo, ma la mano del boia che ha eseguito la sentenza è ignota. Inizia così, con il ritrovamento del corpo assassinato di Rasputin, un viaggio nel passato di questo enigmatico personaggio, che come un filo lega le persone, i luoghi e gli eventi che hanno cambiato per sempre le sorti della storia europea a partire dallo scoppio del primo conflitto mondiale. A essere in fermento non è solo il mondo militare, anche quello della cultura viene travolto dalla corrente futurista, in cui emerge l’estro poetico di un giovane Majakovskij, che con lo scorrere della narrazione mostra un’inarrestabile quanto compromettente passione per le donne. E mentre in ogni angolo d’Europa spie insospettabili e nobili esaltati congiurano nell’ombra, una delle dinastie più affascinanti e sfortunate, quella dei Romanov, mostra il proprio lato più intimo e umano, prima di cadere vittima dello spietato massacro che metterà fine al regno degli zar. In quest’opera in bilico tra ricostruzione storica e spy story, Miropol’skij dipana l’intricato viluppo dei complotti orditi e subiti da personaggi intenti a tramare fra luride bettole ed eleganti palazzi e ci trascina in una delle cospirazioni più controverse e inquietanti di tutti i tempi, quella che decretò l’uccisione del “diavolo santo”, Grigorij Rasputin.

Copertina flessibile: 778 pagine
Editore: Fazi (28 novembre 2019)
Collana: Le strade
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8893255286
ISBN-13: 978-8893255288

Link d’acquisto

Recensione a cura di  Claudia Renzi

È una mattina di fine dicembre del 1916 quando alla polizia arriva la segnalazione dell’avvistamento di un cadavere nelle acque ghiacciate del Malaja Nevka. Forse si tratta del proprietario di una galoscia rinvenuta qualche ora prima, muta testimone di una disgrazia. Con non poche difficoltà si riesce ad estrarre dal ghiaccio il corpo, pietrificato in una gelida, grottesca posa che ricorda quasi una danza. E, in effetti, il defunto era noto, tra le altre cose, anche per la sua propensione al ballo: con sconcerto infatti ci si rende conto che l’ucciso – poiché di disgrazia un buco di proiettile sparato alla nuca non permette più di parlare – altri non è che Grigorij Efimovic Rasputin Novych, il discusso monaco siberiano stimatissimo confidente della zarina Alexandra.
La sua morte era avvolta nel mistero così com’era stata gran parte della sua vita.
Nato in un villaggio della Siberia nel 1869 ben presto le sue doti carismatiche lo avrebbero portato molto lontano, direttamente a corte. Dopo il matrimonio e la nascita di diversi figli, si era fatto monaco e la sua fama di guaritore e mistico aveva varcato i confini della Siberia. A corte era giunto con il compito di salvaguardare la vita dello zarevic Aleksej, unico figlio maschio ed erede al trono dello zar Nicola II. Il bambino aveva ereditato dalla madre, la tedesca Alexandra, nipote della regina Vittoria d’Inghilterra, la terribile condanna dell’emofilia:

Chi era Rasputin? Un contadino siberiano. Sì, particolare. Un
rozzo filosofo, uno che guariva con la parola di Dio, il favorito e il
salvatore. Moderatamente furbo, moderatamente zotico… […]
Era vero che il contadino non piaceva a molti. Ma dopotutto non
c’era nulla di cui accusarlo: non aveva ucciso, non aveva rubato, non
aveva detto falsa testimonianza. Non si era macchiato di peccati
capitali…

Non è mai stato chiaro come Rasputin riuscisse a calmare le crisi dello zarevic: qualcuno parlò di ipnosi, una delle sue figlie parlò di magnetismo, alcuni medici attribuivano quei successi alla decisione di non somministrare più al bambino l’aspirina… ma ci riusciva, in un paio di casi anche a distanza di chilometri, e questo aveva indotto la zarina a fidarsi ciecamente di lui. Il loro rapporto esclusivo, privilegiato, attirò ben presto invidie che si tradussero in pettegolezzi anche a livello internazionale. Lo zar Nicola II, dal canto suo, non riusciva a contrastare questa simpatia della moglie né ad offrire, soprattutto, alternative valide alla sopravvivenza dell’erede. Sorvolò sullo scandalo della pubblicazione delle lettere di Alexandra inviate al monaco, dai toni estremamente confidenziali, e sulle crisi isteriche che le venivano ogni qual volta Aleksej, pur sorvegliato a vista da un esercito di domestici, mostrava penosi, tragici segni di peggioramento.
Chi, nella Russia di quel cruciale momento, aveva deciso la condanna a morte del monaco siberiano? Inizialmente non è chiaro nemmeno il movente, e di nemici Rasputin ne aveva parecchi, da tutte le parti. La sua figura carismatica, magnetica, contraddittoria, talmente ambigua da aver meritato il soprannome di diavolo-santo, aveva suscitato sin da subito violenti contrasti, tra chi lo adorava e chi lo detestava, persino all’interno della famiglia Romanov: la madre di Nicola II, Maria Fedorovna, che sopravvisse a figlio nuora e nipoti, aveva cercato inutilmente di aprire gli occhi al figlio sulla pericolosità della cieca fiducia che la nuora riponeva in quell’uomo ambiguo, ma senza troppi risultati; per non parlare di molti altri oscuri personaggi che si muovevano più o meno nell’ombra in un’Europa dilaniata dalla guerra e che guardavano con preoccupazione e timore alle mosse del grande impero russo, retto da una coppia di innamorati che erano divenuti zar giovanissimi e che parevano preoccupati soltanto del loro mondo privato e della salute dei loro figli.

