Nel nome della pietra – Cristina S. Fantini

Milano, 1385. Forza, conquista, potere. Sono queste le parole che guidano i pensieri di Gian Galeazzo Visconti, da poco divenuto signore della città dopo aver deposto e fatto arrestare lo zio Bernabò. Quando l’arcivescovo di Milano gli prospetta l’idea di una grande cattedrale che sostituisca la chiesa di Santa Maria Maggiore, il conte di Virtù, da sempre devoto alla Vergine, approva il progetto anche se la decisione non ha nulla di religioso. Diventerà potente, espanderà i confini del ducato e la cattedrale dovrà essere il simbolo della sua grandezza. Per costruirla, si circonda dei migliori architetti e scultori, i maestri campionesi, tra i pochi in grado di portare a termine un progetto tanto ambizioso. Nelle schiere di ingegneri e artigiani, operai e artisti, vi sono Alberto e Pietro, gemelli separati alla nascita. Falegname l’uno, scultore l’altro, uniti da un solo ineludibile destino, quello di contribuire a una delle più grandi imprese che la nostra storia ricordi: la costruzione del Duomo di Milano. Tra segreti di corte, passioni e giochi di potere, un romanzo che celebra la grandezza di uno dei simboli della nostra civiltà attraverso le vite dei potenti che lo vollero fortemente e di coloro che, con l’ingegno e la fatica, lo fecero sorgere dal nulla. Queste pagine celebrano la loro memoria.

Copertina rigida: 544 pagine
Editore: Piemme (10 marzo 2020)
Collana: Storica
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8856675099
ISBN-13: 978-8856675092

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Recensione a cura di Sara Valentino

Un affresco superbo e ricco della nostra Milano in un ventennio, tra il 1385 e il 1406, che vide la nascita della Cattedrale di Santa Maria Nascente, il nostro Duomo.

La particolarità del romanzo, è il racconto di un periodo storico dal punto di vista economico e politico fatto da una romanziera eccezionale che ne incasella tra le righe una storia molto emozionante. I personaggi reali e quelli di fantasia sono amalgamati alla perfezione ed è difficile riconoscere la differenza in questo senso, sono vivi, trasmettono emozioni, paura, rabbia, dolore.

Quando Gian Galeazzo Visconti, nipote di Bernabò Visconti, signore di Milano inscena una congiura per imprigionare lo zio, lo fa macchinando un tranello. Mette in atto un finto pellegrinaggio al santuario di Santa Maria del monte nei pressi di Varese. Bernabò Visconti vi giungerà solo con i figli mentre il nipote con i suoi fedelissimi, che troviamo nel romanzo, Jacopo dal Verme, Ugolotto Biancardo e 500 lancieri. Il diavolo, così veniva chiamato il vecchio signore di Milano, un Visconti crudele, imprigionato e spodestato fino ad essere poi probabilmente ucciso con una zuppa di fagioli nelle segrete del Castello di Trezzo.

Parallelamente seguiamo la vita della famiglia Frisone, di Costanza la giovane figlia di un barcaiolo e dello zio Anselmo, monaco del convento di Sant’ambrogio. L’incontro tra la giovane e l’apprendista Marco da Carona, presso l’ingegnere Marco Frisone, sarà un amore a prima vista. Un amore per sempre, un amore che lascerà il segno.

Due protetti, due gemelli che non sanno di esserlo, ma uniti dal destino. Pietro e Alberto, gli stessi occhi, ma uno è moro e l’altro biondo. Una suora, il suo misterioso passato, Suor Addolorata madre presso il convento delle Umiliate.

Tomba di Marco Carelli, Milano, Duomo.

Il destino è inafferrabile e innefabile, l’autrice rende in maniera dettagliata gli avvenimenti e li concatena attorno alla costruzione del Duomo, la fabbrica del Duomo e non possiamo certo dimenticare Marco Carelli, grande benefattore che alla sua morte nel 1393 lasciò così a questa “causa” tutto il suo lascito.

Ci sarebbe da raccontare e dire così tanto, tra misteri, leggende, sacrifici, morti attorno alla costruzione della cattedrale di Milano, lo farò sicuramente in altra sede.

Aggirandomi per le vie di Milano i primi di marzo dell’anno 1400 non ho potuto che fare incredibili parallelismi a ciò che attualmente ci sta affliggendo. Ecco perchè sostengo che i libri vengano a noi nel momento opportuno.

“Lungo la via quel giorno c’erano i carri dei contadini, portavano provviste a Milano anche se non abbondanti come al solito. La grande moria era in città, la gente andava di fretta, la testa bassa, senza guardare avanti. Eppure si doveva mangiare, i vivi dovevano continuare a vivere”

Nel mese di maggio dello stesso anno le strade rimasero deserte, le botteghe chiuse, case con finestre sbarrate per evitare i contagi. Il duca si era trasferito al castello di Marignano. Chi aveva potuto aveva lasciato la città, uscendo dalle porte. Erano rimasti poveri, malati e chi credeva nella Provvidenza. La paura era palpabile. Quella stessa peste che si portò via nel 1401 Gian Galeazzo.

Che ne era stato poi di Marco, detto Marchetto, da Carona? Avrebbe almeno visto la fine della grande opera? Avrebbe rivisto la sua Costanza?

Un romanzo che mi ha appassionato particolarmente, mi ha fatto vivere giorni impolverata, tra impalcature varie, nelle cave di marmo e ho potuto solo immaginare cosa avranno provato gli uomini del tempo, mentre ammiro il Duomo com’è oggi. Inoltre, lo ripeto, ma la condizione della vita dei poveri e dei potenti è descritta in maniera tale da renderla viva e scorrevole.

Ci sono segreti che si mantengono per amore, ci sono segreti che a volte dovranno essere svelati, ma il Fato conosce sempre la via.

“…ogni cosa esistente ha influenza su tutte le altre, che ogni istante ha un significato, che gli eventi si modificano l’un l’altro e i destini sono legati, indissolubilmente”

 

 

 

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