Maledizione Gonzaga – G.L.Barone

Mantova 1591. Durante una battuta di caccia, il duca Vincenzo Gonzaga ritrova i cadaveri di due emissari che aveva inviato a Milano pochi giorni prima. A rendere la scoperta ancora più agghiacciante è un dipinto, lasciato vicino ai corpi, che ritrae una donna dall’espressione malefica con una falce insanguinata. Impossibile non pensare alla leggenda delle Ninfe del Mincio, che con la luna piena si trasformerebbero in streghe per far strage di chiunque incontrino. Ma l’anziano notaio Ranuccio Gallerani, a cui è affidata l’indagine, non si lascia suggestionare: insieme alle due vittime, quella notte, c’era anche la favorita del duca, Bianca Donati, che ora pare scomparsa nel nulla. Con l’aiuto del pittore di corte Giulio De Tatti, il notaio segue le tracce della dama e del quadro, tra carte dell’Inquisizione e giochi di potere che risalgono a un secolo prima. Scoprirà a sue spese che arte e realtà sono spesso più intrecciate di quanto sembri…

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori (2 febbraio 2024)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 320 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Siamo nella Mantova dei Gonzaga alla fine del XVI secolo, quando i confini delle signorie nostrane sono stati delineati, per l’ennesima volta direi, dalla celebre pace di Cateau-Cambresis (2-3 aprile 1559). Questo trattato, che pose fine alle guerre d’Italia tra la Francia e gli Asburgo di Spagna e Austria, permise loro di spartirsi parte del territorio della nostra penisola. Tra i domini rimasti più o meno invariati c’erano quelli dei Gonzaga, i duchi di Mantova e Monferrato. Per anni i duchi avevano tentato di fare uno scambio con gli spagnoli tra la zona del Monferrato e quella del Cremonese, poiché questi territori si trovavano isolati tra i domini sabaudi e quelli spagnoli di Milano, ma l’affare non era mai andato in porto. La nostra storia inizia proprio da questo tentativo di scambio. 

L’attuale duca, Vincenzo I, ha mandato due emissari accompagnati dalla sua cortigiana più fidata, Bianca Donati, a Milano, proprio con l’intento di negoziare lo scambio territoriale, ma durante una battuta di caccia, diversi giorni dopo la partenza di questi ultimi, casualmente li rinviene cadaveri in un bosco, e vicino ai loro corpi nota la presenza uno strano dipinto:

“Ritraeva dei personaggi muscolosi, schiacciati da colonne e capitelli in frantumi. Sopra di loro, tra le nuvole, una donna dal volto malefico brandiva una falce acuminata”.

Bianca Donati fortunatamente è viva, e racconta di aver avuto il quadro da uno sconosciuto che l’ha avvicinata e si è raccomandato che il dipinto giungesse nelle mani del duca Vincenzo in persona, e che insieme al quadro gli fosse rammentato anche il nome di un uomo: Negri. Il duca non capisce, non conosce nessuno che abbia quel nome, anche se sia il quadro che il nome stesso sembrano rievocargli qualcosa accaduto durante la sua infanzia, ricordi nebulosi di suo padre, il duca Guglielmo, che scaglia proprio quel quadro a terra. Che nasconda forse qualcosa? 

Vale dunque la pena farlo esaminare da un esperto, magari dal pittore De Tatti, uno che a Mantova negli ultimi tempi è molto apprezzato. Ed egli infatti riesce a trovare molte affinità con un affresco di Giulio Romano presente nella sala maggiore del palazzo mantovano del Te:

“…nei personaggi muscolosi della piccola tela rivedeva i giganti di Giulio Romano”.

“…nella strega malefica con la falce ritrovava tratti ispirati all’ira di Zeus”.

Inoltre, sempre secondo De Tatti, è molto probabile che l’autore di questo fantomatico dipinto possa essere nientemeno che Vasari in persona. È ovvio, a questo punto, che ci sia un collegamento tra le morti dei due emissari mantovani inviati a Milano per verificare la parità di valore tra i due territori, il Cremonese e il Monferrato, e la comparsa di questo quadro probabilmente latore di un qualche messaggio. Ma c’è di più. Sì, perché i due sventurati, oltre a essere stati uccisi da uomini parlanti lingua iberica, così come ha potuto testimoniare l’unica superstite dell’agguato, madonna Bianca, hanno anche subito un tentativo di decapitazione post mortem con una falce:

“Una falce? Come quella del dipinto?”.

E c’è ancora di più: l’agguato mortale è avvenuto 23 giugno, una data che per chi proviene da quelle zone ha un significato inquietante e ben preciso:

“La maledizione delle streghe sul Mincio, infatti, era nota a tutti in quelle terre: si diceva che trovasse compimento proprio quando la notte del 23 giugno coincideva con la luna piena. Esattamente come quella notte”.