Tu credi ad Aleksandra Fëdorovna. Questo è
chiaro. Ma ciò che viene fuori dalla sua bocca è il risultato di una sapiente
manipolazione e non della verità. Se non hai il potere di allontanare da lei
questa influenza, allora almeno proteggiti tu da queste ingerenze
sistematiche, costanti, da queste voci che agiscono attraverso la tua amata
consorte.

Dimitri Miroploskij ci restituisce un affresco vivido di tutto ciò senza mai annoiare, dall’accurata ricostruzione storica e dallo stile fluido, piacevole ed erudito nonostante il romanzo presenti caratteristiche che ricordano il feuilleton ottocentesco, come nella migliore tradizione russa. Non a caso 1916 Guerra e Pace è il titolo originale di questo avvincente romanzo.
Rasputin era sopravvissuto già a degli attentati, ma pare che lui stesso avesse previsto, indovinando, che non sarebbe arrivato al 1 gennaio successivo.
In poche ore si viene a sapere che a ordire la congiura è stato il dissoluto principe Jusupov. Lui e il complice, il granduca Dimitri Pavlovic, vengono posti agli arresti domiciliari. Surreale la descrizione dell’assassinio di Rasputin: il principe raccontò che già da diverso tempo aveva invitato il monaco al suo palazzo, e qui la notte tra il 16 e il 17 dicembre 1916 aveva cercato di far ubriacare il monaco con del vino forse – non è chiaro – avvelenato ma, constatando che Rasputin era refrattario, aveva pensato di risolvere sparandogli in pieno addome. Quando era andato a chiamare i complici per liberarsi del corpo aveva scoperto con un certo sgomento che la presunta vittima si era alzata e, barcollante e sanguinante, era sparita. Affacciandosi alla finestra lo avevano visto in procinto di attraversare il cancello del giardino e fuggire. No, non poteva uscire vivo da lì: qualcuno iniziò così a sparare dalla finestra, ma nemmeno questo parve fermare Rasputin. Si dovette correre giù e sparargli in testa a bruciapelo. Nascosto il corpo in un’auto, si cercò di farlo sparire nel fiume, non a caso meta di molti aspiranti suicidi, confidando che la corrente lo avrebbe portato via e fatto sparire per sempre. Niente corpo, niente crimine. Ma il Malaja Nevka era ghiacciato in quel periodo, e il corpo, che si era impigliato in un ramo sommerso, fu rinvenuto, portando a galla anche la congiura.
Il principe Jusupov definì il suo gesto: “Il primo sparo della Rivoluzione russa”. Ma non riuscì a rispondere alle domande che lo tormentarono fino alla fine della sua vita:

Cosa aveva condotto
da Rasputin molte centinaia di persone, non le più stupide, non le
più povere, non le più disperate? Come risanava? In che modo aveva destato devozione senza
riserve e amore sincero in alcuni e invidia feroce, rabbia convulsa e
odio atroce in altri? Non ci sarebbe più stata risposta a nessuna di queste domande.
Chi è stato, alla fine, Grigorij Efimovic
Rasputin? Come è riuscito a occupare una posizione unica alla corte
dell’ultimo imperatore russo? Cosa ha fatto realmente, sfruttando la
sua posizione? Come è caduto, trascinando con sé l’impero?

Dopo l’omicidio di Rasputin, la famiglia imperiale visse diciannove mesi, per sedici dei quali il sovrano, la moglie e i cinque figli furono detenuti e deportati negli Urali, dove furono giustiziati. Diciannove e sedici: ecco un altro significato dei numeri nel titolo romanzo…
Una lettura impegnativa e avvincente che non finisce con la morte di Rasputin.

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.