Richelieu. Il cardinale che trasformò la monarchia francese e la politica internazionale – Stefano Tabacchi

Spirito religioso, politico a tratti spietato, ma tutt’altro che privo di ispirazioni ideali, Richelieu fu il protagonista della fase storica in cui si affermarono gli Stati assoluti e il moderno sistema delle relazioni internazionali, divenendo rapidamente una figura quasi mitica, che ancora affascina la cultura europea. Cadetto di una famiglia di piccola nobiltà, divenne poco più che ventenne l’attivo vescovo riformatore della piccola diocesi di Luçon. Legatosi alla regina madre Maria de’ Medici, iniziò una carriera politica che fu bruscamente interrotta, nel 1617, dalla disgrazia della sua protettrice, allontanata dal potere dal figlio, Luigi XIII. Richelieu tornò al potere solo nel 1624, insieme a Maria de’ Medici, e divenne l’uomo di punta di un vasto progetto di rafforzamento del potere monarchico e di affermazione della Francia sul piano internazionale. I successi conseguiti con la sconfitta dei protestanti francesi e l’intervento militare in Italia nella guerra di successione di Mantova gli portarono la completa fiducia di Luigi XIII, ma il suo crescente potere e le sue scelte di politica estera determinarono una rottura insanabile con il partito cattolico e con Maria de’ Medici, che nel 1631 fu costretta a fuggire dalla Francia. Da questo momento e fino alla morte, Richelieu fu un primo ministro quasi onnipotente, il centro di una estesissima rete di potere e il bersaglio di una serie infinita di congiure. Lontano da ogni forma di machiavellismo, Richelieu espresse una concezione del potere come una forma di razionalità, ispirata da Dio, chiamata a imporsi su una società conflittuale e lacerata. Da questa ispirazione derivarono una politica fortemente assolutista e l’intervento nella guerra dei Trent’anni (1635), che avviò la costruzione di una nuova struttura delle relazioni internazionali in Europa.

  • Editore ‏ : ‎ Salerno (30 dicembre 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 320 pagine

Recensione a cura di Stefano Basilico

La conferma dello spessore di una collana editoriale, di cui già in passato si sono apprezzati altri profili biografici. In questo caso, un’opera articolata e approfondita: capace di entrare nelle pieghe di un personaggio che fa sicuramente parte dell’immaginario collettivo, ma poco conosciuto nella sua poliedrica dimensione. Storica, e non solo.

Armand-Jean du Plessis,  Duca di Richelieu (1585-1642): soprattutto conosciuto nella sua veste cardinalizia, in particolare sulla base di quanto ci è stato tramandato da romanzi di grande successo e diffusione. Il primo riferimento letterario è sicuramente – e inevitabilmente, viene da dire – rappresentato da “I tre moschettieri”, di Alexandre Dumas; tuttavia, allo stesso modo, una lettura ben più recente e capace di evocarne la figura – proprio perché capace di ricrearne l’habitat che ne ha fatto da sfondo – è “il Club Dumas” di Arturo Pérez-Reverte. 

Non era semplice, andare oltre la dimensione quale quella proposta – e molto apprezzata – a livello narrativo: proprio per la complessità della figura, e del suo interagire a vario titolo, e su diversi livelli, nella società e nella storia della Francia, nell’arco delle diverse fasi della sua vita. L’Autore ci è riuscito: un primo elemento di grande importanza, nell’economia di questo discorso, è rappresentato dall’indice dell’opera; personalmente, ho sempre ritenuto che l’indice di un saggio sia già di per sé un primo attendibile indicatore che suggerisce il valore – e lo spessore – dello scritto. Qui, c’è di più: il lettore può risultare in un primo momento colpito dalla minuziosità stessa dell’indice, ma proseguendo successivamente nella lettura potrà meglio comprendere come quel “piano dell’opera” sia una formidabile bussola per orientarsi e avanzare in un percorso lungo, e non sempre lineare, sulle tracce di un affascinante personaggio. 