Ebbene sì, una maledizione, qualcosa di oscuro alla quale però Ranuccio Gallerani, il notaio della curia criminale di Mantova che si sta occupando degli omicidi e di indagare su eventuali messaggi criptati all’interno del quadro di Vasari, non può credere completamente. Qualcuno, sicuramente gli spagnoli, ha approfittato di quella storia fantasiosa per insabbiare la realtà, così come qualcuno ha  utilizzato il quadro, che si scopre essere parte di un trittico, per lanciare un’esca, un indizio:

“Un messaggio in uno strano codice, e la ragione di tanta segretezza poteva essere solo una: la paura che il messaggio, qualunque fosse, venisse compreso da persone diverse dal destinatario”.

Ma chi è il destinatario? Quale messaggio si nasconde dietro al trittico di Vasari? Dove sono finiti gli altri due quadri? Chi c’è dietro tutta quella storia? Inoltre, cosa avrebbe scoperto Negri, la cui identità viene accertata in quella di un ambasciatore al servizio della corte mantovana ai tempi del duca Guglielmo, di così compromettente da essere stato addirittura accusato trent’anni prima, improvvisamente e da un giorno all’altro, addirittura di stregoneria ed eresia, e messo a morte mentre si trovava ad indagare su un misterioso accordo tra il ducato di Milano e il papato proprio nello Stato Pontificio?

Tutte queste domande troveranno risposta tra le pagine di “Maledizione Gonzaga”, un thriller storico che combina arte, storia, simbolismo e complotti, facendo immergere completamente il lettore nella storia fino alla fine, quando ogni interrogativo maturato tra le pagine precedenti troverà finalmente una degna risposta.

Vincenzo Gonzaga, il giovane duca, che ci viene descritto dall’autore come un giovane un po’ intemperante, amante della bella vita, delle spese folli e delle feste sfarzose, è tuttavia un uomo che sorregge il peso di un ducato di una certa importanza, che ha ereditato e che quindi deve proteggere e governare a discapito di una “maledizione”, una molto più concreta di quella delle streghe sul Mincio, qualcosa di molto più reale. 

La cosiddetta “Maledizione Gonzaga”, che l’autore ha utilizzato non solo per intitolare questa storia, ma l’ha fatta anche aleggiare come un fantasma tra le pagine, non è una finzione, poiché pare che in quel periodo la paura che il ducato dei Gonzaga potesse essere minacciato e mandato gambe all’aria era qualcosa di molto sentito, e preoccupava davvero molto. Dopo aver spodestato i Bonacolsi (nel 1328 Luigi I Gonzaga aveva rovesciato la signoria dei Bonacolsi con l’aiuto delle truppe dei veronesi Della Scala) i Gonzaga avevano governato egregiamente per lunghi anni su Mantova, sempre però temendo che si avverasse una maledizione che pare incombesse su di loro: la perdita del potere.

“Il timore che, prima o dopo, i Gonzaga perdessero il potere che avevano acquisito a spese dei Bonacolsi. La paura che qualcuno, come avevano fatto loro nel Trecento, giungesse con le armi a spogliarli del loro Ducato. Non era solo Guglielmo a temere che il fato chiedesse un tributo di giustizia. Prima di lui, molti della dinastia, da Ludovico a Federico I, avevano provato lo stesso timore, che era divenuto come una spada di Damocle sopra le loro teste. Una maledizione bella e buona, che colpiva tutti i regnanti e che prima o poi si sarebbe compiuta”.

E in questa sede le basi affinchè si compia questa maledizione sono state gettate 97 anni prima nel Ducato di Milano, più precisamente nel 1494, quando quel furbacchione di Ludovico il Moro aveva stretto un accordo che definiamo “particolare”, se non truffaldino, con il legato del re francese, Carlo VIII, per evitare che il suo esercito, diretto alla conquista del regno partenopeo, non transitasse nei territori di Milano.  

“Passare dalla via Emilia significava far transitare un esercito di trentamila uomini attraverso l’intero ducato di Milano. Con tutto il corollario di saccheggi e ruberie a cui le corti italiane erano tristemente abituate”.

La lettura di questo libro si è rivelata molto interessante. Nonostante i continui salti temporali che troviamo nella narrazione (si passa dal periodo in cui regna Vincenzo I, il 1591, a quello in cui c’era suo padre, il 1560, al 1494, l’anno in cui le truppe di Carlo VIII scesero in Italia), la lettura rimane fluida e per nulla difficoltosa. Ho apprezzato molto le descrizioni dei palazzi Mantovani, come palazzo Te, uno tra i luoghi simbolo del nostro patrimonio culturale, ma anche le leggende del territorio tra Mantova e il Lago di Garda che, non essendo del posto, non conoscevo affatto. 

La ricerca storica che l’autore ha effettuato per la stesura di questo romanzo è impeccabile, riuscendo a sposare perfettamente il suo immaginario con i reali eventi storici accaduti e i molti personaggi realmente esistiti che ha voluto far interagire nella sua storia. 

“Maledizione Gonzaga” mescola l’arte, le leggende del territorio e gli intrighi politici dei potenti del passato, dimostrandoci che piuttosto che temere l’irrazionale, o una maledizione come in questo caso, bisognerebbe avere paura degli inganni, molto più concreti, dell’uomo.

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