Un personaggio su cui parecchio si è scritto, nonché polemizzato (talora anche in modo aspro), nell’arco de secoli. Un personaggio che è stato anche a lungo “divisivo”: la profanazione della sua tomba (nel 1793), alla quale si è tentato di riparare almeno in parte in epoche successive, rappresenta con ogni probabilità il miglior paradigma delle lacerazioni provocate nella società francese dall’interpretazione di Richelieu. Sia detto per inciso, in chi scrive, questo atto di cieco vandalismo ha evocato il ricordo di un analogo e insensato scempio, compiuto nei confronti del sepolcro dell’Imperatore d’Oriente Eraclio I il Grande, durante il saccheggio di Costantinopoli perpetrato nel corso della Quarta Crociata (aprile 1204): un Cesare che aveva dimostrato non solo eccellenti qualità di condottiero militare, guidando personalmente il suo esercito a sconfiggere definitivamente il secolare nemico sasanide nella Battaglia di Ninive (dicembre 627 d.C.), ma anche grande oculatezza nella gestione di questioni politiche e religiose in un momento molto delicato per la vita dell’Impero.  

Torniamo a Richelieu. Il saggio di Tabacchi ce ne propone una visione nuova: quella di un personaggio la cui interpretazione, nel corso dei secoli, è evoluta in una dimensione diversa; proprio l’approfondimento e lo studio della sua biografia ne hanno fatto una figura non più divisiva, nella quale con ogni probabilità la Francia nel suo complesso sente di potersi, se non identificare, almeno riconoscere. Un percorso di rielaborazione storiografica, ma non solo, di cui è per esempio disponibile una traccia concreta almeno già dalla metà del secolo XX: nell’ambito della corsa al riarmo navale che sarebbe seguita alla Prima Guerra Mondiale (e dopo il Trattato di Washington del 1922), la punta di lancia della Marine Nationale sarebbe stata costituita de due modernissime corazzate da 40.000 t, armate ognuna di 8 pezzi da 380 mm. Se non è strano che una delle due navi fosse intitolata a Jean Bart (famoso ammiraglio francese del secolo XVIII), colpisce che la seconda fosse intitolata proprio a Richelieu: in un’epoca ancora “imperiale” quale quella del primo dopoguerra, quando le unità da battaglia delle grandi potenze andavano in giro per il mondo “a mostrare la bandiera” (secondo un ben nota espressione), proprio il ricordo del Cardinale avrebbe quindi evocato la grandezza della Francia. Addirittura, quelle due unità venivano classificate come corazzate della “classe Richelieu”. È questo un percorso che non si è ancora concluso. Come ben noto, l’attuale ammiraglia della flotta francese è la portaerei a propulsione nucleare Charles De Gaulle; il progetto dell’unità che la dovrà sostituire, nel momento in cui dovrà essere avviata alla dismissione, è ugualmente già noto, così come già se ne conosce il nome: Richelieu

Un personaggio su cui non ci sono discussioni, quindi: al di là di una fisiologica dialettica politica, proprio come per il Generale De Gaulle, padre fondatore della “Nuova Francia” e capace di incarnarne lo spirito in uno dei momenti più bui della sua storia (la resa del giugno 1940).

Un approfondimento biografico capace di superare meritatamente famosi – ma al tempo stesso forse con il rischio di essere limitanti – riferimenti letterari. Nel leggere questo libro, il pensiero è andato anche all’incipit di “Vent’anni dopo”, di Alexandre Dumas: la narrazione di vicende ambientatate in un’epoca in cui Richelieu era ormai scomparso; ma la prima immagine è quella di un uomo vestito con foggia cardinalizia, intento a scrivere nel suo studio: di notte, a lume di candela. Quell’uomo è Giulio Mazzarino, il capitolo si intitola “L’ombra di Richelieu”.

Qui Richelieu smette di essere un’ombra, l’opera di Stefano Tabacchi ce lo restituisce nella sua dimensione pienamente umana: tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata, sempre sullo sfondo ben nitido della sua epoca e nell’interagire con altri protagonisti della medesima. Diventa così possibile scoprire aspetti a priori inattesi della persona e personalità del futuro Cardinale: a partire dalla origine familiare ed infanzia, un destino apparentemente votato alla carriera militare, una fase giovanile caratterizzata da quella che si suole definire “una vita dissipata”. Poi l’arrivo alla dimensione ecclesiastica, anche sulla base di “scelte politiche” della famiglia; in diverse tappe, da quella di prelato inserito sul territorio, poi via via in ascesa nelle gerarchie: sia della Chiesa che della Politica. Protagonista di un’epoca di grandi travagli e tensioni nella società francese, iniziando dalla morte di Enrico IV e poi con il successivo lungo scontro tra la Madre reggente Maria de’ Medici e Luigi XIII, proprio il doversi muovere in una fase così complessa e talora addirittura drammatica gli permise di mettere in luce – e progressivamente affinare  quelle  doti di mediazione che lo resero famoso. Personaggio astuto, dotato di “fiuto politico”, seppe superare anche momenti di grave appannamento della sua figura sulla scena politica per poi assurgere a una dimensione che gli permise di esercitare dapprima grande influenza e poi il potere in quanto tale: da Ministro degli Esteri, a Ministro Principale.

Se storicamente Richelieu è stato lungo associato a un concetto di quasi astratto di «potestas» (come in una rappresentazione di sapore machiavellico, a metà tra l’agiografico e il mitologico), qui la lettura ce ne restituisce una dimensione ben più pratica e quotidiana: in un habitat politico, nazionale e internazionale, che rende maggiormente comprensibili certe dinamiche; a titolo di esempio, non vi è dubbio che la figura di “ministro principale” trovi riscontro anche in realtà politiche distinte, che della Francia sono state nemiche: come nel caso del Conde-Duque Olivares in Spagna o di George Villiers, meglio noto come Duca di Buckingam, in Inghilterra. 

Abbiamo quindi la proposta di una rilettura critica di Richelieu: alla luce di una dialettica che vede “il senso dello stato” (inteso come res publica, quindi un bene che appartiene a tutti i cittadini al di là delle divisioni ideologiche) confrontarsi con l’aspirazione alla “politica di potenza”, tuttavia nella consapevolezza della necessità di trovare un equilibrio di forze sullo scacchiere internazionale che possa assicurare una duratura stabilità del medesimo. Sia detto per inciso, risulta evidente che questi sono concetti e aspirazioni di diacronica modernità.  

Religione e politica, a livello sia nazionale che internazionale. Questo libro accompagna il lettore anche nello sviscerare un dilemma che ha accompagnato la figura di Richelieu e la sua interpretazione attraverso le epoche: un uomo votato al potere e all’esercizio del medesimo, quindi in una dimensione da «religio instrumentum regni» (pratica di cui è peraltro riscontro già dai tempi di Numa Pompilio e della Ninfa Egeria), oppure un individuo caratterizzato da autentico e profondo spirito religioso? Interrogativi e dubbi più che legittimi: perché qui non abbiamo solo il Richelieu tramandatoci dalla iconografia ufficiale in bianco e porpora, ma anche la narrazione di un giovane vescovo che svolge con impegno e assiduità la sua funzione in provincia (“sul territorio”, si direbbe oggi); oppure di un prelato che compila una sorta di “manuale di catechesi”, scritto con uno stile piano e comprensibile: tale da renderlo accessibile su larga scala nella popolazione dei fedeli. Di sicuro, il tutto suggerisce la necessità di un’analisi attenta, che rifugga da facili e aprioristiche semplificazioni: in un senso o nell’altro.    

La dimensione del Richelieu “scrittore” conferma il carattere poliedrico di un personaggio complesso. I suoi scritti, nelle loro successione nell’arco delle varie epoche, possono per esempio costituire una preziosa testimonianza storica di fatti vissuti “in presa diretta”; in altri casi, sono come appunti e annotazioni personali ancillari alla gestione politica. Poi dai resoconti personali si passa ai Mémoires: una vera e propria opera di storiografia politica, fatta di testi anche oggetto di una armonizzazione e sistemazione posteriore, tale da consentirne una lettura organizzata e più di ampio respiro; pur ammettendo che ciò non abbia alterato il senso e contenuto originali, ne risulta comunque talora più complessa la ricerca della “vera voce” dell’Autore. Un’analoga interpretazione può essere proposta per il Testament Politique: testo di cui fu anche contestata l’autenticità, ma in cui risulta netta la coerenza con spunti e riflessioni presenti in altri scritti.

Per concludere, una nota sullo stile di un libro che si configura come un importante contributo per proseguire nell’approfondimento storiografico di un personaggio che rimane complesso e affascinante. La trattazione è rigorosa e ben documentata, anche con precisi rimandi bibliografici per eventuali approfondimenti: tuttavia, lo stile di scrittura – gradevole e mai pedantesco – mantiene vivo l’interesse del lettore, in un viaggio a ritroso nel tempo attraverso il XVI e XVII secolo.

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